Introduzione
Il bisogno fondamentale di ogni essere umano è quello di essere amati e desiderati, e quello di amare. È un bisogno non cancellato dalla presenza di una disabilità, che può anzi renderlo più acuto. Infatti, la sofferenza che discende da una vita mutilata dell’amore e della sessualità può essere grande e influenzare tante altre aree dell’esistenza – dal benessere fisico a quello emotivo al grado di autostima – come conferma anche un’indagine partita qualche anno fa con il supporto della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e condotta tramite un questionario denominato Sessualità senza barriere, pubblicato da «DM», giornale nazionale dell’Associazione.
E d’altra parte, la stessa ricerca metteva in evidenza una pluralità di modi attraverso cui persone con disabilità fisica sperimentano sensazioni, vissuti e relazioni sessuali, superando ostacoli sul piano fisico, psicologico, ma anche sociale e culturale.
È importante poi ricordare, parlando di handicap e sessualità, che non esiste una sessualità “a parte”, per così dire “minore” o “danneggiata”, tipica delle persone disabili. Esistono piuttosto individui che, a causa di un handicap fisico o psichico, possono trovare difficoltà nel costruire ed esprimere la loro sessualità. Difficoltà a realizzare l’atto sessuale, a portare avanti una gravidanza, a conciliare vita affettiva e condizioni di dipendenza, a sentirsi degni di essere desiderati e di desiderare e amare a propria volta.
L’assistenza sessuale
Il problema dei “servizi di assistenza sessuale” è da tempo dibattuto ed esistono in Europa organizzazioni di questo genere già a partire dai primi anni Ottanta.
Si tratta di associazioni come la SAR (Associazione per Relazioni Alternative) nei Paesi Bassi, il SENIS in Germania e altre simili, attive nei paesi scandinavi, che offrono, per i disabili dei due sessi, compresi gli omosessuali, prestazioni sessuali e/o di “tenerezza”, dietro remunerazione, da parte di assistenti formati appositamente, che si recano al domicilio o negli Istituti.
In Olanda, in certi casi, i servizi di questi assistenti sessuali vengono persino rimborsati dall’Ente per la Sicurezza Sociale.
Le problematiche poste da tali servizi sono molte e complesse, perché attengono da un lato al bisogno di espressione del potenziale sessuale delle persone con disabilità, dall’altro alla realtà densa e multifattoriale della sessualità, che chiama in causa non solo la pelle e i genitali, ma anche le emozioni, i sentimenti e le relazioni.
Un altro aspetto ancora riguarda poi gli interrogativi che realtà come queste pongono sul piano etico.
I possibili aspetti positivi…
Prendiamo dapprima in considerazione i possibili aspetti positivi di servizi come quelli citati: essi offrono un’assistenza sessuale esercitata da persone formate, volontarie, in una realtà slegata dal mondo della prostituzione e possono permettere – a chi lo desidera – di avere momenti di espressione dei bisogni sessuali in un’atmosfera che vuole essere calorosa, non frettolosa, con una protezione dal rischio di contrarre malattie a trasmissione sessuale e da quello di sviluppare relazioni di sfruttamento.
Esperienze di questo tipo possono consentire un’espressione di bisogni sessuali e affettivi troppo spesso negati e rifiutati, con la scoperta – o la riscoperta – di un piacere sensoriale e sessuale dai benèfici effetti sull’organismo.
Pensiamo all’importanza e alla pregnanza che può avere per alcuni ritrovare l’esperienza sensoriale del piacere, quando l’handicap fisico ha trasformato un corpo animato di vitalità in un corpo ipermedicalizzato, da rieducare, un corpo luogo di sofferenza e fonte di sentimenti di disvalore.
In questi casi, anche il semplice sentirsi presi tra le braccia, poggiare la propria testa sul collo dell’assistente, sentire il calore dell’altro, può procurare sensazioni molto intense a chi vive come unico contatto fisico quello legato all’accudimento da parte di infermieri.
Eppure, per molti uomini e donne con disabilità, un’esperienza del genere potrebbe rivelarsi deludente e poco appagante. E per altri, solo il confrontarsi con una proposta simile può provocare reazioni di disagio, di rifiuto, quando non addirittura di sdegno.
Sono certo che il dibattito su tali questioni metterà in evidenza una vasta gamma di posizioni e ci offrirà quella ricchezza di vedute che deriva dalla molteplicità di opinioni, esperienze, emozioni in gioco; una ricchezza che potrà indurci a riflessioni più allargate e profonde e ad una maggiore consapevolezza dei tanti e multiformi aspetti della grande problematica che abbiamo di fronte.
