Alle organizzazioni italiane del volontariato

del Mo.V.I. - Movimento di Volontariato Italiano
Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo questa lettera aperta inviata dal Mo.V.I. (Movimento di Volontariato Italiano), in occasione della quinta Conferenza Nazionale del Volontariato, in corso a Napoli fino al 15 aprile

Disegno simbolo del volontariatoCari amici, le ricerche condotte negli ultimi anni e la nostra stessa esperienza di volontari radicati nei diversi territori del nostro Paese ci dicono che il volontariato italiano attraversa una fase di profondo cambiamento e di crisi.
Siamo convinti che tutte le crisi possano generare fermenti di cambiamento sociale ed essere momenti positivi. Per questo vogliamo condividere con voi alcune preoccupazioni ed alcune riflessioni, per contribuire a fare della Conferenza di Napoli un momento di crescita.
Non vogliamo dare l’impressione di essere maestri. Le stesse organizzazioni federate al Mo.V.I. vivono i cambiamenti, le contraddizioni e i disagi di cui parliamo. Siamo insieme in ricerca, per rendere l’esperienza del volontariato più fedele a se stessa e più capace di operare per il cambiamento sociale del nostro Paese.

1. Confermando l’attualità della Carta dei Valori del Volontariato, siamo convinti che non abbiano perso valore (anzi, siano ancora fondamentali) le due connotazioni distintive del volontariato: la gratuità e la solidarietà.
Sono i tratti della nostra identità che più chiariscono il nostro specifico ruolo nella società. Sono gli “strumenti operativi”, che ci consentono di perseguire – nel modo proprio del volontariato – gli obiettivi di inclusione sociale, giustizia, promozione umana, tutela dei beni comuni.
Altre modalità sono ugualmente importanti, ma non sono le nostre!

2. Scegliere oggi la gratuità significa rinunciare a realizzare servizi sociali professionalizzati e complessi. Non perché questi non servano, anzi! Non spetta a noi farlo, è compito delle istituzioni e delle imprese sociali, che possono mettere in gioco risorse adeguate per pagare i professionisti e per dotarsi dell’organizzazione e delle attrezzature necessarie.
Il nostro servizio non si traduce nella logica dei servizi (che pensiamo il volontariato debba superare), ma si gioca nella dimensione delle relazioni umane, del radicamento, della costruzione delle reti comunitarie, dell’azione educativa e culturale, dell’esercizio della cittadinanza attiva.
I servizi che da volontari possiamo curare, limitatamente ad una logica di sperimentazione o per rispondere ad emergenze sociali, sono quelli che discendono dalla lettura dei nuovi bisogni del territorio, senza comunque dimenticare di sollecitare la comunità, e in particolare i soggetti competenti, a farsene carico e a dare stabilità alle sperimentazioni che risultano adeguate.
Servizi comunque leggeri e fondati sulla logica della condivisione, attenti alle persone e alle relazioni, flessibili e capaci di promuovere e valorizzare le realtà esistenti e attivare collaborazioni in rete sul territorio.

3. Per questo motivo, ribadiamo la scelta di non erogare mai rimborsi spese forfettari, di cui i volontari non hanno bisogno e che dappertutto – e soprattutto nel Sud – possono rappresentare forme di lavoro nero e incentivare prassi di illegalità.

Volontariato con anziano in carrozzina4. Se non ci lasciamo sopraffare dalla logica dei servizi, se non inseguiamo le imprese sociali sul loro terreno, se confermiamo che la nostra attività è fondata sulla gratuità e sul dono del tempo dei volontari, allora possiamo ribadire che le nostre associazioni non hanno bisogno di tante risorse finanziarie per esistere. Bastano quelle sufficienti ad assicurare la disponibilità di una sede, il pagamento delle utenze, un po’ di attrezzature e poco altro, considerato che per la formazione e gli altri servizi importante è il supporto che può venire dai CSV [Centri Servizio Volontariato, N.d.R.].
Può sembrare un discorso troppo radicale, ma lo riteniamo necessario nell’ottica di liberare il volontariato da alcuni fraintendimenti che rischiano di confondere e svilire il suo specifico ruolo nella società. Oggi c’è sempre più bisogno che i soggetti imprenditoriali (profit e no-profit) facciano impresa e la facciano bene, e che i cittadini facciano i cittadini.

