In portantina al tempio di Elephanta

a cura di Barbara Pianca
Un altro viaggio-avventura per Giampiero Griffo, del Consiglio Direttivo della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) e di quello mondiale di DPI (Disabled Peoples' International). Infatti, dopo il racconto della sua "scalata" al sito archeologico di Machu Picchu in Perù - da noi pubblicato qualche tempo fa - presentiamo questa volta ai Lettori che amano le storie di turismo un po' "azzardato" un'altra avventura che, almeno sulla carta, potrebbe sembrare piuttosto complicata da organizzare per una persona in carrozzina. Si tratta infatti della visita a un tempio indiano collocato nell'Isola di Elephanta e raggiungibile solo dopo avere affrontato tanti e tanti scalini e cantando anche "'O sole mio"...

Giampiero Griffo sulla portantina che lo ha portato nell'Isola di Elephanta in IndiaNon il celebre sito archeologico peruviano di Machu Picchu, questa volta (se ne legga nel nostro sito cliccando qui), ma Elephanta, un’isola che ospita un tempio scavato interamente dentro la roccia, e costituito quindi da una serie di grotte, costruito su un’isola del Golfo di Mumbai, in India. Il tempio è dedicato alla divinità Indù Shiva, rappresentata in varie situazioni topiche e nella sua dualità maschile e femminile. L’isola si chiama così per via di una serie di elefanti scolpiti nella roccia e dagli anni Ottanta rientra nei Patrimoni dell’Umanità stilati dall’Unesco.
Giampiero Griffo, del Consiglio Direttivo della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e di quello Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International) ci si recò nell’aprile del 2010, quando si trovava in India in quanto parte del comitato scientifico di una ricerca innovativa sulla riabilitazione. Allora aveva approfittato per regalarsi qualche giorno di vacanza e tra le mete turistiche, aveva deciso di esplorare Mumbai e la vicina isoletta di Elephanta.
«In effetti nella guida turistica c’era scritto che dopo avere raggiunto l’isola con un traghetto, ci sarebbero stati qualcosa come trecentocinquanta scalini per arrampicarsi sulla collina e non c’era alcun riferimento a eventuali soluzioni di accessibilità», racconta. Pensiamo che un’informazione del genere per una persona in carrozzina comporti il più delle volte la scelta di rinunciare alla visita. Non nel caso di Giampiero. «Ero perplesso, in effetti» si limita a dirci. Ma nulla più.
Insomma, la storia continua così: Griffo chiede all’hotel di poter avere con sé l’autista, ad aiutarlo insieme al suo assistente personale, venuto con lui in India dall’Italia. «Sono partito con questa incertezza. Chissà come sarebbe andata, mi chiedevo».

Che commenti puoi fare sull’accessibilità per raggiungere il tempio, prima ancora di parlarci di come hai affrontato quell’infinità di gradini?
«Già al molo le regole di accessibilità non sono propriamente rispettate. La nave è accessibile nel modo in cui lo sono anche molti traghetti veneziani. E cioè nel senso che un posto per metterti con la carrozzina lo trovi, ed è già qualcosa, visto che in molti mezzi di trasporto non c’è neanche questo. Ma mancano gli agganci per bloccare la sedia a rotelle, che quindi sta ferma solo grazie ai suoi propri freni e al sostegno degli assistenti. Quanto alla “montata”, il personale locale si è messo a disposizione per aiutarmi a salire, visto che per raggiungere la nave ci sono degli scalini. Inoltre l’ormeggio non è saldo e l’imbarcazione traballa, avvicinandosi e distanziandosi dal molo, proprio come a Venezia».

Ricordiamo che già nell’altro articolo in cui raccontavamo dell’avventura di Griffo a Machu Picchu, Giampiero ci aveva spiegato che mentre di solito è molto rigido per quanto riguarda il rispetto delle norme di accessibilità, quando viaggia in luoghi dove tali norme non sono ancora diffuse il suo spirito cambia e cerca di adattarsi. Dove ci sono dei pericoli, quando decide di assumerli lo fa a proprio rischio.

Una volta arrivato all’isola e sceso dal treno cos’è successo?
«C’è un percorso di circa ottocento metri. Si può fare a piedi, ma c’è anche il trenino che porta fino a sotto la collina. Siccome non è possibile salirci insieme alla carrozzina, mi sono fatto spingere e ho rinunciato al treno».

