Per i piccoli film italiani non distribuiti dai maggiori colossi italiani – come Medusa e 01Distribution – non è affatto facile approdare alle sale cinematografiche. Il film di Cristiano Bortone ha dovuto attendere tre anni. Poi è arrivata la Lady Film che ha creduto nel progetto e lo ha sostenuto. Dal 9 marzo 2007 la pellicola Rosso come il Cielo, dunque, si può vedere nelle sale, o almeno in quelle delle principali città italiane.
Una grande soddisfazione per il regista, nel frattempo impegnato nella post produzione di un documentario che ancora una volta sceglie come suo tema principale quello della disabilità. Infatti, si tratta della narrazione della giornata del 15 novembre 2005 in piazza Montecitorio, a Roma, quando la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) era riuscita a raccogliere circa quattromila persone per protestare contro i provvedimenti e le politiche messi in atto dal Governo di Silvio Berlusconi.
Del tema della disabilità tratta anche Rosso come il cielo, ambientato nell’Italia di ormai quasi quarant’anni fa, nel 1970, quando l’istruzione delle persone con disabilità era affidata alle cosiddette “scuole speciali” che separavano il percorso educativo dei bambini disabili da quello degli altri.
Nel film, che racconta la storia di Mirco, un bambino che diventa cieco in seguito a un incidente, il medico e l’insegnante glielo spiegano subito ai suoi genitori: «Non è colpa nostra, ci dispiace, è la legge che vuole così; Mirco ora dovrà cambiare scuola, andare in una fatta apposta per lui».
La pellicola – non solo diretta, ma anche sceneggiata e prodotta da Bortone – entra nell’Istituto Asilo per Ciechi David Chiossone di Genova e ne spia regole e organizzazione, condannandole e condannando la logica degli istituti speciali, in quanto portatori di pregiudizio e discriminazione.
In Italia, essi verranno aboliti nel 1975, ma altri Stati europei ne sono ancora convinti fautori.
La casa di produzione che presenta il lavoro di Bortone, insieme allo stesso regista (che l’ha fondata) e a Daniele Mazzocca, è Orisa Produzioni.
Il film, finito nel 2004, è stato presentato come Evento Speciale Unicef alla prima edizione della Festa del Cinema di Roma dello scorso ottobre e ha da poco ottenuto la Menzione Speciale della Giuria al Cinekid Festival di Amsterdam e il Premio del Pubblico come Migliore Film Straniero al San Paolo International Film Festival.
Chi è Mirco Mencacci
Il film di Bortone si ispira alle vicende realmente accadute a Mirco Mencacci, di cui racconta alcuni passaggi fondamentali dell’infanzia e in particolare di quando, nel 1970, all’età di otto anni, Mirco ebbe un incidente che lo privò della vista e lo costrinse alla frequentazione di una scuola speciale per ciechi, dove scoprì la passione e il talento per la musica e la realizzazione di suoni.
Mencacci è ora uno dei maggiori montatori del suono del cinema italiano contemporaneo; ha lavorato con Ferzan Ozpetek (Le fate ignoranti, La finestra di fronte), Marco Tullio Giordana (La meglio gioventù) ed è stato supervisore del montaggio sonoro del recente e fortunato “caso” italiano La notte prima degli esami di Fausto Brizzi.
Nato a Pontedera (in provincia di Pisa) nel 1961, oltre a lavorare per il cinema, è musicista e produttore musicale, promotore della Fondazione In Suono, della Rete Interculturale delle Colline Pisane e del Museo Dinamico del Suono.
La storia
È l’estate del 1970. Un bambino di nome Mirco, interpretato da Luca Capriotti, gioca con gli amici sulle colline toscane, si fa portare al cinema dal padre e si incuriosisce, per gioco, di un fucile appeso. L’incidente che lo rende cieco accade proprio a causa di quest’arma, dalla quale parte accidentalmente un colpo.
Dopo le cure, Mirco non potrà più tornare in classe con i propri compagni e dalla Toscana dovrà spostarsi fino in Liguria, dove verrà ammesso alla rigida educazione di un istituto speciale per non vedenti.
