Disabilità: svolgere insieme continue “prove tecniche di trasformazione”

di Roberto Speziale e Marco Faini*
«La trasformazione, le alleanze, i rischi, il coraggio e il tempo: sono i cinque punti in cui articoliamo questo nostro contributo a un dibattito sulla disabilità oggi, che coinvolge i contesti istituzionali, sociali, economici e culturali in cui viviamo e operiamo, in una fase che richiede di svolgere insieme continue “prove tecniche di trasformazione”»: lo scrivono scrivono Roberto Speziale e Marco Faini, prendendo spunto da un contributo di riflessione di Giovanni Merlo da noi pubblicato nei giorni scorsi
Portavoce degli Autorappresentanti con disabilità dell'ANFFAS
L’intervento del portavoce degli Autorappresentanti con disabilità dell’ANFFAS a un evento pubblico dell’Associazione

L’intervento di Giovanni Merlo, direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone fcon Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), intitolato Libere tutte, le persone con disabilità, ma proprio tutte, pubblicato nei giorni scorsi su queste stesse pagine, merita una replica che vorremmo venisse considerata come un contributo ad un dibattito che non può limitarsi tra noi e il direttore della LEDHA perché molto più complesso e articolato e che coinvolge i contesti istituzionali, sociali, economici e culturali in cui viviamo e operiamo.
Diciamo subito che sottoscriviamo il senso generale del suo intervento, sottolineando che il problema non sta in quello che è scritto, ma in quello che non è scritto.
Articoliamo questo nostro intervento in cinque punti.

Punto primo: il cambiamento, anzi, la trasformazione. La portata universale dei temi riproposti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità è tale da giustificare l’utilizzo di un’espressione divenuta di uso frequente: da parte nostra, e da sempre, vi è un’adesione senza se e senza ma. Da qui a considerare esaurito il dibattito su tali temi, e cioè il godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, per citare uno dei passaggi più significativi del Decreto Legislativo 62/24, quando affronta il principio/strumento dell’accomodamento ragionevole, ce ne vuole. Non perché si debba discutere se debbano essere adattati, ridimensionati o alleggeriti nel loro significato e valore, ma perché il raggiungimento di questi obiettivi di civiltà, fondativi del vivere contemporaneo, non può essere affidato “solo” al valore delle norme, ma richiede approfondimenti, esperienze, progettualità, investimenti. Sono insomma le azioni, i concreti passi con gli inevitabili insuccessi ed errori che hanno il compito di tradurre le norme in un processo di costante e lenta stratificazione, creando condizioni diffuse di consenso per giungere alla concreta applicazione e rispetto di tali princìpi. Esattamente quello che nel nostro piccolo stiamo tentando di fare, convinti che la trasformazione debba vedere nella qualità normativa dell’ordinamento solo un tassello (forse addirittura il più piccolo, anche se indispensabile e strategico), ma che siano poi i mille e mille rivoli delle azioni quotidiane ad alimentare il processo di trasformazione, perché il nemico con cui tutti noi dobbiamo fare i conti sta nella potenza dei pregiudizi, degli stereotipi, dei pigri e accomodanti paternalismi, parenti stretti del qualunquismo, dell’indifferenza civica e dell’assenza di solidarietà. Mille e mille rivoli che un’organizzazione come la nostra che ambisce, per scelta e non solo per obbligo normativo, a qualificarsi come Ente di Terzo Settore, non può lasciare alla libera iniziativa di chi la compone, ma che deve invece programmare, progettare e produrre instancabilmente per concorrere a creare quelle condizioni di rispetto dei princìpi e dei valori fondanti la trasformazione. E qui si innesta il secondo punto: le alleanze.

