Mi riferisco all’editoriale di Glauco Perani, E nei musei il disabile resta solo un malato!, pubblicato qualche giorno fa dal vostro sito.
A segnalarmelo è stata mia figlia, con una certa soddisfazione, anche perché quanto sostenuto da Perani è quanto lei stessa afferma.
Io, invece, mi ritrovo parte in causa, se non altro perché ho proposto questo obiettivo all’allora ministro Buttiglione e continuo a pensare che sia un segno di civiltà che certamente non esaurisce le problematiche inerenti l’accessibilità né quelle relative all’integrazione. È solo un primo passo verso l’accessibilità integrata cui dobbiamo tendere.
In un museo non basta entrare, bisogna sapere accogliere le persone e per farlo bisogna sapere con chi si sta parlando. Ospitare in una pinacoteca un docente universitario di storia dell’arte londinese o un anziano del quartiere accanto non è la stessa cosa, ma il museo deve attrezzarsi per offrire ad ognuno un servizio adatto alle singole esigenze, avendo quale obiettivo l’integrazione e la valorizzazione della persona, chiunque essa sia.
Il museo, infatti, dovrà essere in grado di far percepire una pittura ad un non vedente e dovrà altresì predisporre un percorso che possa integrare il non udente che, per altro, è un interlocutore privilegiato in una pinacoteca. Basta solo trovare la chiave di accesso al codice figurativo. Per il resto ha gli stessi strumenti di chi può udire.
L’urlo che si leva dalla gola della madre alla quale stanno per strappare dalle braccia il bambino – nella Strage degli innocenti di Guido Reni – non si ascolta con le inutili orecchie, ma con quello che poeticamente si chiama ancora “cuore”. E lo sviluppo di questo ideale organo di vita non dipende dalla quantità di nozioni possedute, ma da quella che, con terminologia biblica, potremmo forse definire “sapienza” che è cosa diversa dalla conoscenza accademica.
Banalmente un normo(?)dotato raggiunge un museo con l’ausilio dei mezzi pubblici. Un “disabile” il più delle volte è costretto a usare il taxi. Prima ancora di accedere al sito, quindi, ha già speso dieci volte quanto l’altro visitatore.
In qualche modo ho pensato che la gratuità dell’ingresso compensasse in parte quanto già speso. Certo è solo un segno e dovranno seguirne altri perché il fine ultimo è la fruizione del patrimonio artistico, anche perché credo che abitare vicino alle cose belle non possa che far bene a tutti e a maggior ragione a quanti, per oggettive difficoltà, debbono essere più bravi degli altri per poter vivere. E questo non è giusto.
Non è un’elemosina che lede la dignità della persona, ma solo un modo per tentare di compensare (e non compensa mai alla pari) il maggior esborso cui è costretto il cittadino con disabilità.
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