Si chiamano Gli Amici e sono un movimento – che fa parte dell’associazione cattolica Comunità di Sant’Egidio – con più di 2.000 iscritti tra persone con disabilità mentale e loro amici e parenti.
Sostenuti dal quasi trentennale impegno della Comunità nei confronti dell’abolizione della pena di morte (l’associazione ha raccolto 5 milioni e 78 mila firme per la richiesta di una moratoria universale), Gli Amici hanno scelto di prendersi cura di un caso in particolare, quello di John Paul Penry.
Disabili nel braccio della morte
Penry non è la sola persona con problemi psichici condannata alla pena capitale negli Stati Uniti. Infatti, secondo la National Mental Health Association (NMHA), dal 5 al 10% dei 3.400 prigionieri in attesa di esecuzione è affetto da disabilità mentale. In un recente rapporto sull’argomento, Amnesty International ha denunciato tale pratica come «iniqua».
Cinquant’anni circa, texano, condannato a morte il 25 ottobre del 1979 per l’omicidio della sorella di un noto calciatore, Penry “abita” nel braccio della morte (death row) dal 9 aprile 1980. Dall’Italia Gli Amici hanno approfondito la sua conoscenza attraverso un intenso scambio epistolare.
«John non sa leggere e scrivere, ci invia dei disegni: disegna come un bambino», ci ha spiegato Vittorio Scelzo, della Comunità di Sant’Egidio. «Le persone con disabilità mentale che fanno parte della nostra Comunità a loro volta gli hanno inviato altri disegni. Abbiamo continuato così finché non si è deciso di andare a trovarlo. Poi abbiamo raccolto i soldi necessari a sostenere le sue spese legali: finora la sentenza è stata sospesa due volte, nel 1988 a tredici ore dall’esecuzione e il 16 novembre del 2000. Nel 2000 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha bloccato l’esecuzione, stabilendo che “i giurati non erano stati messi nella condizione di valutare serenamente l’eventuale disabilità mentale”».
Penry è disabile o no?
Il dibattito in tribunale verte essenzialmente sulla disabilità: John è veramente disabile oppure è in grado di intendere e volere – e uccidere – con consapevolezza? L’accusa sostiene che il cinquantenne sia sano e reciti il ruolo dello “scemo” per scampare alla condanna, eppure la sua biografia è costellata da ricoveri in istituti psichiatrici, il suo quoziente intellettivo è 58 – bassissimo – e negli anni Settanta egli era stato dichiarato colpevole di un furtarello, ma il giudice aveva deciso di non applicare alcuna pena perché lo aveva giudicato come «ritardato mentale».
In questo senso il riconoscimento del ritardo mentale è determinante, dal momento che, nel giugno del 2002, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha bandito la pena di morte per le persone con ritardo mentale, perché «questo tipo di disturbo attenua la responsabilità personale ed è difficile, in casi del genere, giustificare il ricorso all’argomento deterrenza».
L’esecuzione, quindi, sarebbe «inusitata e crudele» e, come tale, vietata dall’ottavo emendamento della Costituzione Americana che proibisce appunto le pene «inusitate e crudeli».
Niente sconti per la malattia mentale
Come detto, quindi, la sentenza del 2002 della Corte Suprema esclude l’applicazione della pena capitale nei confronti dei condannati con ritardo mentale. A tal proposito, però, Amnesty International denuncia una grave incongruenza.
Susan Lee, direttrice del Programma Americhe dell’organizzazione umanitaria, evidenzia ad esempio la «profonda incoerenza tra l’escludere la pena di morte per persone con ritardo mentale e lasciarla in vigore per quelle con malattia mentale».
Secondo la Lee, infatti, gli imputati con malattia mentale non comprendono le accuse o non si rendono conto della gravità del reato. Inoltre, sono vittime di paradossali atrocità commesse proprio in virtù del loro stato psichico alterato. Talvolta, prima del processo, vengono sottoposti a un trattamento medico che li mostri privi di rimorso di fronte alle giurie, che si convinceranno così a chiedere la condanna a morte. Una volta condannati, infine, saranno obbligati ad una terapia farmacologica per affrontare con sufficiente consapevolezza il momento dell’esecuzione.
Nella sua piccola cella
Tornando comunque alla specifica situazione di Penry e al problema del ritardo mentale, lo Stato del Texas a tutt’oggi ignora l’invito della Corte Suprema: «Attualmente – racconta Scelzo – la situazione è questa: abbiamo ottenuto che il processo si rifaccia perché il Texas non ha applicato le disposizioni della Corte Suprema e occorre attendere che lo faccia prima di giudicare Penry».
C’è però un problema: intanto John è ancora nel braccio della morte. Senza alcuna condanna passata in giudicato, in attesa di un nuovo processo, trascorre da ventisei anni le giornate in una cella piccolissima, dove non può lavarsi con il sapone e dove il solo buco minuscolo da cui spiare il mondo oltre le sbarre sono le lettere che riceve.
La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), Archè, l’EDF (European Disability Forum), il DPI (Disabled Peoples’ International) e Inclusion International hanno firmato l’appello lanciato dalla Comunità di Sant’Egidio per la sua liberazione.
*Tratto da «DM» n. 158 (giugno 2006), periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Per gentile concessione di tale testata.
Gli Amici della Comunità di Sant’Egidio
tel. 06 8992234, gliamici@santegidio.org
www.santegidio.net/it/amici/nonuccidere.htm.
– Riammessa dal Governo Federale nel 1976, è prevista in 38 Stati su 50.
– I criteri di applicabilità e i metodi di esecuzione sono decisi Stato per Stato. 37 su 38 ricorrono all’iniezione letale.
– Dalla condanna all’esecuzione il detenuto trascorre anche decenni nella death row (braccio della morte).
– Gli Stati Uniti sono secondi solo alla Cina per numero di esecuzioni annue, anche se il trend è in diminuzione: nel 2004 è stato raggiunto il “minimo storico” di 125 giustiziati.
– Il primato americano delle esecuzioni spetta allo Stato del Texas.
– L’ultimo disabile fisico giustiziato, nel gennaio di quest’anno, è Clarence Ray Allen, 76 anni, ipovedente, diabetico, in carrozzina. Il governatore della California Arnold Schwarzenegger gli aveva negato la grazia. Secondo Amnesty International si è trattato di un’esecuzione «di estrema crudeltà».