5. D’altra parte, non sempre è facile procurarsi le poche risorse necessarie. Da anni si sostiene che dare contributi per la gestione ordinaria delle associazioni potrebbe sviluppare atteggiamenti assistenzialistici o opportunistici. È divenuta prassi, dunque, erogare le risorse solo per il finanziamento di progetti.
Ma a noi sembra che questa prassi stia deformando le priorità del volontariato. Infatti, gli obiettivi vengono scelti di frequente a partire non dai bisogni che si leggono, ma dai vincoli posti dai bandi a cui si deve partecipare.
Non si sviluppa una sana progettualità sociale, ma una competenza tecnica solo orientata a rispondere adeguatamente alle procedure e alle formule previste.
Alla luce di ciò, riteniamo necessario ripensare i modelli di sostegno economico e prevedere forme di finanziamento delle spese essenziali al funzionamento delle organizzazioni di volontariato. Questo dovrebbe essere fatto escludendo comunque il pagamento di personale, fissando un limite coerente con le reali esigenze di un’organizzazione di volontariato e stabilendo regole chiare e vincoli stringenti che escludano organizzazioni che hanno finalità diverse dall’operare per il solo beneficio di terzi e della collettività e con l’effettivo apporto gratuito dei soci volontari.
È una scelta dovuta perché il volontariato è un bene in sé, produttore di “capitale” sociale e di valori, promotore di “educazione civica” e di una diffusa cittadinanza attiva.

6. Il rischio che si incentivi una progettualità solo strumentale all’acquisizione di risorse per le organizzazioni lo intravediamo anche nelle prospettive di azione della Fondazione per il Sud [soggetto privato nato nel settembre del 2006, per iniziativa e progetto delle fondazioni di origine bancaria e delle organizzazioni di volontariato, rappresentate rispettivamente dall’ACRI – Associazione delle Casse di Risparmio Italiane e delle Fondazioni di Origine Bancaria e dal Forum del Terzo Settore, N.d.R.].
Sagome ritagliate a simbolo del volontariatoSiamo convinti dell’importanza di un’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno, ma ribadiamo le perplessità già espresse nei mesi scorsi. Non pensiamo che il volontariato debba chiedere per sé le tante risorse gestite dalla Fondazione, nonostante esse derivino da una disposizione della Legge quadro 266 sul volontariato e, dunque, siano finalizzate a sostenerne l’azione. Riteniamo, però, che il volontariato (e non solo, genericamente, il Terzo Settore) debba essere protagonista nel dettare gli indirizzi dell’attività e nell’orientare e verificare la destinazione delle risorse sul territorio. In particolare, sottolineiamo alcune esigenze:
a) le risorse del Progetto Sud devono servire per lo sviluppo del Sud, non per finanziare le organizzazioni o le reti di organizzazioni sociali, neanche quelle del volontariato;
b) occorrerà privilegiare progetti integrati di sviluppo delle comunità locali, finalizzati anche a produrre capitale sociale, calibrati su dimensioni territoriali compatibili con le possibilità di azione del volontariato; tali progetti non dovranno vedere il volontariato come gestore di servizi, ma come animatore dei processi e dei partenariati e garante delle finalità sociali delle azioni, del coinvolgimento delle comunità e dei diritti degli ultimi;
c) ripensare il modello di intervento che prevede la costituzione di fondazioni di comunità, che – nella concretezza dei contesti meridionali – rischia di dare rilevanza decisionale ai soggetti forti (istituzioni pubbliche, associazioni imprenditoriali, borghesia compassionevole, grandi consorzi sociali…), a scapito delle piccole organizzazioni e confermare pratiche di subordinazione e clientelismo (se non consentire persino infiltrazioni mafiose).

7. Il tema della rappresentanza è una delle questioni in dibattito anche nel mondo del volontariato: se il volontariato è un soggetto politico, si pone il problema di capire come definire chi partecipa ai tavoli dove vengono prese decisioni e definite politiche ai vari livelli, dai tavoli territoriali fino ai rapporti con il governo. Ci sembra però che attraverso questa porta si stia tentando di introdurre anche nell’ambito del privato sociale dinamiche di potere che ad esso non sono proprie.
Siamo convinti che, nel campo del volontariato in particolare, la rappresentanza non si fondi sulla rappresentatività (conteggio dei “numeri”, delle “tessere”), ma piuttosto sulla capacità di rappresentare realmente i bisogni, le storie, le esperienze che si vivono nella società italiana e che il volontariato intercetta nella sua attività.
Inoltre, l’esperienza del Mo.V.I., che da anni collega e rappresenta le piccole organizzazioni di volontariato, ci ha insegnato che la rappresentanza deve giocarsi sulla fiducia e sul consenso continuamente ricercati, superando il rischio di “fossilizzarsi” in strutture autoreferenziali.
Ci sembra inoltre che oggi sia importante esplicitare i “doveri dei rappresentanti” perché la rappresentanza non si riduca a una delega in bianco e siano chiari gli impegni e i compiti di chi accetta di svolgere questo.

