A volte i numeri dicono molto. A volte nulla. Dipende come li si legge. Questo è uno dei casi. Partiamo dai numeri, allora: 10 giorni di eventi (dal 10 al 19 marzo 2006); 5 discipline (sci alpino, sci di fondo, biathlon, hockey su slittino, curling); 4 Comuni sedi di gara (Torino, Sestriere, Pragelato, Pinerolo); 2 villaggi paralimpici (Sestriere e Torino); 58 medaglie in palio; 1.300 persone previste fra atleti, guide, tecnici e responsabili sport in rappresentanza di 40 nazioni; 3.000 volontari; 1.000 rappresentanti dell’IPC (International Paralympic Comittee), dei Comitati Paralimpici Nazionali e delle Federazioni; 1.000 giornalisti e operatori dei media; 1.000 ospiti e rappresentanti degli sponsor; 200.000 spettatori previsti sui siti di gara; diritti televisivi acquistati in tutti i continenti, compresa l’Africa e, per la prima volta, il Sudamerica.
Letti così, i numeri mostrano come la Paralimpiade, i Giochi per atleti disabili (o diversamente abili, o persone con una disabilità e si potrebbe continuare; stiano alla larga quelli che ce l’hanno con il politicamente corretto: il linguaggio è importante e se non si evolve in quello si rimane al livello delle scimmie) di Torino siano il secondo evento sportivo mondiale del 2006, per numeri, dopo l’Olimpiade e il terzo, per importanza mediatica, dopo Olimpiade e Mondiale di calcio.
Purtroppo i numeri non mostrano tutte le facce della medaglia, perché lo sport praticato da atleti disabili (continueremo a usare questa parola, ma il dibattito in corso su questo versante riguardo al linguaggio è vivo e molto interessante) non ha l’importanza e la considerazione che merita.
I Giochi Paralimpici sono un evento sportivo, sociale e culturale di importanza primaria nel calendario dello sport mondiale e sono il naturale proseguimento e completamento dei Giochi Olimpici. I valori trasmessi dal Movimento Paralimpico trascendono infatti quelli puramente sportivi e portano a considerare con maggiore attenzione le persone diversamente abili.
Lo sport, in particolare quello praticato a così alto livello, mostra quanto vi siano solo “abilità diverse” e non “minori abilità”. Ecco perché anche nel caso dello sport il linguaggio diventa importante, anzi fondamentale. Magari si troverà lo spazio, in interventi seguenti, per parlarne. Torniamo alla Paralimpiade invernale.
Meglio vedere che spiegare
Lo sport praticato da atleti disabili è difficile da spiegare. La cosa migliore è poter assistere, dal vivo o in TV, a una gara, a una competizione, a un evento.
Come spiegare di Michael Milton, sciatore al quale hanno amputato una gamba per un cancro, che nel KL scende a oltre 220 chilometri all’ora e fra non molto sarà, in assoluto, l’uomo sugli sci più veloce del suo paese, l’Australia?
Come spiegare di Oscar Pistorius, sprinter al quale, appena nato, hanno amputato le gambe sotto il ginocchio, che sfiora i 45” sui 400 metri e che fra qualche anno sarà, in assoluto, l’uomo più veloce del mondo? Sport per disabili, no?
Come spiegare di Angie Mc Reynolds, atleta della squadra australiana di boccia (non bocce, nello sport per disabili si scrive proprio così, con la “ia” finale), che muove a malapena la testa, parla attraverso gli occhi, ma ogni giorno si allena a cercare il bersaglio con una palla grazie a una rampa e a un movimento della testa che le permette di farla partire?
Come spiegare di Silvia Parente, non vedente praticamente da quando è nata, che è salita sugli sci quando aveva quattro anni e da allora nei fine settimana scende con la sua guida su piste che molti vedenti evitano e ha partecipato a Europei, Mondiali, Paralimpiadi?
Si potrebbe continuare a lungo a cercare di spiegare e non riuscirci. Meglio, molto meglio assistere. Anche perché l’evento torinese offre un’occasione probabilmente unica. L’occasione di vedere Michael e Silvia e seicento altri grandissimi atleti.
Certo, occorre una guida, proprio per le ragioni che abbiamo detto all’inizio. Occorre magari sapere come è possibile che un cieco possa utilizzare il fucile nel biathlon o come un paraplegico possa sciare. Ecco poche informazioni di base, importanti, però, per avvicinarsi senza esitazioni, pietismi o curiosità morbose (chi pensa a Freaks, film peraltro straordinario, meglio vada al cinema…).
Breve guida alle gare
A questa edizione dei Giochi nello sci le medaglie saranno assegnate in tre classi, nelle quali gli atleti sono inseriti a seconda della loro disabilità: seduti (sitting), in piedi (standing), non vedenti (blind). Classificazione, questa, valida nello sci, ma non nelle altre discipline.
Eccole in poche parole, con i vari tipi di disabilità che contraddistinguono gli atleti e le differenze con le stesse praticate da atleti normodotati.
Curling
Amputati, cerebrolesi, para e tetraplegici, poliomielitici. Si gioca in carrozzina, non si spazza. Nessun’altra differenza significativa. L’Italia è fra le prime cinque/sei nazioni al mondo.
Hockey su ghiaccio (Ice Sledge Hockey)
Amputati, para e tetraplegici, poliomielitici. Stesse regole e dimensioni del campo. Uniche differenze: l’uso dello slittino (sledge), munito di due lame per scivolare; le mazze, che sono due e hanno la doppia funzione di spinta e di controllo del disco; la durata, di tre tempi da 15 minuti. La squadra azzurra, della quale fa parte anche Orazio Fagone (oro olimpico nello short track a Lillehammer nel 1994, divenuto disabile dopo un incidente), si è formata da appena due anni ed è alla ricerca della prima vittoria.
Sci alpino
Amputati, cerebrolesi, ipovedenti, para e tetraplegici, non vedenti, poliomielitici. Discesa, SuperG, slalom gigante e speciale. I non vedenti hanno una guida, che li precede e li orienta attraverso la voce e può avere un megafono sulla schiena. Nella categoria sitting si utilizza il “monosci”, una specie di carrozzina fissata ad un solo sci, con racchette che finiscono in piccoli sci.
Gli amputati utilizzano un solo sci o una sola racchetta, anche se in alcune gare si servono di una protesi al braccio (lo fa, per esempio, Melania Corradini, portabandiera italiana alla Paralimpiade, ma solo in SuperG).
Fra gli azzurri ci sono speranze per Silvia Parente e Gianmaria Dal Maistro (blind), Fabrizio Zardini ed Emanuele Pagnini (sitting), Florian Planker e Melania Corradini (standing).
Sci nordico
Amputati, cerebrolesi, ipovedenti, para e tetraplegici, non vedenti, poliomielitici. Sci di fondo e biathlon. Gli atleti sitting utilizzano lo stesso attrezzo usato nello sci alpino, ma con un doppio sci da fondo e racchette a punta. I non vedenti gareggiano con una guida e nel biathlon utilizzano occhiali elettro-acustici con un sistema optronico, che permette – più il fucile a laser è puntato sul centro del bersaglio – di aumentare l’intensità sonora trasmessa nelle cuffie dell’atleta.
Uno dei nostri atleti di punta, Roland Ruepp, paraplegico, ha avuto un incidente domestico e non sarà al massimo della forma, ma potrebbe esserci la sorpresa Francesca Porcellato (sitting), una delle più grandi atlete della storia dell’atletica per disabili, che ha scelto un cambio di sport proprio in vista della Paralimpiade italiana. E adesso, buoni Giochi…
*Giornalista sportivo.
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