Il film di Bortone racconta questa esperienza, dal punto di vista del bambino, con il regista che si sofferma sulla descrizione del collegio, presentando un direttore non vedente (interpretato da Norman Mozzato), castigato e repressivo, che crede che una persona cieca non sia come gli altri e per questo sia costretta a ritagliarsi un percorso di vita ai margini, diventando al massimo tessitore o centralinista.
«Il problema non è più quello che a Mirco piace fare, ma quello che può fare», spiega il direttore agli sconcertati genitori del bambino. «La libertà è un lusso che noi ciechi non possiamo permetterci», afferma in un altro passaggio del film.
L’Istituto Chiassone, religioso, trasmette meccanicamente i valori cattolici attraverso versetti mandati a memoria. I bambini imparano il braille e un mestiere, ma sono invitati a non esprimere i propri sentimenti e a non contattare la propria creatività.
L’atmosfera del collegio è quella già utilizzata, a volte molto felicemente, in numerose e conosciute esperienze narrative di cinema e letteratura. Bortone sceglie di restituirla con poche pennellate che non danno tridimensionalità ai personaggi interpretati dagli adulti (soprattutto il direttore cattivo e il maestro prete buono, don Giulio, interpretato da Paolo Sassanelli che, di nascosto dal direttore, alimenta i sogni dei ragazzini fino ad uscire allo scoperto nel finale).
Questo probabilmente perché il vero interesse dell’autore sta nella scoperta della magia dei suoni da parte del piccolo protagonista, che viene raccontata con sequenze immaginifiche e suggestive.
La fantasia dei bambini ha già dato vita a film indimenticabili e anche in questo lavoro essa gioca un ruolo imprescindibile. Qui, regia e fotografia seguono la storia e si accendono nelle sequenze legate al suono.
Quando l’insegnante, ad esempio, assegna agli studenti il compito di raccontare le stagioni, Mirco decide di farlo in modo originale, registrando in un mangianastri i suoni della natura che cambia. Si fa aiutare da Francesca (Francesca Maturanza), una bambina vedente con cui si fidanza e che gli sarebbe proibito incontrare, e riesce poi a coinvolgere man mano anche altri compagni del collegio.
Di nascosto, i bambini si incontrano per inventarsi i suoni della natura prima, di commento ad una storia di cavalieri e principesse poi.
La ricerca sonora (curata da Stefano Campus) e la registrazione dei rumori è complessa e incanta, trasmettendo allo spettatore l’emozione di Mirco di fronte alla magia dei suoni, alla loro capacità di suggerire, suggestionare, ricreare, emozionare, avvolgere.
Si dichiara nel pressbook del film: «Essendo uno degli elementi centrali della storia, il suono del film non poteva non essere oggetto di una ricerca creativa e tecnica particolare. L’impianto sonoro della produzione è stato creato da un gruppo di lavoro di sound design fin dalle prime fasi della realizzazione. Per la prima volta la figura del rumorista non ha fornito un semplice arricchimento del film finito, ma un apporto creativo per tutto il periodo della realizzazione. Durante la revisione della sceneggiatura e nel corso delle riprese, i rumoristi hanno ideato le atmosfere sonore che avrebbero guidato Mirco all’interno del suo nuovo mondo di oscurità e hanno creato i rumori che lui e i suoi amici avrebbero raccolto per le loro “favole sonore”. Il passo successivo è stato insegnare ai bambini protagonisti come riprodurre dal vero dei rumori. Tutti loro si sono trasformati in piccoli rumoristi in erba, esplorando oggetti, materiali, forme, fino ad arrivare a dare loro stessi consigli ed idee. Per molti di loro la finzione si è andata trasformando in realtà».
Rosso come il cielo racconta la disabilità sottolineandone le potenzialità. Qui il vero cieco è il sistema educativo mortificante che «toglie ai bambini i loro sogni», come dice don Giulio, che nel finale proclama a gran voce che «la fantasia e il diritto alla normalità» sono cose cui nessuno dovrebbe rinunciare.
Da vedere, insieme al film, anche il documentario di Guido Votano Altri Occhi, un dietro alle quinte di Rosso come il Cielo che esplora in particolare l’amicizia e la vita quotidiana di due degli attori che interpretano gli studenti del collegio Chiassone.
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