Tanto più il cambiamento assume dimensioni rilevanti tanto più forti sono e saranno le resistenze che si opporranno al cambiamento. Resistenze a tutto campo (culturali, professionali, organizzative) incluse quelle “inconsapevoli” esercitate da chi vede le persone con disabilità come destinatarie di cure e sostegni che possono ignorare la grande meta della partecipazione su base di uguaglianza con gli altri e che quindi considerano i servizi alla persona la prevalente, anzi l’unica, risposta possibile ai loro bisogni, indipendentemente dalle scelte delle persone su come, dove e con chi vivere.
Se, sommariamente, questo è il campo di gioco in cui stiamo agendo, è per noi imprescindibile agire in modo trasparente nel seguente modo: dichiarare e perseguire (per esempio con le azioni progettuali) in modo coerente le mete della Convenzione ONU, ma, al contempo, comprendere le resistenze da parte di chiunque incontriamo nel nostro cammino e cercare di conquistare, con infinita pazienza, alleati e compagni di cammino. Con delle priorità, dettate non da valutazioni di maggiore o minore importanza dei soggetti con cui tentare di stringere alleanze, ma dalla prevalenza delle sfide che la realtà di propone.
Per essere chiari, vediamo oggi prioritario, nel processo di implementazione della riforma (Legge 227/21) contribuire a costruire quel clima cooperativo che la riforma stessa descrive e che deve (non dovrà, o dovrebbe, ma deve) vedere le Istituzioni della Pubblica Amministrazione, le persone con disabilità e loro familiari e i rappresentanti e soggetti del Terzo Settore agire in modo coordinato e inclusivo, a partire dalla grande e avvincente sfida del protagonismo attivo della persona con disabilità («…per rimuovere gli ostacoli e per attivare sostegni utili al pieno esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, delle libertà e dei diritti civili e sociali nei vari contesti di vita, liberamente scelti», articolo 1, comma 1 del Decreto Legislativo 62/24).

E siamo al terzo punto di questa riflessione: i rischi.
Diffondere e difendere in modo convinto le grandi mete che ci indica la Convenzione ONU significa per noi fare i conti con le tante dimensioni e i volti della contemporaneità (si pensi, ad esempio, alla battaglia culturale sui temi del contrasto alle discriminazioni). In questa semplice, ma indispensabile cornice di consapevolezza crediamo si celi la vera sfida che stiamo vivendo: promuovere l’uguaglianza nei diritti in favore di persone che invece, per lungo, lunghissimo e inaccettabile tempo sono state considerate come persone per cui, in nome della “cura”, si poteva ignorare il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Una sfida che tutti noi abbiamo accettato, resa ancora più complicata dall’epoca che stiamo vivendo e che appare dominata dai disvalori dell’indifferenza verso i beni comuni, dall’accentuarsi delle disuguaglianze multilivello e, non ultimo, da una sorta di accettazione e ineluttabilità dell’avvio di conflitti armati sempre più estesi e globali: una situazione che genera la sensazione di avere intrapreso un compito quasi impossibile da compiere. Se non che, se non che, e proprio per il valore di quelle concrete azioni prima ricordate, sempre più persone (persone con disabilità, loro familiari, operatori pubblici e privati, contesti sociali, ecc.) hanno cessato di “meravigliarsi” dell’approccio alla disabilità basato sui diritti umani, e sono sempre di più i dubbi sull’efficacia del “vecchio” sistema.

Da qui il quarto punto di questo contributo: il coraggio. Avere il coraggio di aprire e provare nuove strade. Un coraggio che c’è, spesso auto-prodotto da tante realtà e da un numero crescente di persone e loro familiari, e che la nostra organizzazione cerca di rinnovare passo dopo passo, progetto dopo progetto.

E infine, il quinto e ultimo elemento che compone questo nostro contributo: il tempo.
Un tempo fatto di lavoro, impegno, critica, tentativi ed errori, e non certo un tempo inerte e silente. Il tempo è indispensabile per fare tutto ciò che sappiamo deve essere fatto, compresa la conversione in chiave inclusiva del concetto stesso di “servizio alla persona”.

