Riprende oggi all’ONU, per tre settimane, la discussione sul testo della Convenzione per la Tutela della Dignità e i Diritti Umani delle Persone con Disabilità. Fino al 3 febbraio, quindi, sarà riunito a New York per la sua settima sessione il Comitato Ad Hoc nominato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per stilare il testo della Convenzione stessa.
Il testo di Don MacKay
La discussione – rispetto a quanto riferito ai lettori di Superando.it nei mesi scorsi – presenta un’importante novità: il presidente del Comitato Ad Hoc, l’ambasciatore neozelandese Don MacKay – come preannunciato alla fine della sesta sessione, nell’agosto 2005, ove si era conclusa la seconda lettura del testo iniziale proposto da un gruppo di lavoro del Comitato stesso – ha presentato, anche con la collaborazione dei facilitatori nominati sugli articoli più controversi, un proprio testo, riassuntivo dei punti su cui c’è accordo e di quelli ancora da discutere, per facilitare i lavori della prossima sessione e accelerarne i tempi. Infatti, il mandato di MacKay scadrà alla fine del 2006 ed egli vorrebbe licenziare il testo entro quest’anno.
La nuova bozza consta di 34 articoli, più una serie di altri articoli tecnici legati alle procedure di recepimento, attivazione e tutela legale.
Una rapida visione dei titoli degli articoli consente già di far emergere le importanti innovazioni che il testo introduce nelle legislazioni nazionali e non solo di quei Paesi che non abbiano ancora una legislazione in materia.
Infatti, ad una parte che ripropone articoli di altre convenzioni, applicandoli in maniera cogente alle persone con disabilità (vedi ad esempio gli articoli 10 sul Diritto al vita; 13 sull’Accesso alla giustizia; 14 sulla Libertà e la sicurezza delle persone; 15 sulla Libertà da tortura o trattamento o punizione crudale, inumana o degradante; 16 sulla Libertà dallo sfruttamento, dalla violenza e dall’abuso; 28 su Adeguati standard di vita e di protezione sociale; 29 sulla Partecipazione alla vita politica e pubblica), sono state aggiunte innovazioni significative (vedi gli articoli 5 sull’Eguaglianza e la non discriminazione, 8 sulla Crescita di consapevolezza riguardo alla disabilità, 12 sull’Eguale riconoscimento come persona davanti alla legge, 19 sul Vivere indipendenti ed essere inclusi nella comunità, 23 sul Rispetto per la casa e la famiglia) e parti tradizionalmente contemplate nelle legislazioni nazionali, ma con differenti approcci (vedi tutti gli articoli sull’Educazione, la Salute, il Lavoro ecc.).
La proposta del presidente appare senz’altro equilibrata e rispettosa del dibattito svoltosi all’interno del Comitato ad Hoc: si tratta di un testo che testimonia del grande lavoro di quest’ultimo e che se anche fosse approvato in questa stesura rappresenterebbe un grande risultato per le persone con disabilità di tutto il mondo.
Condivisione e temi controversi
Durante la settima sessione del Comitato Ad Hoc, si capirà se il testo proposto dal presidente è condiviso nella struttura e nella sintesi proposta. Quanto più vi sarà il consenso dei governi e dell’International Disability Caucus (IDC), che riunisce le circa sessanta organizzazioni di persone con disabilità che partecipano ai lavori, tanto più vi è la speranza che i lavori del Comitato viaggino spediti. Intanto l’IDC ha presentato un commento al testo di settanta pagine.
Vi sono però ancora alcuni temi controversi: sulle donne e i bambini la proposta dell’IDC di prevedere sia un articolo specifico sia un’attenzione particolare in ogni articolo pertinente per ora non è passata. Nell’ultima sessione del Comitato Ad Hoc si era lavorato per questa ipotesi, nel tentativo di verificare quanto sia possibile inserire nel testo tutte le esigenze.
Le resistenze dei governi (e prima fra tutti dell’Unione Europea) erano motivate dalla considerazione che la tutela delle persone con disabilità è gia garantita sia dalla Convenzione sui Diritti del Fanciullo (Convention on the Rights of the Child), sia dalla Convenzione sulle Donne (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women).
In realtà – sostengono le organizzazioni delle persone con disabilità – questi documenti spesso dimenticano queste ultime, che non vengono prese in considerazione nei rapporti di monitoraggio.
Alcuni temi particolari, poi, come quelli legati a tematiche bioetiche (maternità, screening prenatali, terapie genetiche, eutanasia ecc.) o a questioni delicate (violenze e abusi, trattamenti non discriminatori ecc.), non sembra possibile inserirli nel testo senza introdurre un articolo specifico.