Veduta esterna di un ingresso al tempio dell'Isola di ElephantaSotto il sole?
«Sì, in effetti il sole è cocente. Suggerisco a tutti di portarsi un cappello o un ombrellino da sole. Fa talmente caldo che una volta ho cantato ‘O sole mio per i miei amici indiani e quando ho spiegato che il testo della canzone si riferiva a una bella giornata di sole, mi hanno risposto perplessi che siccome da loro il sole è piuttosto aggressivo, una bella giornata non può essere che una giornata nuvolosa!».

Finita la camminata a cosa ti sei trovato di fronte?
«A uno spiazzo con piccoli ristorantini. I bagni non sono accessibili e ci sono uno o due gradini per entrare nelle sale da pranzo. Però è stato proprio in quel momento, guardandomi intorno, che ho scoperto una cosa che mi ha lasciato piacevolmente sorpreso: siccome gli scalini da salire sono davvero parecchi, a pagamento esiste la possibilità di venire trasportati in una specie di portantina. Assomiglia alla sedia gestatoria utilizzata dal Papa. Si tratta insomma di un baldacchino, una sedia di legno molto robusta, sostenuta da dei pali messi sulle spalle di due uomini giovani e forti. In tutto ce ne sono a disposizione due, forse tre».

Non è una sedia pensata per persone con disabilità, però.
«No, infatti. Non ha corde né lacci ed è fatta in legno. Non ci sono cuscini. Io mi sono portato il mio. Chi ha problemi di seduta o stazionamento deve tenerne conto per attrezzarsi».

Il costo è considerevole?
«Mi pare, se ricordo bene, che corrisponda a nemmeno 10 euro».

Sei riuscito a raggiungere il tempio, quindi!
«Certo! E l’esperienza di venire trasportati così in alto, lungo questa scalinata alla cui destra e sinistra sono collocati tutta una serie di negozietti turistici e bancarelle, è stata emozionante».

Ti è piaciuta?
«Direi che è davvero un’esperienza. Vedevo i turisti dall’alto che salivano e scendevano e il mio assistente che mi portava la carrozzina. I due ragazzi che mi hanno trasportato avranno avuto 20, 25 anni e si sono fermati una volta soltanto. Andavano veloci. In fondo vedevo la montagna e al ritorno qualche volta sono riuscito a vedere il mare. Ci sono dei teloni che coprono la camminata per proteggere le persone dal sole e qualche volta mi hanno coperto la vista. Qualche volta ho dovuto perfino abbassarmi».

Una veduta dalla portantina in discesa verso il mareIl tempio è stato facile da visitare?
«Non ho potuto vedere proprio tutto tutto, ma nell’ala principale c’è una rampa e attraversandola sono entrato in un grande stanzone scavato nella roccia e tenuto su da delle colonne».

Era tutto come ti aspettavi?
«Il posto è incantato. Dall’alto si vede il mare. C’è un silenzio da campagna, ci sono gli insetti e i piccoli animali che abitano la campagna. Il tempio è misterioso e in effetti non si sa bene perché sia stato costruito. È magico, davvero fuori dal mondo. E poi è freschissimo. È stato un piacere anche fisico, dopo la sudata sotto il sole cocente. All’ombra delle pietre che emanano tanta frescura, ci sono diverse statue di varie divinità, con i rispettivi altari».

È un luogo molto turistico?
«Secondo me no, è un posto tranquillo. I traghetti portano solo trenta, quaranta turisti alla volta e lo fanno ogni mezz’ora. Man mano la gente torna indietro e quindi non ce n’è mai troppa contemporaneamente. Non c’è mai una folla esagerata. Io poi mi sono fermato più del tempo “standard” per la visita, perché volevo godermi fino in fondo quello spazio di bellezza artistica e naturale e le emozioni che suscitava in me».

Hai scelto di osare e ti è andata bene, insomma!
«Sì. Non è che vada sempre bene, ma quello che voglio dire è che non è vero che viaggiare in Paesi non sviluppati significa per forza non trovare soluzioni per l’accessibilità. A volte, come in questo caso, piacevoli sorprese ci possono aspettare».

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