È ancora piuttosto diffusa, anche tra chi lavora nel mondo della cultura, l’idea che le arti figurative siano appannaggio esclusivo della vista, che l’arte si possa “comprendere” solo attraverso gli occhi. A smentire questo sottile e radicato pregiudizio vi è la preziosa attività di Deborah Tramentozzi, guida museale, cieca dalla nascita, che costruisce esperienza di fruizione dell’arte fruibili da chiunque, in modi diversi

È ancora piuttosto diffusa, anche tra chi lavora nel mondo della cultura, l’idea che le arti figurative siano appannaggio esclusivo della vista, che l’arte si possa “comprendere” solo attraverso gli occhi. È un pregiudizio sottile, radicato, che rischia tuttavia di escludere, senza volerlo, un’intera categoria di persone, i ciechi, dall’esperienza estetica.
Nelle scorse settimane ho avuto modo di incontrare Deborah Tramentozzi, guida museale, cieca dalla nascita. Trentasette anni, laureanda in Lettere Classiche, Deborah vive a Pontinia (Latina), dove lavora come tiflologa e come consulente per l’accessibilità in àmbito culturale; è una raffinata musicista, ma, soprattutto, è una studiosa appassionata di arte. È sufficiente ascoltare la sua riflessione sulla Deposizione di Caravaggio, uno tra i maggiori capolavori dell’arte pittorica italiana (il TEDx è disponibile su YouTube a questo link), per rendersi conto della sua solida preparazione, che non si limita a facilitare l’accesso alle opere, ma prova a riformularne il linguaggio.
Ha lavorato per i Musei Vaticani, il MuNDA (Museo Nazionale d’Abruzzo) dell’Aquila, la Basilica di Aquileia (Udine). È intervenuta alle Nazioni Unite, all’Università di Bristol nel Regno Unito, al Congresso ESCRS di Vienna, al TFOS di Venezia. Ha preso parte a documentari, progetti europei, eventi di formazione, collaborando anche con realtà innovative come la startup Tooteko.
Quando le chiedo da dove nasca tutto questo, Deborah risponde con semplicità e con il suo immancabile sorriso: «Da bambina alle elementari chiedevo ai miei compagni di disegnare con i pennarelli Uniposca perché potessi vederli utilizzando il mio piccolissimo residuo visivo. Alle scuole medie poi, grazie ad alcuni insegnanti che non si sono fermati davanti alla mia disabilità, ho iniziato ad avvicinarmi all’arte. Lì ho capito che non si guarda solo con gli occhi».
Da allora, Deborah ha sperimentato il tatto attraverso materiali come il pongo e il decoupage, ha provato a disegnare sfruttando un piccolo residuo visivo, ha sviluppato un rapporto personale e profondo con l’esperienza estetica. «Il mio rapporto con l’arte – mi dice – è sinestesico. Per me l’arte si ascolta, si tocca, si annusa. È un dialogo tra i sensi».
Uno degli episodi più significativi del suo percorso è legato ai Musei Vaticani. «Con la dottoressa Isabella Salandri – racconta -, responsabile dei percorsi multisensoriali, ho potuto vivere un’esperienza pienamente multisensoriale: toccare calchi, annusare fragranze, assaggiare bevande legate al contesto storico delle opere, ascoltare musiche evocative. È stato un modo per immergersi completamente nell’opera, senza barriere».
Da quel tipo di approccio nascono anche i progetti che oggi porta avanti, come Basilica per tutti ad Aquileia o la mostra La luce del nero alla Fondazione Burri. Nella splendida Ravenna, poi, sotto la guida del dottor Marco Santi e della dottoressa Anna Caterino, si è formata nel riconoscimento, attraverso il tatto, del colore dei marmi e degli altri materiali che compongono un mosaico.
Deborah Tramentozzi non propone percorsi separati, ma soluzioni inclusive, pensate fin dall’inizio per tutti e tutte. «Il mio obiettivo non è creare un percorso “accessibile” in aggiunta a quello principale. Il punto è costruire un’esperienza che sia fruibile da chiunque, in modi diversi. Non si tratta solo di abbattere barriere, ma di moltiplicare i canali del senso». Un approccio che ha un impatto anche sui visitatori vedenti. «Spesso, dopo una visita guidata, mi sento dire: “Grazie, ho notato cose che non avevo mai visto prima”. Questo dimostra che un’esperienza sensoriale può arricchire chiunque, non solo chi ha una disabilità».
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