Le residenze non sono istituti, ma modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali delle persone

di Giovanni Marino*
«Le residenze – scrive tra l’altro Giovanni Marino, presidente dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo) – non sono un istituto e non sono segreganti e non violano nessun articolo della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Proprio recentemente, tra le Raccomandazioni sulle Linee Guida Adulti per l’Autismo, l’Istituto Superiore di Sanità ha inserito i “modelli abitativi”, ossia residenze progettate a misura dei bisogni assistenziali delle persone che in quel luogo andranno a vivere»

Persona adulta con autismo in una residenzaIl tema della deistituzionalizzazione da strutture segreganti è reale e deve essere perseguito con il massimo impegno. Porre invece in contrapposizione le residenze con la vita indipendente appare come un tentativo di inseguire contributi monetari in luogo di servizi.
La nostra Associazione [ANGSA-Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo, N.d.R.] ha sempre e in solitudine difeso e rivendicato i diritti delle persone con autismo, e la posizione di chi scrive di non conoscere questa forma di disabilità e i suoi bisogni complessi può creare qualche legittimo sospetto. Dove era chi scrive questo, quando abbiamo promosso la Legge 134/15 (Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie), elaborato le Linee di Indirizzo, collaborato a scrivere la Linea Guida 21 e inserito l’articolo 60 (Persone con disturbi dello spettro autistico) nei nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), fissati dal DPCM del 12 gennaio 2017?

Durante la fase di scrittura della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità abbiamo denunciato la mancanza di pari opportunità per l’autismo nell’accesso ai Progetti di Vita, ma non abbiamo ricevuto alcun sostegno. Cosa si vuole difendere, dunque, con questa campagna mediatica che non considera nemmeno chi rappresenta casi umani commoventi che dovrebbero insegnarci qualcosa?
Condivido che girino molti soldi sui servizi, ma cominciano a girarne molti altri sugli interventi monetari a favore delle persone con disabilità. Solo per elencare le principali fonti: la Vita Indipendente, il Fondo per la Non Autosufficienza, il “Dopo di Noi”, oltre alle ordinarie indennità, tutto ciò genera un gettito mensile che supera abbondantemente i 5.000 euro al mese. Basta un fogliettino scritto dallo stesso beneficiario intitolato Progetto di Vita, e il gioco è fatto. Non ci sono controlli e non esistono verifiche incrociate sui provvedimenti a favore delle persone con disabilità, così i più furbi, i più informati e (forse) i più spregiudicati portano a casa un mensile superiore allo stipendio di un medico primario ospedaliero.
Da cittadino di questo Paese non condivido e condanno che una persona con disabilità, per effetto della sua condizione, abbia diritto a percepire tutte queste risorse. Arriva da lontano, quando ricordo che la persona più benestante del mio paese, negli Anni Sessanta, era un cieco che percepiva le indennità e lavorava al centralino dell’ospedale con il suo legittimo stipendio di lavoratore. A quell’epoca le persone con autismo erano rinchiuse nei manicomi.

Le residenze non sono un istituto e non sono segreganti e non violano nessuno degli articoli citati della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Proprio recentemente l’Istituto Superiore di Sanità ha inserito le Raccomandazioni sulle Linee Guida Adulti per l’Autismo che trattano i “modelli abitativi”. Le residenze rappresentano cioè dei modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali delle persone che in quel luogo andranno a vivere. Vivere in senso pieno, cioè un luogo dove non ci si limita a restare rinchiusi, ma si sviluppano competenze integrate. Ci si informi meglio, quindi, magari leggendo quelle Raccomandazioni e mettendole a confronto con l’articolato della Convenzione ONU. Sfido chiunque a trovare dei rilievi. Come scrivevo prima, le residenze costano perché le persone con autismo di “livello 3” richiedono carichi assistenziali notevoli in rapporto di almeno 1 a 2/2,5 assistenti e il numero esiguo dei posti letto espande ancora di più il costo della retta.

Ho scritto su queste stesse pagine, proprio l’altro ieri [si veda in “Le realtà virtuose diventino la regola e non l’eccezione nella gestione delle persone con disabilità più complesse”, N.d.R.], a proposito della necessità di migliorare l’efficacia e la qualità degli interventi attraverso un aggiornamento dei criteri di accreditamento. Siamo partiti con gli istituti intenzionalmente segreganti perché erano un contenitore che doveva mantenere separate le persone con disabilità mentali, successivamente è stata riconosciuta l’esigenza di convivenza tra persone con autismo, in modo che le attività educative non fossero vanificate da comportamenti di altri ospiti con disabilità mentali diverse. Negli anni recenti è stato riconosciuto il valore dell’inserimento lavorativo, ma ora serve maggiore flessibilità, controlli, formazioni e responsabilità. È il frutto di un ventennio di esperienza e della conoscenza di ogni struttura residenziale europea. Si auspica in tal senso la formazione di un gruppo di lavoro per l’emanazione di una Linea di Indirizzo che le Regioni dovranno utilizzare per aggiornare i criteri di accreditamento. La strada della conoscenza è lunga ma efficace.

Ci si aggiorni sui dati statistici della condizione di vita delle persone adulte con autismo che sono ancora costrette a vivere in casa con i propri genitori i quali, quando diventano anziani e non più in grado di badare ai propri figli, per disperazione sono disposti a ricoverarli dovunque, senza cioè una valutazione delle preferenze, del modello abitativo proposto, degli obiettivi educativi e di inserimento sociale. Si tratta di una popolazione di molte decine di migliaia ogni anno.
Poi arriva la responsabile del Centro Informare un H e sembra voglia cancellare tutto e costringere le persone con autismo ad essere ricoverate per mesi nei reparti psichiatrici ospedalieri, quando quella persona sarà priva di ogni assistenza e in attesa di un posto letto dovunque.
Forse c’è chi è concentrato ad approfittare di una fase favorevole, molto favorevole, se è vero che anche la proposta di modifica della Legge 112/16 sul “Dopo di Noi”, che doveva servire a tutelare proprio le persone con autismo e le loro famiglie, diventerà uno strumento in mano a tutte le persone con qualsiasi forma di disabilità senza più la restrizione dell’articolo 3, comma 3 della Legge 104/92. L’ANGSA farà valere queste ragioni contro ogni altra interpretazione perché rappresenta una condizione che vale il 95 % di ogni altra forma di disabilità messe assieme e il tempo ci darà ragione.

La Convenzione ONU è una legge sovranazionale, ma non è il Vangelo. E ritengo sia una stupidaggine anche la definizione di disabilità come “conseguenza di ostacoli o barriere che la società contrappone”. Vale solo per Giampiero Griffo, quando si lamenta che “il mondo ha costruito i gradini”.
La Legge 227/21 è stata praticamente scritta dalle grandi Federazioni di persone con disabilità ed è temerario che il Progetto di Vita possa includere la facoltà delle persone con disabilità di scegliere dove e con chi vivere. E credo sia preferibile ridimensionare queste pretese, per lasciare qualche risorsa a favore dell’assistenza delle persone con autismo.

*Presidente nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo). Le pagine di Superando sono naturalmente aperte ad ogni eventuale e motivata replica, in particolare da parte di chi sia stato chiamato in causa nel presente contributo.

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