Le ultime “notizie di corridoio” fanno per altro trapelare posizioni più possibiliste dei governi sul doppio approccio proposto dall’IDC.
Educazione: la discussione è aperta
Sull’educazione la discussione è ancora accesa ed appassionata. La posizione delle associazioni internazionali dei sordi (World Federation of the Deaf – WDF), dei ciechi (World Blind Union – WBU) e dei sordo-ciechi (The World Federation of the Deafblind – WFDB), di prevedere classi speciali per alunni sordi e ciechi, almeno nelle scuole primarie, e di richiedere una tutela specifica per la lingua dei segni, come espressione di minoranza culturale, è ancora sul tappeto.
Tale posizione è stata combattuta da varie organizzazioni di persone con disabilità, tra le quali il nostro CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità), insieme ad Inclusion international e alcune associazioni nazionali, tra cui particolarmente attive quelle del Regno Unito: per tutti questi ultimi l’educazione inclusiva non può avere deroghe; si tratta infatti di garantire agli studenti con disabilità adeguati sostegni nei luoghi ordinari di studio: questo in sostanza è il significato stesso dell’inclusione sociale.
Il testo del presidente propone una soluzione che, rispettando il principio dell’inclusione educativa, prevede deroghe solo laddove il sistema educativo non riesca ad incontrare i bisogni degli studenti con disabilità.
Il testo proposto dall’IDC propone dal canto suo la libertà di scelta da parte delle persone sorde, cieche o sordocieche, rispetto alla modalità di educazione da ricevere, in luoghi ordinari o speciali.
Purtroppo queste discussioni hanno indebolito la posizione dell’IDC sull’educazione per tutti, dal momento che il Caucus, in tal modo, sposa sostanzialmente le posizioni delle associazioni dei ciechi e dei sordi. E va detto anche che la richiesta di classi speciali per particolari tipi di disabilità rischia di coinvolgere la questione delle persone con disabilità intellettiva (che nella quasi totalità dei Paesi del mondo non frequentano le classi ordinarie) le quali continuerebbero ad essere segregate in istituti speciali. Infatti, sia nei Paesi ricchi (si calcola che nei 25 Stati membri dell’Unione Europea il 56% dei bambini con disabilità frequenti classi speciali), sia in quelli in cerca di sviluppo (qui i bambini con disabilità intellettive sono esclusi dalla scuola ordinaria e frequentano – dove esistono – solo istituti speciali), il tema dell’educazione inclusiva è lungi dall’essere risolto.
Così succede che le resistenze dei governi all’educazione inclusiva si facciano scudo delle stesse divisioni tra le associazioni!
Responsabilità e risorse
Sulla questione di introdurre un articolo specifico sulla responsabilità degli Stati ricchi rispetto agli interventi di cooperazione allo sviluppo che dovrebbero avere maggiore attenzione ai diritti delle persone con disabilità, si è molto discusso.
La questione è legata innanzitutto alle risorse utili ad attuare la Convenzione: i Paesi in cerca di sviluppo sostengono infatti che senza un adeguato sostegno economico, la stessa Convenzione rischia di rimanere sulla carta; i Paesi ricchi, invece, non vogliono essere vincolati nell’utilizzo di questi fondi a princìpi stringenti, per cui premono per includere il tema o nel preambolo o nell’articolo 4 sulle obbligazioni generali, come argomento generico di principio.
La questione dello sviluppo inclusivo proposto dalla Banca Mondiale («le politiche di sostegno allo sviluppo sono più efficaci e rispettose dei diritti umani se prevedono interventi che garantiscono l’inclusione di tutti, tra cui anche delle persone con disabilità») ha suscitato un’ampia discussione tra i governi.
Secondo questa impostazione la questione non è quella di aumentare le risorse per le persone con disabilità, bensì di introdurre il mainstreaming della disabilità in ogni progetto destinato allo sviluppo dei Paesi poveri, facendo in altre parole emergere la disabilità stessa all’interno dei vari progetti generali.
La proposta dell’International Disability Caucus è basata su tre punti prioritari:
1) assicurare che vi siano risorse destinate a sradicare la povertà economica e sociale tra le persone con disabilità;
2) assicurare che nei progetti di cooperazione allo sviluppo vi siano sufficienti risorse destinate all’inclusione e all’empowerment (letteralmente “rafforzamento”) delle persone con disabilità;
3) assicurare il mainstreaming della disabilità in tutti i progetti di cooperazione allo sviluppo.
