Centotrentacinque centimetri. Il primo ruolo era sempre quello: il folletto, il buffone, l’abitante delle foreste che taglia la legna, il clown o il giullare. D’altronde, se fai o vuoi fare l’attore e sei nato con acondroplasia, la forma più diffusa di nanismo, puoi aspettartelo. E Peter Dinklage, attore americano che ha vinto un Emmy (2011) e un Globe (2012), probabilmente se lo aspettava. Ma ha detto: no, «una parola potente e sottovalutata», come ha dichiarato in un profilo dedicatogli dal «Corriere della Sera.it», che si presta a diverse riflessioni. Partendo dal suo lavoro per arrivare alla sua vita. Perché se fai l’attore e hai una disabilità, quello che ti chiedono è «fai la persona con disabilità». Peter Dinklage ha saputo superarlo. Ma per quanti è possibile farlo? Il cinema e la TV comprendono tutte le persone che compongono la società? O solo una parte?
Sembra che ci sia una parte di mondo (grande: fra il 10 e il 15 per cento della popolazione) che ne è tagliato fuori: la disabilità, e ciò che vi è connesso, è rappresentata in maniera minima e talvolta fuorviante. Di più: un artista con disabilità ha difficoltà a trovare spazi o lavoro diversi da quelli che evidenziano la sua condizione.
Lo racconta bene Antonella Ferrari, attrice che recita non solo la sua sclerosi multipla, nel suo bel libro Più forte del destino, da poco in libreria (Mondadori): i ruoli che le vengono offerti sono quelli centrati sulla disabilità. «E perché non posso fare l’avvocato, il medico, la poliziotta?», si chiede anche lei, che pure, come Dinklage, è riuscita a raggiungere questo. Oppure la persona buona: «E allora un giorno ho detto alla produttrice: stronza, voglio essere stronza!». Le diedero la parte di un magistrato un po’ carogna. Se n’è parlato anche in un bell’incontro durante la manifestazione milanese ReaTech 2012, intitolato Lo schermo negato. Negli States (vedi serie come Doctor House o CSI) qualcosa cambia.
«Rifiuto quei ruoli che umiliano i nani»: per Dinklage è una questione di civiltà che deve crescere e di cultura che deve cambiare. Una persona con acondroplasia è prima di tutto una persona. Sembra banale dirlo, eppure ancora il primo pensiero va a Biancaneve o ai giullari…
Dinklage che ha saputo dire no è il capofila di un nuovo modo di intendere il proprio ruolo. Non solo di attore, ma di persona pubblica con disabilità.
Picchiano una persona nana, lasciandola invalida: successe tempo fa negli States. Ed ecco gli inviti per l’attore famoso che vive quella condizione, “Uomo dell’anno” per «GQ Magazine» nel 2011, a mille talk show a parlare di pregiudizi e società. E lui ancora dice: «No!». E non va. «Forse un tempo sarei andato in tutti quegli show, ma ora sono un po’ più in pace riguardo queste cose. Non credo faccia bene alla salute pensare a quello che saremmo voluti diventare e invece non siamo. È una cosa che distrae e fa perdere tempo. Ognuno nella vita ha le sue pene e le sue sfide». E dice: «Non cambierei la mia vita per 15 centimetri in più».
Recentemente a Milano, l’AISAC (Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia) ha organizzato un convegno internazionale sull’allungamento degli arti: ne vale la pena? E fino a quanto allungare? Domanda importante, come spiega Marco Sessa, presidente di tale Associazione: «Dinklage – dichiara – ha un atteggiamento molto “europeo”, nessuna chiusura o emarginazione. Sull’allungamento, gli esperti che erano al convegno di Milano concordano quanto si debba rispettare l’armonia dei segmenti ossei: inutile e dannoso far crescere una persona di 60 centimetri, se poi avrà danni alla schiena, meglio anche solo 10 centimetri, ma senza problemi in tutte le fasi della vita».
«Sono un nano e sono convinto di poter aiutare cause come la mia solamente recitando in ruoli non da nani. Da sempre cerco copioni che vadano oltre»: Peter Dinklage (lo vediamo nella pluripremiata serie Il Trono di Spade) o Antonella Ferrari (ultima fatica, un impegno TV con Pupi Avati) possono farlo. E gli altri? Sempre che ve ne siano. Perché emergere facendo l’attore è difficilissimo. Per chi ha una disabilità ancora di più.
Il presente articolo ne riprende uno apparso con il titolo “‘Sei basso? Fai il nano’. C’è chi dice no”, in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione di tale testata.
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