«Nessuno – scrive Stefania Stellino -, se non chi la vive, può anche solo immaginare la vita con una disabilità complessa come l’autismo. Pensiamo con due autismi, di cui uno estremamente complicato, un autismo profondo. E se un giorno, il più lontano possibile, quella persona finirà in un gruppo appartamento o, chissà, in una struttura, rileggete queste righe e forse comprenderete, ma mettendo da parte articoli e commi, e leggendo con il cuore»

Mi sono un po’ stancata di chi pensa di avere la verità in tasca e parla per slogan o in punta di normative, in contesti non sempre pertinenti. Quando parlo come rappresentante di famiglie o come formatrice, anch’io, in effetti, cito articoli, commi, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e da circa un anno sempre più spesso il Decreto Legislativo 62 del 2024. Ma qui, adesso, parlo da mamma. Da genitore di due persone autistiche con necessità di supporto molto diverse. Una situazione esplosiva.
Per cui leggere che qualcuno che vive la sua realtà, che rispetto, ci mancherebbe, ma non quella di tante famiglie “autistiche” e sicuramente non la mia, se permettete mi fa un po’, come dire, stancare. Un po’ tanto. Nessuno, se non chi la vive, può anche solo immaginare la vita con una disabilità complessa come l’autismo. Pensiamo con due autismi, di cui uno estremamente complicato, un autismo profondo.
Dopo la lettura in Superando di un articolo di Simona Lancioni [“Quali fondamenti giuridici avrebbe l’istituzionalizzazione?”, N.d.R.], mi ero ripromessa di non alimentare polemiche, ma poi proprio qualche giorno fa mi sono trovata a dover fronteggiare l’ennesima situazione ai limiti della sopportazione, che poteva avere un esito tragico. E così non posso non rispondere, di getto, in una sorta di flusso di coscienza, da genitore, non tanto alle domande incalzanti – e mi si permetta – anche un po’ pretestuose di Lancioni, quanto alla mancanza di empatia nel testo. Perché è vero, un’Associazione deve portare avanti istanze che devono tutelare diritti e dare indirizzi. Ma poi, poi c’è la realtà di tutti i giorni. C’è chi vive, se si può definire vita questa, in eterno scacco del proprio figlio che se non ha il controllo assoluto di tutti i componenti della famiglia va in crisi, in debito di ossigeno, con attacchi di panico che portano ad un’aggressività senza pietà. Se poi ci mettiamo che quel figlio è alto quasi 2 metri e pesa più di 100 chili, il gioco è fatto.
Nonostante tutto a volte si deve rischiare, perché non può sempre dover pagare l’autismo più comprensivo, quello dell’altra figlia, che deve rinunciare a tutto, anche ad andare in bagno quando ne ha bisogno. Eh sì, anche andare in bagno per noi è complicato, no, no, ho sbagliato: è impossibile! Che la porta debba rimanere aperta è il minore dei mali. Risparmierei il resto, ma credo sia necessario, per tentare anche solo minimamente di far comprendere, raccontare come (non) si vive. Troppo comodo e facile sentire sempre e solo parlare dell’autismo “bello e performante”. Noi abbiamo circa 30 secondi per espletare qualsivoglia “bisogno”, dopodiché scatta l’ossessività compulsiva: ti viene vicino e ti indica la carta igienica e se non ne strappi subito un pezzo, ti si mette letteralmente col fiato sul collo fino a che per disperazione non prendi quel pezzo e lo usi, sperando lui non ti colpisca a tradimento.
Si deve rischiare. Dicevo: giornata di golf, un progetto portato avanti dell’ANGSA Lazio (Associazione Nazionale Geniytori di perSone Autistiche) grazie al Rotary Acqua Santa di Roma. A Nicole piace. Nicole già rinuncia a tanto. Nicole è andata al Golf Club Marco Simone, a circa 25 minuti da casa, con la sua compagna adulta. Abbiamo provato a portare Daniel varie volte, ma con scarsi risultati, sempre a discapito di Nicole. Uscita da poco e già scatta il Nico Nico Nico Nico a raffica, fino ad avere fame d’aria, ad un attacco di panico con acme in un’aggressione che fortunatamente mi ha solo procurato un polso dolorante e l’ennesimo colpo agli occhiali (quelli che ancora resistono).
