La sindrome di Down e una corretta informazione sulle più recenti scoperte scientifiche

«Oggi  la speranza delle ricerche sulla sindrome di Down si fonda su tante strade già in corso di sperimentazione e sulla passione e l’impegno di tanti gruppi di ricerca, tra cui molti italiani»: lo dichiara Lucio Nitsch, coordinatore della Down Syndrome Task Force, la rete di ricercatrici e ricercatori italiani che da anni lavora per promuovere la ricerca scientifica sulla sindrome di Down e per la divulgazione delle più corrette informazioni sulle ultime scoperte effettuate, insieme all’AIPD e al CoorDown

Giovane donna aduulta con sindrome di Down«La prospettiva che la ricerca scientifica ci dà oggi è molto importante e si capisce con un’immagine semplice: è come se ogni persona con sindrome di Down portasse sulle spalle uno “zainetto” pieno di sassi, che rende molte attività più difficili o più lente. I ricercatori non cercano di “eliminare la sindrome”, ma di togliere sassolini dallo zainetto per rendere più agevole il cammino. Per questo lavoriamo a stretto contatto con la Down Syndrome Task Force, per informare le persone con sindrome di Down e le loro famiglie su come può migliorare la qualità della vita e in quali fasi»: lo dichiarano Gianfranco Salbini e Martina Fuga, presidenti rispettivamente dell’AIPD (Associazionre Italiana Persone con Sindrome di Down) e del CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down), in una nota congiunta riguardante i passaggi più recenti della ricerca sulla sindrome di Down, diffusa dalla Down Syndrome Task Force, la rete di ricercatrici e ricercatori italiani che da anni lavora appunto per promuovere la ricerca scientifica sulla sindrome di Down e per la divulgazione delle più corrette informazioni sulle ultime scoperte effettuate, insieme alla stessa AIPD e al CoorDown.

Si parla innanzitutto dello studio pubblicato nello scorso mese di febbraio da parte di un gruppo di ricercatori giapponesi, tra cui Ryotaro Hashizume e Hiroki Kurahashi, arrivati a parlare addirittura di una «cura per la sindrome di Down». Essi infatti sono riusciti, per la prima volta, a rimuovere una delle tre copie del cromosoma 21 da cellule umane coltivate in laboratorio. «Si sa da molti anni – spiegano a tal proposito dalla Down Syndrome Task Force – che nella sindrome di Down le cellule hanno tre copie (anziché due) del cromosoma 21, e proprio questa copia in più è alla base delle difficoltà cognitive e dei problemi di salute associati alla sindrome, inclusa la frequenza elevata di demenza di tipo Alzheimer. Il risultato è, quindi, molto interessante dal punto di vista della ricerca». «E tuttavia – si aggiunge – bisogna fare molta attenzione: si tratta infatti di un risultato ottenuto solo in laboratorio, in cellule coltivate in un ambiente controllato. Non è una cura, né qualcosa che si può applicare oggi alle persone e per capire perché, bisogna sapere che per ottenere tale risultato è stato necessario usare sofisticate strategie di ingegneria genetica e introdurre nelle cellule particolari enzimi in grado di tagliare il DNA in punti precisi: una tecnica basata sul “taglia e incolla” del DNA, chiamata CRISPR/Cas9, che sarebbe oggi impossibile da fare nel cervello umano, perché bisognerebbe, tra l’altro, fare arrivare nel cervello questi enzimi, e altre molecole, superando una barriera naturale che lo protegge; farli quindi entrare nelle cellule nervose, evitando che la loro attività le danneggi; soprattutto garantire che tutto avvenga in modo efficace, sicuro e preciso, senza effetti collaterali. Ebbene, siamo ancora molto lontani da queste possibilità».

Nel frattempo, però, la ricerca non si ferma. Poco più di un anno fa, ad esempio, nel mese di giugno 2024, durante un importante congresso internazionale tenuto a Roma e organizzato da ricercatori italiani, coordinati da Eugenio Barone, si è discusso anche di queste possibilità future nel corso del simposio intitolato La terapia genica è una prospettiva nella sindrome di Down? cui ha partecipato anche uno degli autori del citato studio giapponese.
«Molti laboratori in Italia e nel mondo – ancora sottolineato dalla Down Syndrome Task Force – stanno lavorando all’inattivazione di una copia del cromosoma 21 o anche all’eliminazione di alcune sue porzioni, ma molti stanno anche percorrendo strade più vicine all’applicazione clinica. In particolare, ci sono oggi diversi farmaci in sperimentazione che potrebbero migliorare le capacità cognitive o rallentare la comparsa della malattia di Alzheimer nelle persone con sindrome di Down. Due di essi (AEF0217 e Bumetanide) vengono sperimentati anche in Italia e a questi si aggiungono metodi non farmacologici, come la stimolazione cerebrale con correnti elettriche o magnetiche, che si stanno rivelando promettenti.
«Oggi dunque – commenta – Lucio Nitsch, professore emerito dell’Università di Napoli Federico II e coordinatore della Down Syndrome Task Force – la speranza si fonda soprattutto su queste tante strade già in corso di sperimentazione e sulla passione e l’impegno di tanti gruppi di ricerca, tra cui molti italiani. La maggior parte di questi ultimi è rappresentato nella nostra Task Force, che ogni anno organizza un convegno scientifico e divulgativo con l’obiettivo di rendere accessibile il dibattito tra studiosi e illustrare le ultime novità. Il prossimo si terrà a Napoli dal 17 al 19 ottobre e sarà gratuito e aperto a tutti: persone con sindrome di Down, familiari, ricercatori, medici, operatori, insegnanti. Un’occasione, quindi, da non perdere». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampaaipd@gmail.com, ufficiostampa@coordown.it.
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