Una storia sbagliata

È quella venuta alla luce nei giorni scorsi a Palermo, dove una giovane adolescente con disabilità è stata ripetutamente violentata da alcuni coetanei. Una vicenda di ragazzi - sia la vittima che i protagonisti negativi - che secondo la testimonianza di chi opera vicino ai fatti, «vivono i mali di tutta la società»

Espressione quasi inorridita«Vorrei capire il ruolo che ognuno ha in questa storia». Lo ha dichiarato Gabriella D’Acquisto, presidente dell’ANFFAS Sicilia (Associazione Nazionale Famiglie di Disabili Intellettivi e Relazionali), a proposito della triste vicenda venuta alla luce a Palermo, dove un’adolescente con disabilità ha subìto ripetutamente violenza da parte di alcuni coetanei.
«Credo infatti – continua D’Acquisto – che oggi manchi il rapporto tra le diverse realtà che spesso frequenta un ragazzo. I rapporti tra gli insegnanti, gli operatori religiosi e sociali spesso sono limitati solo al raggiungimento di risultati e obiettivi che esulano da una conoscenza globale sia del contesto che della storia di un ragazzo. Sarei quindi propensa a puntare su una prospettiva che permetta la visione globale della vita di una persona».

Chiare, dunque, emergerebbero anche le responsabilità della scuola nel non saper prevenire situazioni di degrado come quella emersa in questi giorni.
«Nel caso di questa giovane ragazza con disabilità – annota infatti Gabriella D’Acquisto – si è parlato di lieve ritardo mentale, ma non sappiamo se ci fossero altri problemi relazionali. Non basta in alcuni casi solo l’intervento dell’insegnante di sostegno. La scuola, infatti, attraverso la presentazione di un progetto educativo, può richiedere l’integrazione di educatori professionali (assistenti per l’autonomia e la comunicazione) che diano un supporto valido agli aspetti relazionali di una persona fragile. Bisogna quindi fare chiarezza in particolare sulle diagnosi funzionali della persona con disabilità e solo dopo sollecitare la scuola a presentare un progetto che ne richiami la figura professionale. Come ANFFAS abbiamo avuto recentemente un incontro con il sovrintendente scolastico Guido Di Stefano, per sollecitare l’inserimento di queste importanti figure integrative che già sono presenti nel Veneto e in altre regioni d’Italia».

Una preziosa testimonianza sulla vicenda della ragazza di Palermo arriva anche da Maurizio Artale, responsabile del Centro di Accoglienza Padre Nostro, struttura vicina alla Scuola Media Salgari, frequentata dalla giovane disabile, nel popolare quartiere Brancaccio, dove operò a suo tempo, prima di essere ucciso dalla mafia, don Pino Puglisi.
«In questa storia – secondo Artale – non ci sono né vincitori né vinti, ma ragazzi che vivono i mali di tutta la società. Conosciamo bene il contesto territoriale dove si sono svolti gli episodi di violenza. In particolare, conosciamo direttamente uno dei sei ragazzi che, per ora, si trova in una struttura protetta. Conosco i suoi genitori da vent’anni perché operano come volontari all’interno del nostro Centro e sono distrutti per quanto successo».
Per la cronaca, il ragazzo di cui parla Maurizio Artale sarebbe l’unico, secondo le prime deposizioni della vittima, a non avere abusato di lei.

«In realtà – riprende Artale – oggi il problema fondamentale è l’assenza più o meno totale dei genitori. Né credo che si tratti semplicemente di un problema di quartiere, ma di un fenomeno che abbraccia tutta la società. Chiediamoci quanto tempo dedichiamo ai nostri figli. Oggi i ragazzi hanno un bisogno continuo di consumare esperienze di ogni tipo e grado. Ed ecco che in alcuni casi avviene una vera e propria esasperazione dell’esperienza che spinge alcuni di loro verso un irrefrenabile bisogno di comunicare e mostrare ciò di cui si è protagonisti».

Il responsabile del Centro Padre Nostro, dopo le dichiarazioni di molte persone del quartiere, ha incontrato l’assessore comunale alle Attività Sociali di Palermo, Maria Concetta Bonomolo, per segnalare ai Servizi Sociali la famiglia della giovane disabile. Sembra infatti che alle sue spalle vi siano varie situazioni di disagio familiare che spetterà sia alla magistratura che alle altre istituzioni competenti accertare.
Attualmente il Centro gestisce tre case famiglia, tutte ubicate nel quartiere Brancaccio, la prima delle quali ospita dieci bambini dai 6 ai 13 anni, le altre alcune mamme con figli, vittime di abusi e maltrattamenti.
(S.B.)

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