«Episodi di violenza nei confronti delle persone con disabilità – scrivono dall’UTIM – come quelli emersi di recente in Piemonte, non sono eccezioni, ma purtroppo il risultato di un sistema che necessita di un intervento urgente, radicale e coordinato a livello nazionale di tipo strutturale e organizzativo, oltreché culturale. Sono violenze che trovano terreno fertile soprattutto in un modello ormai superato: quello delle strutture residenziali di grandi dimensioni, di tipo segregante»
Esprimiamo profonda indignazione per i gravissimi episodi di maltrattamento, violenza fisica e psicologica perpetrati in una comunità della Val Pellice, a Luserna San Giovanni (Torino), ai danni di persone con disabilità intellettiva e autismo [se ne legga già sulle nostre pagine a questo e a questo link, N.d.R.]. Esprimiamo altresì vicinanza alle vittime di violenze e alle loro famiglie.
I fatti, come riportati dalla stampa e documentati da telecamere installate dai NAS, si uniscono purtroppo ad una lunga e documentata serie di abusi emersi negli anni in numerose strutture residenziali in tutto il territorio nazionale (si vedano ad esempio le rassegne periodiche dei fatti di cronaca segnalate su «Prospettive. I nostri diritti sanitari e sociali», già «Prospettive assistenziali»). Sarà la Magistratura ad accertare le responsabilità e i profili penali, ma i fatti emersi già impongono una presa di posizione.
Questi episodi, a nostro avviso, non rappresentano solo eccezioni, ma purtroppo il risultato di un sistema che necessita di un intervento urgente, radicale e coordinato a livello nazionale di tipo strutturale e organizzativo, oltreché culturale.
Si tratta di violenze che trovano terreno fertile soprattutto in un modello ormai superato: quello delle strutture residenziali di grandi dimensioni, di tipo segregante, che depersonalizzano i bisogni delle persone e facilitano dinamiche di abuso.
La struttura di Luserna San Giovanni, ricordiamo, ospita ben 41 utenti, di cui almeno la metà non in grado di autodifendersi come risulterebbe dalle notizie di stampa. Per questo motivo chiediamo con forza alle Istituzioni competenti a livello sia nazionale sia regionale il superamento definitivo dei modelli istituzionalizzanti, promuovendo esclusivamente piccole comunità residenziali a carattere familiare, con un massimo di 8 posti letto e 1-2 posti per pronto intervento e tregua, integrate nel normale tessuto sociale, non accorpate tra loro (come invece lo è la struttura in oggetto), nonché l’abrogazione della norma che autorizza l’accreditamento di strutture di grandi dimensioni.
Chiediamo inoltre:
° la certificazione preventiva dell’idoneità del personale, mediante istituti specializzati, di tutti gli operatori che si trovano occupati in continuità con persone non autosufficienti e non in grado di difendersi autonomamente, al fine di impedire che soggetti con disturbi della personalità siano adibiti a funzioni che li pongono a contatto con utenti indifesi. La certificazione di idoneità andrebbe richiesta anche per chi è già operativo (prevedendo una revisione periodica), con la ricollocazione ad altre attività degli operatori ritenuti non più adeguati, tramite commissioni paritetiche con relativa tutela sindacale;
° la riqualificazione del personale impiegato nelle strutture residenziali, nella sua composizione e nella sua condizione. Si tratta spesso di personale numericamente sottodimensionato, composto prevalentemente da operatori socio-sanitari (OSS), con una presenza insufficiente di figure educative e riabilitative. A ciò si aggiungono condizioni lavorative gravose: turnazioni estenuanti, carichi eccessivi e, in genere, una retribuzione non commisurata alla complessità del ruolo svolto. Questa situazione determina non solo un abbassamento della qualità dell’assistenza, ma anche un maggiore rischio di stress lavoro-correlato, con ricadute negative sulla relazione con gli utenti;
° l’obbligo di installazione nelle strutture di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso, al fine di prevenire e contrastare episodi di maltrattamento e abusi;
° il rinforzo degli organici e l’aumento della frequenza dei controlli da parte delle Commissioni di vigilanza delle ASL, preposte a verificare il rispetto degli standard strutturali e organizzativi delle strutture socio-sanitarie.
Nel cogliere l’occasione per ringraziare i NAS per il lavoro svolto nel portare alla luce e documentare questi terribili fatti, invitiamo dunque la Magistratura ad approfondire celermente la vicenda a tutela degli interessi e dei diritti delle persone con disabilità intellettiva e autismo, auspicando che nelle more gli operatori vengano sospesi dall’attività per la quale sono indagati.
Dal canto nostro valuteremo la possibilità di costituirci parte civile nel corso del procedimento giudiziario.
*L’UTIM è l’Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva (info@utim-odv.it).
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