Guida e assunzione terapeutica di sostanze: perché serve un intervento interpretativo o normativo

di HandyLex*
La nuova disciplina sull’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope da parte di chi guida può colpire ingiustamente persone con disabilità che le utilizzano su prescrizione medica. Per questo è auspicabile un intervento interpretativo o normativo che distingua tra uso terapeutico e abuso, che introduca margini di tolleranza legati a concentrazioni-soglia clinicamente validate e che valuti la compatibilità del trattamento farmacologico con l’idoneità alla guida, piuttosto che sanzionare penalmente in automatico

Giovane con disabilità sale in macchinaUna recente Circolare congiunta del Ministero dell’Interno e di quello della Salute ha introdotto importanti novità nelle procedure di accertamento delle condizioni psicofisiche alla guida [di tale tema ci siamo già occupati sulle nostre pagine: se ne legga in calce, N.d.R.]. La Circolare riguarda le nuove modalità di accertamento del reato di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Com’è noto, la Legge 177/24 ha riformulato l’articolo 187 del Codice della Strada, eliminando il requisito dell’“alterazione psicofisica” quale elemento costitutivo del reato. La nuova fattispecie punisce dunque chi guida dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, qualora sia accertata – mediante analisi su sangue o fluido orale – la presenza di princìpi attivi o metaboliti attivi della sostanza, anche in assenza di un’evidente alterazione della capacità di guida. In tal senso, la Circolare chiarisce che è sufficiente la presenza nel sangue o nella saliva di sole molecole attive, senza considerare l’effettiva alterazione del soggetto. Presupposto della punibilità è che: «Occorre provare che la sostanza psicotropa sia stata assunta in un periodo di tempo prossimo alla guida, tale da far presumere che la sostanza produca ancora i suoi effetti nell’organismo durante la guida».
Viene inoltre specificato che solo la presenza nel sangue o nel fluido orale di metaboliti attivi è indicativa di una condizione penalmente rilevante. La presenza nelle urine, invece, non è sufficiente ai fini della punibilità penale, ma può rilevare per l’idoneità alla guida (articoli 128 e 119, comma 4, del Codice della Starda).

A questo punto, tuttavia, occorre rilevare che la Circolare non distingue tra assunzione a fini terapeutici ed uso illecito: infatti, ai fini della punibilità non rileva lo scopo dell’assunzione, ma solo la presenza attiva della sostanza; la temporalità prossima all’attività di guida. Questo crea una criticità giuridica e costituzionale per le persone con disabilità o patologie che assumono psicofarmaci su prescrizione medica, i cui effetti possono persistere nel sangue o nella saliva in modo cronico e controllato.
A nostro sommesso avviso, reputiamo che vi siano possibili profili di incostituzionalità o illegittimità, con particolare riguardo, ad esempio, all’articolo 3 della Costituzione (infatti la norma può discriminare indirettamente chi, per motivi di salute, assume regolarmente psicofarmaci), nonché all’articolo 32 della Costituzione stessa, perché penalizza condotte terapeutiche lecite e necessarie e anche riguardo al “Principio di offensività”, poiché la norma sanziona la mera presenza della sostanza, senza verificare l’effettiva alterazione o il pericolo per la circolazione.
L’assenza, infatti, di una soglia quantitativa o di limiti oggettivi nella rilevazione delle sostanze attive, amplia eccessivamente la discrezionalità applicativa. La mera presenza, anche minima, di una sostanza nel sangue – eventualmente dovuta a terapie regolari e non alteranti – non consente pertanto una valutazione proporzionata della pericolosità della condotta, cosicché le persone con disabilità e patologie croniche che necessitano dell’assunzione regolare di psicofarmaci (antiepilettici, ansiolitici, antidepressivi) si trovano esposte a un rischio oggettivo di incriminazione, pur in assenza di comportamenti pericolosi. L’effetto è una disparità di trattamento indiretta rispetto ad altri soggetti, con un potenziale impatto sulla libertà di circolazione e sulla loro piena partecipazione alla vita sociale e lavorativa.
E ancora, la Circolare ammette che i metaboliti attivi sono rilevabili “solo per alcune ore” nel sangue o nella saliva, variabili in base all’emivita della sostanza. Tuttavia, molti farmaci (ad esempio benzodiazepine, antiepilettici) usati in modo cronico mantengono concentrazioni residue stabili, anche in assenza di effetti negativi reali sulla guida.

La nuova disciplina, dunque, pur coerente con l’obiettivo europeo di Vision Zero [progetto di sicurezza stradale che mira a eliminare tutti i decessi e le lesioni gravi sulla rete stradale. N.d.R.], può colpire ingiustamente persone che non rappresentano un rischio reale per la sicurezza stradale. È quindi auspicabile un intervento interpretativo o normativo che distingua tra uso terapeutico e abuso, che introduca margini di tolleranza legati a concentrazioni-soglia clinicamente validate e che valuti la compatibilità del trattamento farmacologico con l’idoneità alla guida, piuttosto che sanzionare penalmente in automatico.

*Centro Studi Giuridici HandyLex della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).

Del tema trattato nel presente contributo si sono già occupati in Superando i testi A proposito di quella norma del Codice della Strada riformato e di quella recente Circolare Ministeriale di Giovanni Battista Pesce (disponibile a questo link) e Un importante passo avanti con quella Circolare Ministeriale (disponibile a questo link).
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