Serve un Centro Nazionale della Dignità

Apprezzabili le parole del ministro della Salute Livia Turco, pubblicate qualche giorno fa su queste colonne, ma solo con azioni decise e concrete può veramente cambiare la situazione delle persone con disabilità nel nostro Paese. Un’opinione particolarmente incisiva e puntuale cui diamo spazio ben volentieri

Immagine che simboleggia la dignitàCarissima Signora Ministro, ho letto con profonda stima e rispetto l’intervista da Lei rilasciata a Superando.it, dalle cui parole traspare l’appassionato impegno verso una problematica tanto particolare e viva, quanto complessa, qual è quella della disabilità.
La nascita della Commissione Salute e Disabilità è un tassello ulteriore che si aggiunge alla molteplicità di istituzioni e organismi dediti a formulare proposte, a verificare l’effettività dei livelli essenziali di assistenza, la qualità dei percorsi assistenziali e una maggiore protezione e promozione dei diritti umani delle persone con disabilità.

Mi lasci a questo punto esternare una mia profonda considerazione di quanto da Lei detto, soprattutto per quanto riguarda la protezione e attuazione della dignità di vita. Come ho più volte ribadito, ho l’incrollabile certezza che la massima espressione umana sia la lbertà, insita nell’uomo, e che la malattia, nelle sue forme gravi, sia un aspetto destabilizzante di tale libertà.
Con la mia disabilità sento solo di aver mutato parte di quell’Io cosciente che mi fa affrontare la vita per come sono. È ovvio che questa titanica emozione impegna le energie di tutto il mio essere e se di queste energie devo usarne una parte per superare la quotidiana privazione della libertà sociale (autonomia), per andare oltre le notevoli difficoltà quotidiane causate dalla miopia e dall’ignoranza culturale della società, appare evidente che me ne resteranno ben poche per la libertà, per Vivere. Per questo io sarò e resterò sempre “un diverso” per gli altri.

E tuttavia, nella mia profonda consapevolezza, di una cosa sono certo: nessuno, sottolineo nessuno, può e deve ergersi a rappresentare e a raccontare la mia disabilità. Il mio dolore lo voglio urlare io e non voglio che sia filtrato per non offendere la “delicata sensibilità della società”.
La disabilità non si rappresenta, ma si vive, si presenta, si emoziona. La disabilità non ha colore politico, ma è bianca se la società la ingloba come principio soprattutto culturale, altrimenti diventa vorticosamente nera.
Tante volte assisto a dibattiti, trasmissioni televisive sulla disabilità, anche con persone disabili (la cui presenza avvertivo più come prova che come partecipazione protagonista), dove la cosa che più offende la mia anima e il mio intelletto è constatare che la cosiddetta “nomenklatura sociale” (esimi studiosi, professori, politici, amministratori e media) stabilisce, e decide di conseguenza, come “l’io disabile” si senta e viva psicologicamente. E raramente il bersaglio è centrato.

E dire che a guardare le numerose associazioni, siti web, dibattiti e tavole rotonde, il mondo della disabilità sembra un gran mare in continuo fermento, pieno di contenuti, vivo, solidale. Niente di tutto ciò, secondo me. Si tratta invece di un contenitore pieno di incertezze di per sé esistenti, ma fortemente aggravate dalla società, vuoi per disinteresse o disinformazione, vuoi per mancanza di cultura sul problema.
Persona con disabilità davanti alla grata di una finestraPuò sembrare grottesco, ma attualmente in Italia le Istituzioni, la Sanità Nazionale e quella Regionale, i Comuni e lo stesso Istat non sanno quanti disabili vivono nel proprio territorio e allora mi chiedo: com’è possibile poter alleviare le difficoltà di persone deboli, di cui non si conosce l’esistenza? Non è questa già una sorta di discriminazione?
Attualmente, tra welfare, sanità locali, centri vari e miriadi di associazioni vi è, a parer mio, un colpevole dispendio di energie che, se indirizzate meglio, ci farebbero vivere una situazione forse più accettabile.
Come si può non vedere che la disabilità viene affrontata in maniera diversa da Regione a Regione? Non è paradossale che nell’essere considerati “diversi in quanto disabili”, siamo anche ghettizzati a secondo del luogo dove viviamo? È come un insieme di “scatole cinesi”, dove una non sa cosa c’è nell’altra.

Spesso ho partecipato e partecipo attivamente, per quanto mi è possibile (non posso uscire se non accompagnato), a conferenze, tavole rotonde e sit-in sulla disabilità e devo dire che in genere non vi si fa altro che discutere in modo formale e accademico.
Mi piacerebbe sapere quanti di noi sanno cosa si muove per noi a livello regionale, nazionale ed europeo. La nostra è una problematica di cui si dovrebbe far carico la società tutta e che invece viene lasciata al pur lodevole volontarismo di pochi.

Credo dunque che sarebbe necessaria l’istituzione di un’Agenzia Nazionale che coinvolgesse tutti i disabili, che finalizzasse e sintetizzasse le Agenzie Regionali e le relative e molteplici associazioni presenti nei vari territori, che rispondesse direttamente alla Presidenza del Consiglio, che avesse vita propria e propria autonomia, che diventasse il Centro Nazionale della Disabilità, anzi, più precisamente, il Centro Nazionale della Dignità.
Sarebbe poi sempre un’agenzia del genere a dare precise indicazioni (norme standard), per definire il monitoraggio capillare delle persone con disabilità, della loro situazione, delle loro esigenze e necessità, delle agevolazioni sanitarie giuridiche ed economiche, in conformità con le leggi vigenti nazionali e regionali.
E riterrei anche necessaria, a livello nazionale e regionale, l’istituzione di un documento di riconoscimento giuridico del disabile (una sorta di “carta d’identità”), il cui possesso indicasse automaticamente tutti i diritti e le agevolazioni collegate, senza più dover dimostrare la disabilità, offendendo la dignità di tante persone, che devono chiedere e ancora chiedere, per ottenere (forse) qualcosa.
Probabilmente tutto ciò potrebbe segnare una precisa indicazione del pieno e attuativo recepimento della storica Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità, recentemente approvata alle Nazioni Unite.

In questo quadro di grigi, dunque, dobbiamo arrivare ad una visione fatta di colori pastello, incrementando, e non di poco, l’impegno economico per il Fondo di Solidarietà, per la Vita Indipendente, per gli Ausili, per l’integrazione scolastica e per ultima, ma non certo ultima, per una maggiore autonomia economica della persona con disabilità.
Nessuno può togliermi il diritto di vivere, in quanto il Vivere va al di là di ogni diritto: è Vivere e non altro. Ma se mi si costringe ad una vita con poca o nessuna dignità, allora subentra un profondo senso di rassegnazione che è l’anticamera della morte dell’anima.

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