…e gli aspetti negativi
E in ogni caso, se veniamo ai possibili aspetti negativi connessi a un servizio di assistenza sessuale come quello descritto, non vi è dubbio che esso comporti, a fianco delle opportunità, tutta una serie di limiti e anche di rischi.
I primi discendono dalla realtà complessa e ricca di valenze della sessualità, dove vi è un denso intreccio di fattori, molti dei quali travalicano la biologia, tanto che “consumare un atto sessuale” non rappresenta che una piccola e limitata parte dell’universo, e della meraviglia, del sesso.
Il bisogno sessuale non attiene solo alla sfera del corpo e del piacere genitale, ma riguarda anche il bisogno di relazione, di amore, di scambio, e quando viene realizzato all’interno di una relazione affettiva e di un progetto di vita, quello è il modo più appagante di vivere la sessualità, e di giungere a una più profonda e gioiosa intimità con la persona amata.
Un sesso e una tenerezza “su comando”, stretti in un tempo predefinito, all’interno di una prestazione professionale debitamente remunerata, al di fuori di una storia, di un legame evolutivo tra persone e carente di quella libertà, reciprocità e pariteticità, che rendono un incontro autentico, non possono che svuotare la sessualità di molti dei suoi significati e valori. E anche dei suoi piaceri. Molto della sessualità e dello stesso piacere sessuale si lega infatti, negli esseri umani, più ancora allo psichismo che alla biologia la quale pur ne costituisce la base.
Questo non significa che la sessualità non possa essere vissuta in modalità diverse, più focalizzate sulla dimensione corporea o sul piacere sessuale genitale in senso stretto, svincolate da un coinvolgimento affettivo e da un legame di coppia, modalità, queste, che per ragioni sia culturali che psicologiche sono generalmente più ben accette dai maschi, abili e non. Non stupirà ad esempio sapere che, dei 1.500 contatti all’anno che hanno luogo tramite il servizio di assistenza sessuale operante in Olanda (SAR), ben il 95% avvengono su richiesta di clienti maschi.
Quando la sofferenza può crescere
Ma questa possibilità di tenere separata la dimensione sessuale-genitale da quella affettiva non è certo valida per tutti i maschi e in ogni caso non è assoluta.
In ognuno di noi esiste, nel profondo, una spinta a riunire questi due grandi “affluenti” in un unico vasto e possente fiume.
Non riuscire a coniugare il lato fisico del sesso a quello emotivo e spirituale dell’amore può ridurre, mortificare il piacere del lasciarsi portare solo da uno dei due grandi affluenti: potrebbe persino, paradossalmente, acuire la sofferenza. Vivere una relazione come quella offerta dai servizi di assistenza sessuale potrebbe infatti, per alcuni, aumentare la sensazione di solitudine e di vuoto affettivo, la frustrazione del non poter vivere una storia d’amore.
È anche per questo che credo non sia possibile affermare, in assoluto, che ricorrere a questi servizi sia comunque meglio rispetto al nulla, che il sesso e/o la tenerezza, pur se ristretti nei confini limitati di un’assistenza di carattere professionale, siano comunque desiderabili. È un modo di vedere che non vale necessariamente per tutti.
La relazione tra assistente e “assistito”
La questione in discussione ha implicazioni fortemente soggettive, che mettono in gioco sensibilità, atteggiamenti e valori anche molto diversi da individuo a individuo, in un campo estremamente delicato, intimo e personale come quello della sessualità.
È un campo nel quale tutte le posizioni e i valori sono ugualmente rispettabili, nel senso che ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di esprimere e di vivere la propria sessualità nelle modalità possibili che sente più in sintonia con i propri bisogni, sentimenti e valori, nel rispetto dei sentimenti e dei valori dell’altro. Non dimentichiamo che la diversità, anche in questo campo, non può che arricchirci.
Ma ci sono dei rischi sollevati da questi servizi di assistenza sessuale? E quali?
Credo che alcuni di essi siano connessi al tipo di relazione che si viene a stabilire tra assistente e “assistito”, mentre altri, in una prospettiva più generale, possono essere relativi al modo di guardare al problema sessualità e disabilità e alle vie per giungere, in questo pregnante ambito, ad una “vera” integrazione.
Qualche riflessione sulla relazione che si viene a creare tra assistente e “assistito”: essa si caratterizza come un rapporto di tipo professionale, che vuole distinguersi dalla prostituzione. Ma, come è evidente a tutti, non è una relazione professionale come le altre, poiché al suo interno hanno luogo gesti di tenerezza, gesti d’amore, dalle implicazioni fortemente intime.