Altri temi
Si parlerà poi, presumibilmente, anche della distinzione tra riabilitazione e abilitazione introdotta dall’articolo 26 che ha aperto un’importante discussione sul tipo di trattamento che le persone con disabilità dovrebbero avere, nonché sul loro eguale riconoscimento davanti alla legge.
Quest’ultimo tema presuppone un trattamento il quale non limiti le libertà né predetermini la qualità della vita di queste persone: si pensi ad esempio a quegli istituti giuridici che limitano l’autodeterminazione delle persone e che spesso sono l’anticamera dell’istituzionalizzazione.
Spazio vi sarà anche per tutte quelle altre norme che intervengono per garantire la tutela dei diritti umani e che suscitano vivaci discussioni nel Comitato Ad Hoc.
Un avanzamento sostanziale
I risultati dei lavori della sesta sessione del Comitato Ad Hoc, svoltasi nell’agosto del 2005, hanno comunque prodotto un avanzamento sostanziale della discussione sulla Convenzione.
Oggi appare infatti più chiaro e condiviso il quadro culturale e giuridico di riferimento (i diritti umani come diritti individuali, anche se emerge sempre più una responsabilità sociale dei governi verso l’inclusione sociale), molti articoli hanno iniziato a configurarsi in un testo largamente condiviso (accessibilità, diritto al lavoro, vita indipendente ecc.), il lavoro di collaborazione tra le organizzazioni di persone con disabilità e i governi è divenuto più chiaro e accettato, il ruolo unitario dell’IDC è risultato spesso positivo.
Quest’ultima questione merita un approfondimento specifico. L’IDC, infatti, ha svolto un ruolo di mediazione tra le diverse posizioni sicuramente propositivo. Ora però che si è arrivati al momento delle decisioni è necessario che si sviluppino modalità condivise e democratiche per le stesse. L’IDC ha deciso quindi di rendere permanente lo steering committee, che ha avuto in questi ultimi mesi il compito di coordinare e gestire politicamente le attività del Caucus.
Si tratta di una struttura formata dalle otto organizzazioni aderenti all’International Disability Alliance (IDA), da due rappresentanti di ogni continente e da alcune Organizzazioni Non Governative (ONG) che vogliono sostenere le posizioni dell’IDC (in tutto ventidue membri).
In tal senso sembra del tutto necessario che la discussione coinvolga in maniera democratica ogni organizzazione aderente all’IDC e che il testo proposto di emendamenti non venga considerato un testo chiuso.
Un movimento vero
In conclusione, la discussione per la Convenzione Internazionale Comprensiva e Integrale sulla Protezione e Promozione dei Diritti Umani e della Dignità delle Persone con Disabilità sta facendo emergere che il movimento mondiale di queste ultime – per quanto variegato e diversificato – rappresenta uno dei pochi movimenti di emancipazione mondiali capaci di organizzarsi e contare a livello internazionale, regionale e nazionale.
La tutela dei diritti umani delle persone con disabilità solleva princìpi e valori che parlano all’insieme dei popoli del mondo. Rivendicare i princìpi della non discriminazione e dell’egualizzazione delle opportunità; individuare gli obiettivi di mainstreaming delle politiche, dell’Universal Design (“progettazione universale”), del superamento di qualsiasi politica di segregazione e di istituzionalizzazione; sviluppare linguaggi e culture capaci di costruire società inclusive, che offrano a tutte le diversità umane la possibilità di essere tutelate e valorizzate e di lavorare per uno sviluppo inclusivo basato sulla pace e la giustizia sociale, sono valori che parlano a tutti i popoli del mondo.
Le potenzialità della globalizzazione – finora limitata ad interessi economici e di mercato che hanno dimenticato i diritti umani – risultano evidenti se emerge con forza la necessità di una politica mondiale non decisa solo dai governi (e spesso da pochi governi), non determinata solo dagli interessi delle multinazionali e dei potentati economici, ma costruita con la diretta partecipazione delle persone, delle ONG, della società civile.
L’ONU dei Popoli è l’ONU che le persone con disabilità stanno dimostrando possibile proprio nella scrittura della Convenzione che tutela i loro diritti umani ed è questo il contributo che le organizzazioni di persone con disabilità e dei loro familiari possono offrire alla costruzione di un mondo più giusto e più umano.
*Advisor (consigliere) della Delegazione Ufficiale del Governo Italiano, in qualità di rappresentante del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).