Ci siamo vestiti al volo. Il padre lo ha vestito a fatica, mentre la compulsività lo rendeva meno collaborante del solito. Andiamo al garage con lui che si aggroviglia le dita per scaricare la frustrazione. Blocchiamo la compagna adulta pregandola di aspettarci lì ai campi. “Bicchiere mezzo pieno” (perché solo così si può andare avanti sempre con il sorriso): Nicole può tirare per altri 20 minuti. In macchina la tensione è a livelli altissimi. Daniel catatonico: il post crisi. Noi vigili e purtroppo ormai esausti. Da ogni punto di vista. Nicole sale dai campi proprio mentre arriviamo – sincronismo perfetto! – dopo avere anche sventato un incidente. Non si può guidare certo rilassati in queste situazioni.
Ovviamente neppure la guarda. Ha ottenuto quello che voleva. Il controllo.
Uno psichiatra pochi mesi fa lo ha etichettato come il “mago di Oz”. Tutti lo temono più per la fama che per quel che è. Forse il paragone può andare anche bene per l’aura di terrore che ha creato intorno a sé. Il problema è che il terrore è condito da manifestazioni violente, di cui non si può certo non tener conto. Nessun operatore ormai se la sente di stare da solo con lui e così le risorse (di cui in teoria non dovrei lamentarmi) non sono sufficienti a coprire neppure le mattine.
Mentre scrivo, sul note del telefono (il mio taccuino portatile), ho lui che, con una mano, mi tira le orecchie per togliermi gli orecchini, e con l’altra mi fa togliere vestiti ed intimo: perché l’intimo in casa non si porta. Sia mai.
E allora fino a che ce la faremo, resisteremo. Ma sfido chiunque a non poter uscire di casa, a non poter indossare vestiti in casa, a non potersi dimenticare di togliere gli orecchini, o a non avere sfregato bene bene il rossetto dalle labbra, e meno male che metto solo quello.
Come può chi non conosce l’autismo, anzi, chi non vive h24 l’autismo, come può pensare di comprendere la vita di una famiglia con una persona autistica? Già è difficile per chi vive un autismo non complesso comprenderla fino in fondo. Io per prima, se avessi solo Nicole, con molta fatica riuscirei ad immaginare cosa possa voler dire non poter scendere due minuti a comprare il latte; dover videochiamare il padre appena scende per comprargli la pizza (che lui ha chiesto), perché chiusa la porta, inizia a dire papà papà papà papà e tu stai lì col terrore che ti morda in testa, dopo averti sollevato da terra per i capelli; avere sempre addosso un gigante che controlla quello che fai e come lo fai, e che alla stessa ora (Dio o il diavolo, solo, sanno come faccia ad orientarsi nel tempo così perfettamente senza conoscere l’orologio) ti indica minaccioso il fornello, per farti vedere che devi tirare fuori la carne dal congelatore per Nicole, anche se quella sera cenerà con altro; non fare più vita sociale, addio a compleanni, cene, pranzi. Tutto azzerato.
A tutto questo, estremamente sintetizzato, si devono aggiungere le crisi esistenziali e psicomotorie di Nicole, ormai stressata all’inverosimile. È che troppo spesso ci dimentichiamo che anche lei è autistica! Non è per nulla semplice dover accettare di mettersi a letto al tramonto se lui decide che è quello il momento di mettersi i pigiami, o di alzarsi tutti ed essere operativi a qualsiasi ora lui si svegli. È difficile per noi, figuriamoci per Nicole.
No, non è un incubo e non è una cosa che avviene ogni tanto, è la nostra realtà quotidiana, e nessuno può comprenderla fino in fondo, se non vivendola. I racconti, per quanto dettagliati, non potranno mai restituire i vissuti con le emozioni. Ecco, le emozioni. Perché non tutto è sempre e comunque nero. Ci sono i momenti, è vero pochi, ma ci sono, in cui un sorriso, un abbraccio o la delicatezza di un bacio ti fanno dimenticare tutto: basta un poco di zucchero e la pillola va giù, cantava Mary Poppins!
