Il linguaggio del cuore e le politiche sull’istituzionalizzazione

di Simona Lancioni
«Rispetto all’istituzionalizzazione – scrive Simona Lancioni – chiedo che vengano promosse politiche per cui quando i familiari delle persone con disabilità non potranno più occuparvi delle persone di cui si curano, l’unica risposta per loro non sia un istituto, ma un servizio modellato sulle loro caratteristiche, rispettoso delle loro aspirazioni e che ne preservi le relazioni significative»

Particolare di persona in carrozzina e accommpagnatore in ombraUna che «pensa di avere la verità in tasca e parla per slogan o in punta di normative, in contesti non sempre pertinenti»; una «che vive la sua realtà […], ma non quella di tante famiglie “autistiche” e sicuramente non la mia»; una che fa domande incalzanti ed anche un po’ pretestuose in un testo – Quali fondamenti giuridici avrebbe l’istituzionalizzazione? del 25 giugno scorso – privo di empatia; una che pensa «di comprendere la vita di una famiglia con una persona autistica» senza vivere quell’esperienza; una che giudica «situazioni al limite dell’immaginazione, senza sapere»: ringrazio Stefania Stellino, madre di Nicole e Daniel, due persone autistiche, perché, sebbene – come racconta – stesse chiaramente vivendo un momento di profondo sconforto, è riuscita comunque a dedicarmi tempo e parole, seppure un po’ ingenerose, a dire la verità (si veda: Le sofferenze delle famiglie raccontate senza tabù, al di là degli articoli e dei commi del 1° luglio).

«Mettete da parte articoli e commi, e leggete col cuore», è l’invito conclusivo che Stellino mi rivolge, e io lo accolgo con piacere. Dunque ho letto col cuore la sua drammatica testimonianza e le esprimo la mia più sincera solidarietà. Solidarietà che rivolgo anche ai suoi figli e a suo marito.
Immagino che la situazione piuttosto complessa e dolorosa che sta affrontando non abbia permesso all’Autrice di leggere il mio scritto con la dovuta attenzione. Se avrà occasione di rileggerlo con più calma, scoprirà che in esso non si parla di autismo, né di quello “bello e performante”, né di altre forme dello spettro.
«Nessuno, se non chi la vive, può anche solo immaginare la vita con una disabilità complessa come l’autismo», scrive, tra le altre cose, Stellino, ed io condivido pienamente. Infatti, non avendo esperienza di tale situazione, non mi sono permessa di scriverne, e ancora meno di giudicare. Non che il Centro Informare un’h – per cui lavoro – non si occupi di autismo, ma quando lo fa si rivolge a chi ne ha competenza, spesso rilanciando i testi di Carlo Hanau, presidente dell’APRI (Associazione Cimadori per la ricerca italiana sulla sindrome di Down, l’autismo e il danno cerebrale) – che immagino Stellino conosca –, ma anche i comunicati dell’ANGSA Nazionale (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo, un esempio è disponibile a questo link).

Nel mio testo non c’era alcun giudizio su nessuno. C’era invece una riflessione e una proposta politica sull’istituzionalizzazione, e una ferma condanna della sua legittimazione.
Il giudizio è dunque su una pratica – l’istituzionalizzazione, appunto –, non sui soggetti con i quali mi sono confrontata – l’ANGSA Nazionale e l’UTIM (Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva) –, e ancora meno sulle famiglie, che, come giustamente sottolinea Stellino, «sono lasciate sole» e abbandonate a se stesse.
Parlando col cuore, potrei raccontare a Stellino che sono stata caregiver anch’io per quindici anni, che il mio compagno di vita aveva una severa disabilità motoria, che siamo stati insieme per quasi ventotto anni, che ora lui non abita più il mondo fisico. Quando perdi la persona che ami, scopri con sorpresa che ti mancano anche le cose che prima magari ti sembravano faticose. Tuttavia la mia non è stata un’esperienza sofferta e dolorosa, imposta dalla vita, ma l’esito di una scelta ponderata e gioiosa. Parafrasando Lev Tolstoj, potremmo dire che «ogni caregiver è caregiver a modo suo», ed ogni esperienza è meritevole di ascolto, attenzione e rispetto.
Parlando col cuore, posso dire a Stellino che promuovo da tantissimi anni il riconoscimento della figura del caregiver e l’introduzione di tutele che tengano conto dell’onerosità dell’impegno. E continuo a farlo anche ora, che tecnicamente non esercito più, perché il senso del lavoro di cura, una volta appreso, non è una cosa che si dismette.
E sempre parlando col cuore, posso anche dire a Stellino che mi occupo di violenza sulle persone con disabilità, e in particolare della violenza sulle donne con disabilità, in modo costante dal 2013. Che non mi occupo solo delle “forme classiche” della violenza – la violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica –, ma anche di quelle più difficili da riconoscere, come la violenza sistemica e istituzionale, tra le quali rientra anche l’istituzionalizzazione.
E dunque no, non è affatto pretestuoso che mentre tutti e tutte, davanti alle notizie ricorrenti dei casi di violenza ai danni di persone con disabilità ospitate nelle strutture residenziali, sembrano accorgersi solo delle violenze più eclatanti – le botte, le intimidazioni, gli insulti, gli abusi, le molestie sessuali, ecc. –, e si preoccupano di contrastare solo quelle, io senta l’esigenza di far notare che anche circoscrivere gli orizzonti delle persone con disabilità tra quattro mura che non hanno scelto è una forma di discriminazione e violenza in contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

È vero, nel mio scritto citavo articoli e commi, ma era necessario farlo per far capire che la deistituzionalizzazione che anche l’associazionismo delle persone con disabilità – ANGSA Nazionale compresa – tratta come questione facoltativa, in realtà facoltativa non è per niente. Rinchiudere le persone è una pratica violenta e discriminatoria. Dunque non sono disponibile a sorvolare su questo, neanche se ciò dovesse risultare sgradevole per chi invece, non riconoscendo l’istituzionalizzazione come una violenza, continua a tollerarla e a legittimarla (sia in modo implicito che esplicito). E non si tratta di dire che queste Associazioni sono brutte e cattive – se Stellino avrà la pazienza di leggere con attenzione il mio scritto scoprirà che non ho scritto niente del genere –, bensì di dire: «Ok, sino ad ora non abbiamo preso sul serio questa faccenda della deistituzionalizzazione, però da qui in avanti la mettiamo in cima all’agenda politica… anche perché il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ce lo chiede già dal 2016».
Questo, e solo questo, sto chiedendo all’associazionismo, e dunque anche all’ANGSA Nazionale. Il che, tradotto nel linguaggio del cuore, vuol dire semplicemente proporre che vengano promosse politiche per cui quando lei, signora Stellino, e tutti gli altri familiari di persone con disabilità non potrete più occuparvi delle persone di cui vi curate, l’unica risposta per loro non sia un istituto, ma un servizio modellato sulle loro caratteristiche, rispettoso delle loro aspirazioni e che ne preservi le relazioni significative. Dunque, mi dica signora Stellino, le sembra irragionevole? C’è qualcosa che non la convince di questa proposta? Che emozioni le suscita?

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