«Condivido – scrive Salvatore Nocera – che i giovani debbano contestare il mondo fatto da noi vecchi, per adeguarlo alle loro attuali aspirazioni, ma credo che gli studenti dovrebbero cominciare a rifiutarsi di parlare già a partire dalla prima interrogazione del primo anno di scuola e non alla fine del ciclo di studi. E in ogni caso, la modalità di valutazione “selettiva” a scuola avrebbe dovuto da tempo cedere il posto a una valutazione “formativa”»
Sto leggendo con molto interesse articoli e commenti sul rifiuto di alcuni studenti/studentesse di sostenere l’esame orale agli esami di maturità. Questo mezzo di lotta studentesca ha aperto un dialogo a più voci, al quale vorrei unirmi, anche se ormai la mia età di quasi 88 anni certamente mi rende inequivocabilmente “uomo del secolo scorso”.
Condivido che i giovani debbano contestare il mondo fatto da noi vecchi, per adeguarlo alle loro attuali aspirazioni. Mi chiedo però se l’attuale modalità di lotta, adottata da queste sole poche unità, sia la più idonea a contestare il sistema di valutazione.
Io ho vissuto, da docente, il Sessantotto e mi sembra che le forme di lotta al tipo di scuola che, purtroppo, mi pare sia rimasta sostanzialmente ancora la stessa, fossero più efficaci perché più contestuali. Ricordo ad esempio la tecnica del cosiddetto “gatto selvaggio”, con la quale, appena iniziata la lezione ex cathedra, si alzavano a turno gli studenti attivisti che ti chiedevano una cosa e poi un’altra e così via sino alla fine dell’ora, impedendoti sostanzialmente di fare la lezione tradizionale.
Se adesso si vuole contestare il sistema attuale di valutazione, ancora purtroppo “selettiva”, gli studenti dovrebbero cominciare a rifiutarsi di parlare già a partire dalla prima interrogazione del primo anno di scuola. Farlo alla fine del ciclo degli studi, quando occorre rilasciare un titolo di studio, attualmente necessario, con il punteggio, per partecipare utilmente a tanti concorsi, mi sembra piuttosto sterile.
Anche a me, però, l’intervento del Ministro dell’Istruzione e del Merito non è sembrato appropriato, dal momento che questo è un modo di lotta che, pur se scarsamente incisiva, a mio avviso non è un comportamento lesivo del diritto di nessun terzo e quindi non censurabile disciplinarmente. Cosa diversa sarebbe se si impedisse lo svolgimento degli esami, ma questo è un comportamento pacifico che danneggia solo gli autori di esso i quali si vedono ridurre i voti di diploma, facendo perdere loro varie opportunità di successo nei concorsi.
Né si dica che il concorso è un modo competitivo da abolire. Nell’accesso ai pubblici uffici è infatti previsto costituzionalmente, come mezzo democratico per evitare i favoritismi e le parzialità contrarie alla vita democratica. Occorre scegliere le persone veramente preparate e competenti, tanto è vero che, in taluni concorsi, possono rimanere dei posti non attribuiti, anche se partecipano molti concorrenti ritenuti non in grado di accedere positivamente a quei posti.
A scuola, però, la modalità di valutazione “selettiva” avrebbe dovuto da tempo cedere il posto alla valutazione “formativa”, cioè a un dialogo, al termine del colloquio tra docente e studente, nel quale insieme si ragioni dove lo studente stesso è poco preparato o ha compreso poco e quindi merita una certa valutazione numerica o sintetica. Tale valutazione dovrebbe quindi indurre lo studente a rivedere le parti carenti e in un successivo dialogo convincere il docente che egli ormai ha colmato quel vuoto apprenditivo.
Don Milani pretendeva addirittura che i docenti dovessero destinare tutto il loro tempo a far sì che gli studenti raggiungessero la piena padronanza delle parole e dei periodi e quindi della capacità di essere autonomi e di non sentirsi scavalcare nella vita dai soliti “pierini”, resi capaci grazie alle lezioni private pomeridiane che, con lo stesso impegno, i docenti del mattino avrebbero dovuto usare con i tanti che non potevano permettersi le lezioni private.
Quindi anche don Milani riteneva necessaria la valutazione del livello di apprendimento raggiunto, pretendendo però che se ne spiegasse agli studenti il modo e il senso e che fosse strumentale e formativa e non il fine per cui competere con i compagni. Ad esempio, la modalità della “classe capovolta” con la quale, il docente fornisce inizialmente i criteri fondamentali dell’argomento da studiare e successivamente lo studente, dopo essersi preparato, pone lui le domande al docente su ciò che non ha capito, perché lo chiarisca meglio, mi sembra un modo stimolante di apprendimento valutabile congiuntamente, perché docente e studente sono consapevoli che l’insegnamento ha ottenuto il proprio fine, cioè l’apprendimento, non come travaso passivo di concetti, ma come appunto conquista apprenditiva, guidata dal docente stesso.
*Il presente contributo è già apparso in «La Tecnica della Scuola», con il titolo “Scena muta Maturità: la protesta sui metodi di valutazione dovrebbe iniziare ben prima della fine del percorso” e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore e con altro titolo, per gentile concessione.
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