È importante allora che i limiti e le regole di questo rapporto siano pre-stabiliti in modo preciso, e siano ben accetti dalle parti ed è essenziale che l’assistente abbia una formazione rivolta non solo alla parte “pratica” del suo agire, ma anche alla gestione dei suoi vissuti nell’ambito della relazione con l’altro.
L’entrare in un ambito di intimità può muovere nel profondo emozioni e sentimenti non previsti, sia da una parte che dall’altra, anche al di fuori della propria consapevolezza.
Non c’è dubbio allora che tutto ciò richieda, per quanto riguarda gli assistenti sessuali, non solo una formazione, ma anche una supervisione costante e seria, che aiuti a chiarire le inevitabili situazioni di conflitto e disagio nel gestire emozioni e stati d’animo che possono sfuggire ad un controllo cosciente.
Dall’altra parte, quella della persona con disabilità, è ancora più forte il rischio di un coinvolgimento che metta in moto bisogni e aspirazioni che non potranno trovare soddisfazione in un rapporto governato da regole e limiti ben precisi, definito dal pagamento di una prestazione di tipo professionale, innescando con questo situazioni di potenziale conflitto.
La vera integrazione non è qui
L’ultimo e a mio modo di vedere considerevole rischio che voglio sottoporre alla riflessione dei lettori, consiste nel considerare questa proposta come una possibile soluzione al problema, mentre essa non può che rappresentare un tentativo, e un tentativo molto parziale, di rispondere ai bisogni della persona con disabilità fisica o psichica.
Un tentativo limitato – comunque riduttivo e con diverse zone d’ombra – che rischia a mio avviso, se considerato isolatamente, di rafforzare una logica di emarginazione e di falsa integrazione della persona con disabilità. Certo, è ben più impervio e richiede ben altre energie e azioni il pensare, il perseguire e il realizzare obiettivi volti ad una vera integrazione.
La risposta a un bisogno che chiama in causa così tante e intrecciate dimensioni dell’individuo – socio-culturali, etiche, ma anche biologiche e psicologiche – non può che essere multifattoriale e problematica.
È necessaria, io credo, un’azione determinata, ostinata persino, oltre che sinergica, su più fronti, da quello culturale, a quello sanitario, fino a quello sociale, senza arrestarci di fronte alla finta normalizzazione che un intervento fermo al semplice livello assistenziale può farci intravedere.
Innanzitutto è necessaria un’educazione e un’informazione sessuale allargata, che dev’essere rivolta – oltre che più in generale al grande pubblico – più in specifico alle persone con disabilità, ma anche ai loro familiari e agli operatori sanitari e sociali addetti all’assistenza (settore ancora incredibilmente carente nei curricoli formativi sia in ambito sanitario che sociale!), contro l’ignoranza, i pregiudizi, le idee distorte e persino malsane che esistono al riguardo.
Questa azione educativa dovrebbe includere, inoltre, momenti di discussione e condivisione sui temi della sessualità e affettività, rivolti ai soggetti con disabilità così come ai loro familiari.
Sempre sul versante educativo e su un terreno ancor più generale, bisognerebbe poi rafforzare gli interventi volti ad accrescere l’autostima e le capacità comunicative delle persone con disabilità, così da favorire lo sviluppo di relazioni interpersonali.
In parallelo, sarebbe importante promuovere contesti di tempo libero che siano occasione di incontri, conoscenze e possibile creazione di legami affettivi, anche con eventuale attivazione di club di incontro o servizi relazionali volti a tale scopo, aperti a persone disabili e non, come in qualche Paese europeo si è iniziato a sperimentare, con risultati incoraggianti.
Ulteriore fronte, sul versante sanitario, dovrebbe essere infine quello dell’attivazione di servizi di counselling sessuologico, per fornire supporto e consulenza individuali, anche per la soluzione dei problemi reali causati dal tipo specifico di disabilità.
Conclusioni
Si tratta di obiettivi ad ampio raggio, che implicano grandi energie e attivazione di risorse; obiettivi impervi, qualcuno dirà improbabili da raggiungere, ma non irrealizzabili.
Così come non è irrealizzabile – come mi hanno insegnato molte persone abili e non con la loro testimonianza – la costruzione di un legame affettivo e di una relazione sessuale al di là delle barriere poste dalla disabilità, lo sviluppo di un progetto di vita, di un amore, al di là dell’handicap.
*Psicoterapeuta e sessuologo, presidente dell’AIRIPS – Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento in Psicoterapia e Sessuologia.
Testo tratto da DM 154 (aprile 2005), periodico della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
Per altri servizi già pubblicati da questo sito su tali argomenti, si vedano ad esempio gli articoli Assistenti sessuali: parliamone, a cura di Crizia Narduzzo e Affettività e sessualità, di Vinicio Albanesi.
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