Tornando allora al contributo di Giovanni Merlo confessiamo che, al termine della sua lettura, ci siamo detti che tutto quanto lì esposto non aiuta, nel senso che non ci fa pensare o intravedere cose che non fossero già note e, per quanto ci riguarda, condivise. Non ci consideriamo né più preparati né più impreparati di altri, ma quel modo di descrivere le mete della Convenzione ONU crediamo abbia fatto il suo tempo, che non serva più di tanto, soprattutto perché ignora quel tanto (o quel poco, a seconda dei punti di vista) che si sta facendo, perché oggi è vitale impegnare tutte le nostre energie per compiere ogni azione utile a concretizzare in politiche e prassi la Convenzione ONU.
Per quanto ci riguarda, avendo appena concluso un’Assemblea Nazionale che si è assunta il compito di traguardare il 2030 come soglia temporale entro cui “devono accadere delle cose” nella nostra organizzazione, abbiamo condiviso gli elementi essenziali del nostro cammino prossimo venturo:
° Promuovere e garantire il protagonismo della persona con disabilità: ANFFAS ha mutato la propria genesi fondativa ed è divenuta Associazione di Famiglie e di Persone con Disabilità, ha fatto della partecipazione della persona con disabilità uno “standard di qualità” imprescindibile in tutte le iniziative progettuali degli ultimi dieci anni, ha attivato la prima piattaforma nazionale degli autorappresentanti, ha costituito una rete con oltre 50 sportelli per il contrasto alle discriminazioni e la tutela delle vittime.
° Definire la centralità strategica del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato: abbiamo agito, spesso in splendida solitudine, nel promuovere anche nelle aule di giustizia il valore strategico dell’articolo 14 della Legge 328/00 e continuiamo a difendere il principio di autonomia e indipendenza delle persone con disabilità, anche rispetto agli aspetti economici, tutelandone i diritti nei confronti delle pretese illegittime relative alla compartecipazione al costo dei servizi.
° Conoscere il quadro normativo e affinare la capacità tecnica-operativa basata su modelli e strumenti scientificamente validati è elemento imprescindibile per l’appartenenza e la permanenza nella nostra rete associativa e gestionale.
° Tradurre in termini concreti e distintivi la riforma del Terzo Settore attraverso il Codice di Qualità e Autocontrollo impostato e tratto dalla Convenzione ONU, assunta come “manuale di qualità” a cui riferirsi per lo svolgimento delle proprie attività, siano esse attività di advocacy che di gestione ed erogazione di sostegni.

E infine, per venire e concludere sul tema dei servizi, abbiamo maturato la serena e lucida consapevolezza che l’approccio alla disabilità basato sui diritti umani comporta la conversione del sistema dei servizi, così come siamo convinti che occorre dirigere altrettanti sforzi per allestire contesti di vita sempre più inclusivi. Ma per le ragioni esposte nei cinque punti di questo intervento, occorre, e da subito, aprire una stagione in cui si inizi a progettare, programmare per poi sperimentare un nuovo sistema in sostituzione del vecchio.
Dobbiamo affrontare ora, e non domani, temi come la flessibilità organizzativa del lavoro, la gestione di spazi e attività in contesti comunitari nel rispetto della sicurezza, le nuove professionalità necessarie ad affrontare le sfide generate dalla visione inclusiva dei contesti e dei servizi, il riesame dal punto di vista giuridico dei livelli di responsabilità degli operatori nell’attuazione di esperienze inclusive, l’abbandono delle attuali forme e strumenti utilizzati dalla Pubblica Amministrazione per verificare l’appropriatezza dei sostegni erogati in favore di forme e strumenti che verifichino, a partire dal coinvolgimento della persona con disabilità e di chi la rappresenta, l’effettivo esito in termini di miglioramento della qualità di vita, il finanziamento del nuovo sistema basato sui sostegni, il mantenimento (per quali situazioni, con quali standard di funzionamento, con quali livelli di piena tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali della persona) di servizi specialistici per affrontare le difficoltà che la persona può incontrare nel corso della sua vita, le concrete misure e politiche a sostegno dei familiari, anche in termini di politiche previdenziali, la stesura e l’avvio di programmi sulle necessità abitative dettate dall’incremento dei progetti di vita autonoma e indipendente.

Se non parliamo di questo, il grande rischio che abbiamo di fronte è assistere alla saldatura di tre soggetti (o meglio, di parti di essi) che manifestano, per diversi motivi, inerzie e resistenze alla trasformazione: Pubblica Amministrazione che non intende modificare le prassi consolidate di una presa in carico prevalentemente assistenziale e in perenne emergenza (si vedano le lunghissime liste di attesa per la fruizione di servizi, soprattutto residenziali), soggetti gestori di servizi anche di Terzo Settore che non intendono “cambiare il certo per l’incerto”, familiari preoccupati dall’attenuazione dei sostegni sin qui ricevuti e poco convinti della concretezza delle mete di libertà, indipendenza e non discriminazione proposti dalla Convenzione ONU.
Occorre invece – facendo tesoro di quanto di positivo si sta muovendo nel Paese, sia sul versante della Pubblica Amministrazione che su quello delle gestioni di servizi, che da tanta parte dell’Associazionismo familiare e delle persone con disabilità – svolgere insieme continue “prove tecniche di trasformazione”. Di questo abbiamo bisogno, e solo ora, al termine di questo contributo, ci permettiamo un cambio di “stile” e ci permettiamo di dire che di certo non abbiamo bisogno di richiami massimalisti.

*Rispettivamente presidente nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo) e componente del Centro Studi Giuridici e Sociali dell’ANFFAS Nazionale.

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