Alex Zanardi, un italiano di cui andare fieri

di Franco Bomprezzi*
«L'unica cosa che Zanardi sa fare - scrive Franco Bomprezzi, commentando il trionfo di quest'ultimo in handbike, alla Maratona di New York - è cercare di vincere. In macchina o in handbyke, l'importante è fare il possibile per vincere. Ed è questo messaggio che lo rende popolare e amato anche da coloro che non possono neppure lontanamente immaginare di competere con lui, o con i campioni come lui». E aggiunge: «Non stiamo parlando di una "storia strappalacrime", del "riscatto di un campione di automobilismo sfortunato" dall'amputazione di entrambe le gambe. Siamo invece in presenza di un grande atleta, che a dieci anni dall'incidente che gli ha cambiato la vita e la prospettiva di carriera, ha saputo costruirsi nel tempo un nuovo vincente progetto di vita. In questi giorni così difficili, davvero un italiano del quale andare fieri, senza mai dimenticare, naturalmente, i tanti "campioni invisibili" che affrontano ogni giorno la sfida difficile e complessa di un "progetto di vita", esercito silenzioso e dignitoso di chi non si rassegna»

Alex Zanardi ha trionfato con il suo handbike alla recente maratona di New YorkIl 6 novembre scorso Alex Zanardi ha letteralmente stravinto, con il suo handbike, la Maratona di New York, stabilendo il record assoluto della manifestazione – per questa categoria – in 1 ora, 13 minuti e 58 secondi. In attesa ora di tentare il “colpo grosso” alle Paralimpiadi di Londra 2012, Zanardi si appresta anche a tornare in TV, il 12 novembre, con il suo programma di Raitre E se domani. Fin qui le notizie, di seguito il commento di Franco Bomprezzi.

Alex la chiama “la bicicletta”. E ha ragione. Nel mondo che anni fa ho inventato, nel mio libro La contea dei ruotanti, tutti erano seduti in carrozzina (un mondo assurdo, ma con la fantasia tutto è lecito). E dunque quella che tecnicamente si chiama “handbike” (letteralmente “bicicletta a mano”) sarebbe solo e semplicemente una bicicletta da corsa. E infatti la sua impresa sportiva, a New York, va valutata, tecnicamente, proprio con il metro di paragone del campione di ciclismo. Basti pensare che con una handbike si raggiungono, in volata, i 50 chilometri all’ora.
I 42 chilometri percorsi a forza di braccia in poco più di un’ora danno la misura tecnica di questo sport, se si pensa che un maratoneta “camminante” ci mette quasi un’ora di più.
Ci sarebbe poi da aggiungere anche il dettaglio, non secondario, dell’età di Zanardi, classe 1962: a quasi cinquant’anni Alex, con la caparbietà dei suoi allenamenti, è davvero un fenomeno sportivo di rara potenza.
Sono piccole notazioni, ma necessarie per far capire a chi legge che in questo caso non stiamo parlando di una “storia strappalacrime”, del “riscatto di un campione di automobilismo sfortunato” dall’amputazione di entrambe le gambe. Siamo invece in presenza di un grande atleta, che a dieci anni dall’incidente che gli ha cambiato la vita e la prospettiva di carriera, ha saputo costruirsi nel tempo un nuovo vincente progetto di vita.
L’unica cosa che Zanardi sa fare è cercare di vincere. In macchina o in handbyke, l’importante è fare il possibile per vincere. Ed è questo messaggio che lo rende popolare e amato anche da coloro che non possono neppure lontanamente immaginare di competere con lui, o con i campioni come lui.
Alex Zanardi, in questi giorni così difficili, è davvero un italiano del quale andare fieri. Per la sua normalità, per il candore con il quale ammette di non volersi sentire una bandiera o un esempio. Non concede nulla alla retorica, al melenso buonismo dei cronisti sportivi che quando affrontano le imprese paralimpiche dimostrano – quasi tutti – una drammatica inadeguatezza professionale e persino lessicale.
Le punte di eccellenza della disabilità non ci devono mai far dimenticare quanti – e sono tanti – affrontano ogni giorno la sfida difficile e complessa di un “progetto di vita”. Sono i campioni invisibili, l’esercito silenzioso e dignitoso di chi non si rassegna. Mai.

*Direttore responsabile di Superando.it.

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