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Uno dei nostri “ciceroni di fiducia” è senz’altro Giampiero Griffo, del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), che ha già condiviso con noi alcune delle sue numerose esperienze di turista curioso e coraggioso. Lo spirito di questi resoconti continua ad essere sempre lo stesso: anche chi ha limitazioni nella mobilità può, se ne ha voglia e interesse, osare esplorazioni del mondo azzardate, fuori da percorsi accessibili a norma di legge e soprattutto di comprovata sicurezza.
Questa volta, dunque, Griffo ci accompagna in Sudafrica, dove – in uno dei parchi naturali per cui questo Stato è famoso – ha incontrato ghepardi, rinoceronti e ppopotami.
Quale parco hai scelto di visitare?
«Il Kruger è il più famoso e il più grande. Volevo andare lì a dire il vero, ma poi per dove mi trovavo io era troppo distante e gli spostamenti diventavano troppo laboriosi da orchestrare. Allora ho optato per il secondo più grande. La prima cosa importante da controllare, visto che la visita l’ho organizzata all’ultimo momento, quando già mi trovavo in Africa, è stata l’accessibilità delle camere d’albergo all’interno del parco. Prima lieta sorpresa: accessibili e lo sarebbero state anche quelle del Kruger. L’Ente Parco è disponibile e preparato a fornire tutte le informazioni necessarie».
Non esistono agenzie specializzate?
«A dire il vero ne avevo trovata una e chi fosse interessato può contattarmi e sono disponibile a passare il riferimento. Personalmente, però, non mi ha convinto la proposta del pacchetto che offriva. Così non mi ci sono appoggiato e mi sono invece messo a punto una due giorni intensa e del tutto autogestita».
Prima di portarci dentro al parco, cosa puoi dire dell’accessibilità in Sudafrica più in generale, in base alla tua esperienza?
«L’accessibilità è direi al di sopra della media. Per cominciare, già in aeroporto si possono noleggiare auto modificate per bisogni specifici. Il nuovo regime non aparthaid ha dato un’attenzione particolare al rispetto dei diritti umani. Le nuove leggi sono state vagliate da un comitato nazionale che si doveva preoccupare di far rispettare tali diritti e al suo interno c’era anche una persona con disabilità. Per fare un esempio pratico, nelle città i marciapiedi hanno le rampe e anche l’ingresso ai negozi e agli edifici in generale è nella maggior parte dei casi studiato in modo che ci sia una via d’accesso anche per le carrozzine».
Come ti sei mosso all’interno del parco?
«Con la jeep. È questo l’unico dettaglio che fa della mia esperienza un’autentica avventura, un po’ azzardata per chi come me ha una mobilità ridotta. La jeep, infatti, è scoperta e ha i sedili sul retro disposti a semicerchio. Ho dovuto chiedere a chi mi assisteva e all’autista di sistemarmi sul sedile del passeggero davanti e da lì non mi sono più mosso. Chiaro che non è comodissimo e chiaro che chi ha una patologia grave che richiede speciali attenzioni non può fare una scelta del genere. Esistono però, come dicevo prima, auto attrezzate e chiuse, con cui si può entrare nei parchi. Ma il fatto è che la jeep è un’altra cosa. La jeep permette di arrampicarsi ovunque, e poi essendo scoperta, lascia i passeggeri a diretto contatto con l’ambiente naturale. Con un rischio – ma questo non riguarda più solo le persone con disabilità – per via degli animali di grossa taglia che potrebbero sempre avere imprevedibili reazioni aggressive».
È qualcosa che capita con quale frequenza?
«Quasi nulla in effetti. Gli animali se non si sentono minacciati non attaccano la jeep. Bisogna proprio andarsela a cercare, la disavventura. Ma qualche volta, molto raramente, sono avvenuti degli incontri pericolosi. D’altronde siamo noi umani che entriamo in casa loro. Loro nei parchi vivono allo stato naturale, non ci sono gabbie, non vengono minimamente addomesticati, semplicemente, con il via vai quotidiano delle jeep dei turisti, si sono abituati a questa presenza e, una volta accertato che da questi veicoli non proviene alcuna minaccia, ci convivono senza preoccuparsene troppo».
Di che animali stiamo parlando?
«Bufali, elefanti, rinoceronti, ippopotami».
Quanto da vicino li hai visti?
«Le guide danno tutte le istruzioni necessarie. Bisogna rimanere in silenzio e spegnere il motore. Se si è fortunati ci si riesce ad avvicinare anche di pochi metri. Certo, essendo gli animali allo stato brado, scappano quando una jeep si avvicina, ma siccome ci sono anche un po’ abituati, come dicevo, non vanno necessariamente troppo lontano».
Hai incontrato qualche animale che ti ha emozionato in particolare?
«Ho accarezzato un ghepardo».
Accarezzato?!
«Mi spiego meglio, sì. All’interno del parco c’è una clinica per felini. Vengono curati quelli ammalati o feriti, ma c’è anche un recinto con due ghepardi, due fratelli, tenuti lì per i turisti. Sono addomesticati in qualche misura. Abituati ad essere toccati. Certo, sono sempre ghepardi e mi è stato richiesto di seguire delle speciali cautele, ma anche anziani e bambini potevano avvicinarsi loro, quindi non direi che il pericolo fosse tanto alto».
Quali cautele?
«Mi hanno suggerito di non guardarli negli occhi, di non fare movimenti bruschi, di non interrompere gli scambi di sguardi tra i due fratelli».
Secondo te i due ghepardi avevano mai visto una carrozzina prima?
«Forse no, ma di certo non si sono scomposti. Comunque è stata un’emozione forte accarezzare un ghepardo. Avevo anche un minimo di paura, ma poi mi sono reso conto che quei due fratelli erano animali tranquilli e qualsiasi tipo di incidente sarebbe piuttosto dipeso da me, da qualche mia imprudenza o goffaggine».
Felini allo stato brado invece non ne hai visti?
«Non è che non ci siano. Solo che sono ritrosi, tendono a stare nascosti all’arrivo delle jeep. Mi hanno spiegato che è difficile incontrarli perché si muovono in fretta e scappano subito, appena avvertono da lontano il rumore del motore, oppure rimangono nascosti».
Nella lista degli animali che hai incontrato hai fatto riferimento anche agli ippopotami. Sei andato lungo un fiume?
«Esatto. Questa è stata un’altra avventura. Sono stato in un battello. Che a dire il vero si è mostrato comodo. Più che altro il problema è stato l’accesso al pontile, perché c’erano degli scalini e mi hanno dovuto prendere in braccio».
Poi la navigazione com’è andata?
«Bene. Abbiamo percorso una foce e raggiunto alcune famiglie di ippopotami. Loro sono vegetariani, non gli viene in mente di disturbarti. Ci siamo fermati a una certa distanza e hanno continuato a fare quello che facevano prima, camminano sott’acqua in branchi di tre, quattro famiglie. Sono una specie protetta, qui nessuno li caccia. Ho sentito dire che la loro carne è molto buona. Parchi come quello che ho visitato tutelano diverse specie dagli attacchi dei cacciatori. All’inizio erano stati creati per i turisti, ma poi hanno anche assunto il senso di tutelare gli animali e garantirne il ripopolamento».
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