8. D’altro canto, si intravede sempre più spesso il rischio che la funzione di rappresentanza venga assunta da soggetti che si caratterizzano per la loro disponibilità di risorse e di mezzi. Questo è ben esemplificato nel percorso che ha portato alla nascita della Fondazione per il Sud. Il Forum del Terzo Settore nazionale di fatto ha esercitato (non senza responsabilità anche del volontariato stesso) una rappresentanza del volontariato, senza però impegnarsi ad ascoltare e a dialogare con le diverse realtà del volontariato ed esprimendo logiche e scelte in cui le realtà di base fanno fatica a riconoscersi. Inoltre è sempre aperto e deve trovare una soluzione il problema dell’equilibrio, nelle sedi di rappresentanza, tra le piccole realtà di volontariato radicate nei singoli territori e le grosse realtà associative, legate spesso ad interessi forti per la gestione di servizi e convenzioni.

9. Lo stesso rischio è evidente per alcuni CSV, ai quali un volontariato debole e frammentato delega la propria rappresentanza presso le istituzioni, le imprese, i media, l’opinione pubblica.
Se non vogliono favorire la dipendenza delle associazioni, se vogliono sostenere l’autonomia del volontariato e la sua capacità di autorappresentarsi attraverso reti, federazioni o collegamenti, i Centri di Servizio devono scegliere di fare un passo indietro rispetto agli spazi di rappresentanza che di fatto occupano.Immagine simbolo del volontariato con bambini di colore Al contrario devono avviare una seria progettualità, anche attraverso i loro coordinamenti nazionali, con tempi, modi e obiettivi certi e condivisi dal volontariato italiano, che sostenga e promuova la crescita delle reti e la rappresentanza autonoma del volontariato.
In altre parole è auspicabile un passaggio da Centri di “servizio” rivolti a un volontariato che fa “servizi”, a strutture al servizio della libera azione gratuita di una cittadinanza attiva, che ogni giorno sperimenta mille forme di presenza, impegno, stimolo, sperimentazione concreta.

10. Ma c’è bisogno che anche il volontariato, dal basso, punti ad una maggiore autonomia e ad un maggiore protagonismo sociale e di autorappresentanza, attraverso le proprie reti ed organizzazioni. Siamo convinti che questa consapevolezza non tarderà a maturare.

11. Un volontariato libero perché gratuito e forte, perché capace di autorappresentarsi può meglio dialogare con le istituzioni. Questo è un terreno sul quale dobbiamo fare molta autocritica.
Troppo spesso abbiamo rinunciato a difendere i diritti dei più deboli o a denunciare abusi e ingiustizie al solo scopo di tutelare una convenzione o un contributo pubblico. Oppure ci siamo seduti ai tavoli di concertazione con l’obiettivo di “portare a casa” la nostra parte. Noi non siamo un soggetto del mercato sociale, ma della società civile; per questo decidiamo di escluderci dalla partecipazione agli appalti dei servizi e, contemporaneamente, chiediamo alle istituzioni di distinguere fra chi agisce nel territorio su un piano di volontariato e chi opera con modalità imprenditoriali. Distinguere non per separare o per attribuire primati di valore, ma al fine di valorizzare lo specifico che ogni modalità di azione sociale può offrire alla costruzione dei beni comuni. In questo modo potremo partecipare ai tavoli nei quali si programmano le politiche del welfare, con la determinazione e la libertà che servono per rappresentare i più deboli e non i nostri servizi o le nostre opere.

Mo.V.I. (Movimento di Volontariato Italiano)
Via Cappuccio, 12, 20123 Milano
tel. 02 72004317,
movi_nazionale@yahoo.it
www.volontariatoinrete.it.
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