Dovremmo scegliere. Questo ci è stato suggerito. Scegliere quale figlio sacrificare di più. Solo questo. Piuttosto che trovare insieme soluzioni per non “sacrificare” nessuno… La realtà è che le famiglie sono lasciate sole. Attivata l’UVM per il Progetto di Vita [Unità di Valutazione Multidisciplinare, N.d.R.], l’unica proposta è stata una struttura per Daniel. Poi mai più riunita.
Avevo proposto di lavorare insieme per un gruppo appartamento come obiettivo finale e nel frattempo abituare Daniel a prolungare la permanenza fuori casa, alla Scuola Superiore di AUTonomia dell’ANGSA Lazio e dell’Associazione Giuliaparla, fino ad arrivare magari a trascorrere la sera e poi la notte fuori. Gradualmente, molto gradualmente: non riusciamo neppure più ad andare in vacanza, perché non accetta altri luoghi che casa. Ma si preferisce investire quasi 5.000 euro per soluzioni residenziali extra Regione, piuttosto che seguire le Linee di Indirizzo, la Convenzione ONU.
Ed allora chi è che vuole le strutture? Le famiglie o le Istituzioni che, in 25 anni dalla Legge 328/00, e dal famoso e famigerato articolo 14 di essa sul Progetto di Vita, ancora non hanno la capacità operativa di mettere a terra la normativa, di comprendere che il budget di salute/progetto è un’opportunità per ottimizzare e organizzare le risorse e per realizzare veramente l’integrazione sociosanitaria ricamata sulla persona e non per la persona? Le famiglie sono le vittime, non il contrario.
Il Decreto Legislativo 62/24 avrebbe dovuto cambiare tutto, ma se non si cambia il modo di pensare la disabilità, anche quella complessa, difficilmente il modo di lavorare incancrenito cambierà. E infatti, purtroppo, le difficoltà dell’implementazione della riforma stanno evidenziando come il sistema gattopardescamente non riesca a modificarsi.
Quello che manca è la messa a terra delle normative e l’esigibilità di quanto previsto! Da parte mia, sto facendo il possibile (e l’impossibile) per poter esigere il diritto a vivere una vita dignitosa da parte di Daniel e Nicole, ma anche delle persone autistiche che afferiscono alla nostra Associazione ANGSA Lazio: per esempio la formazione anche per diventare RAP (Referente per l’Attuazione del Progetto di Vita), ai sensi dell’articolo 29 del Decreto Legislativo 62/24. Eh sì, la normativa la conosciamo bene anche noi!
Tornando a quanto obiettavo sin dall’inizio, come si può quindi giudicare situazioni al limite dell’immaginazione, senza sapere? Certo, alla fine è più “producente” parlare dell’autismo bello, o di chi dell’autismo fa business. Più facile. Poi tanto il mostro si sbatte in prima pagina quando accade la tragedia.
Sdoganiamo questo sistema. Parliamo anche delle sofferenze delle famiglie, ma parliamone veramente senza tabù. E se uno di noi avesse un incidente? Io ho dei seri problemi di salute, più altri “piccoli” acciacchi. Non lo scrivo certo per essere compatita, ma per far comprendere l’ulteriore preoccupazione in cui viviamo. Ma per scatenare l’inferno sarebbe sufficiente la necessità di un intervento chirurgico. O anche solo un ricovero. Già per altro accaduto in più occasioni dopo le aggressioni da parte di “Oz”. Cosa accadrebbe a Daniel? Come potremmo gestirlo se uno di noi tre per “x” motivi dovesse assentarsi per lungo tempo?
Quindi, se un giorno, il più lontano possibile Daniel, finirà in un gruppo appartamento o chissà in una struttura, rileggete queste righe e forse comprenderete. Ma vi prego, mettete da parte articoli e commi, e leggete col cuore. Perché sapete quanto amore ci vuole per continuare a vivere questa non-vita? Lo stesso di quello che ci vuole per fare l’altra scelta, se necessaria per sopravvivere (come del resto qualcuno è stato già costretto a fare).
*Genitore di due persone autistiche.
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