Esile, dagli occhi vivaci e il sorriso aperto e franco, Vittoria Beria è un’italiana che lavora all’ONU e che fa parte del programma delle Nazioni Unite riguardante le persone con disabilità.
Nello specifico, Vittoria segue da vicino le attività riguardanti la costituenda Convenzione ONU per le persone con disabilità, garantendo a queste ultime servizi di supporto e sostenendone la partecipazione al processo di discussione del Comitato Ad Hoc (Ad Hoc Committee), in particolare verso chi proviene dai Paesi in via di sviluppo.
Vittoria, è stato difficile arrivare a lavorare all’ONU?
«Direi che è stato più facile di quanto pensassi, visto che tutti mi avevano sempre ripetuto che sarebbe stato impossibile! In realtà io sono arrivata all’ONU per due volte: la prima nel 2001 all’UNDP (United Nations Development Programme), come esperto associato finanziato dal governo italiano nell’ufficio in Angola, nell’ambito del programma di riduzione della povertà; la seconda nel 2003 al Dipartimento di Affari Economici e Sociali (UN/DESA), a New York, avendo superato l’esame per funzionario nell’area degli affari sociali.
All’interno di DESA sono stata assegnata alla Divisione per le Politiche Sociali e lo Sviluppo, e in particolar modo al programma che si occupa delle questioni della disabilità. Sono economista e ho un master in Management dello Sviluppo.
Devo dire che fino a due anni fa non sapevo assolutamente nulla di disabilità. Sono stata assegnata a questo programma perché nell’ambito del lavoro sulla Convenzione le Nazioni Unite hanno sentito il bisogno di creare un team multidisciplinare che potesse occuparsi in modo efficace di tutte le componenti legate alla Convenzione stessa (diritti umani, sviluppo economico e sociale e così via)».
Ma cosa fa esattamente l’UN/DESA?
«L’UN/DESA è il Dipartimento del Segretariato ONU che si occupa delle questioni economiche e sociali. Si tratta di un dipartimento piuttosto grande, suddiviso in dieci divisioni, a loro volta ripartite in programmi e unità di lavoro più specifiche. All’interno di UN/DESA si trova ad esempio, oltre al Programma delle Nazioni Unite sulla Disabilità, il Forum Permanente sulle Questioni degli Indigeni, la Divisione per lo Sviluppo Sostenibile, quella per l’Avanzamento delle Donne e così via.
L’UN/DESA si propone in sostanza di coordinare le politiche nella sfera economica, sociale e ambientale a livello mondiale, con le relative strategie e azioni a livello nazionale. Per far ciò lavora soprattutto in tre aree correlate tra loro:
– raccogliere e analizzare i dati economici, sociali e ambientali, per fornire agli Stati membri delle Nazioni Unite le informazioni necessarie a esaminare e a risolvere i problemi mondiali in questi ambiti;
– facilitare le negoziazioni tra gli Stati membri all’interno dei numerosi organi delle Nazioni Unite, in relazione ai problemi e alle sfide che emergono a livello mondiale;
– supportare i governi nel tradurre le politiche adottate nelle conferenze delle Nazioni Unite in programmi e politiche a livello nazionale, anche attraverso l’assistenza tecnica e il rafforzamento delle capacità e delle istituzioni.
Nell’ambito del programma sulla disabilità, ad esempio, ci occupiamo della seconda area – coordinando il processo di negoziazione della Convenzione – e della terza lavorando a stretto contatto con i governi e le organizzazioni di persone con disabilità, per ottimizzare il processo di finalizzazione della Convenzione e allo stesso tempo per prepararne la futura implementazione.
Il sito http://www.un.org/esa/socdev/enable riporta tutte le informazioni sul nostro lavoro e sul processo della Convenzione».
Che giudizio dai dell’ultima sessione del Comitato Ad Hoc, tenutasi a New York dall’1 al 12 agosto?
«A mio parere è stata la più proficua dall’inizio del processo, insieme a quella del Gruppo di Lavoro ristretto che ha scritto il testo nel gennaio del 2004. E il merito di tale efficienza credo sia stato in gran parte del presidente del Comitato Ad Hoc, l’ambasciatore Don MacKay della Nuova Zelanda (che del resto aveva presieduto anche la riunione del Gruppo di Lavoro), che ha la straordinaria capacità di portare avanti la negoziazione a un buon ritmo, senza lasciare inascoltate le proposte dei singoli Stati membri e delle organizzazioni di persone con disabilità.
E d’altra parte i vari “attori” di questo processo – le delegazioni degli Stati membri, così come le organizzazioni di persone con disabilità e ovviamente anche noi alle Nazioni Unite – hanno imparato molto nel corso del processo e hanno migliorato parecchio il loro modo di interagire, di ascoltarsi, di negoziare.
Il processo che sta portando a questa Convenzione viene ritenuto da molti uno dei più riusciti esempi di negoziazione intergovernamentale a livello ONU perché ha dimostrato finora di essere focalizzato e insieme esaustivo, rapido e insieme adeguatamente profondo, e soprattutto non distorto dalle questioni politiche che troppo spesso mettono zizzania tra Stati membri e paralizzano il funzionamento delle strutture ONU».
Quali sono i problemi che affronti nel tuo lavoro?
«Non nascondo che lavorare in una grande burocrazia, come quella dell’ONU, possa essere spesso frustrante. Lavoro molto con le Organizzazioni Non Governative e mi capita frequentemente di invidiare la loro maggiore flessibilità…
In fondo, però, so che siamo “animali” diversi e che c’è bisogno di entrambi perché sono proprio le diverse caratteristiche che ci rendono complementari e molto spesso sinergici».
E le soddisfazioni più grandi?
«Sono quelle legate all’importanza dei temi che trattiamo e all’impatto che possiamo avere. Sono spesso soddisfazioni immense, soprattutto quando nascono dall’interazione con le persone che si occupano di disabilità a livello regionale, nazionale e locale. Da questo imparo moltissimo e traggo l’energia per continuare.
Il processo di negoziazione della Convenzione è in sé un’enorme soddisfazione: stiamo infatti scrivendo un nuovo pezzetto di storia dei diritti umani e dello sviluppo economico e sociale, di quella che è stata fino a poco tempo fa considerata una “minoranza silenziosa”».
Ma all’interno dell’ONU, negli uffici che non si occupano dei mille problemi quotidiani, vi è una consapevolezza delle questioni legate alla disabilità? Prevale ancora, ad esempio, il “modello medico” della disabilità?
«Onestamente non credo ci sia questa consapevolezza, perché non vi è un’adeguata conoscenza delle problematiche della disabilità. Si sa ancora molto poco di questa Convenzione e di quello che essa intende promouovere. Io stessa so bene che se fossi in un altro ufficio, in un’altra divisione, non saprei niente di tutto ciò.
Probabilmente prevale ancora in un certo senso il “modello medico” perché è ancora quello più diffuso, ma credo che la Convenzione darà un’enorme visibilità alle questioni della disabilità secondo il modello sociale e l’approccio dei diritti umani. Per questo arrivare a un ottimo strumento legale è tanto importante quanto prepararsi già da ora per l’implementazione delle norme che vi saranno contenute. Non c’è tempo da perdere!».
Quali sono gli elementi positivi e di speranza su cui le persone con disabilità possono sperare per il prossimo futuro?
«La Convenzione! Non manca molto e sarà certamente una base di partenza per volare in alto».
Le speranze di Vittoria sono naturalmente le stesse di milioni di persone con disabilità nel mondo. E persone come lei lo rendono possibile. Grazie Vittoria!