I workshop dell’Assemblea Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International) – conclusasi nei giorni scorsi a Seul, capitale della Corea del Sud [i resoconti precedenti su questo evento, pubblicati in esclusiva su questo sito, sono disponibili cliccando qui e qui, N.d.R.] – sono organizzati in una forma particolare.
All’interno di essi, infatti, vi si svolgono più attività, all’insegna del cosiddetto “apprendimento cooperativo”, centrato cioè da una parte sulle competenze realizzate e dall’altra sul confronto delle esperienze.
I relatori sono esperti provenienti da tutto il mondo (per il programma completo, si veda il sito della manifestazione), che presentano il quadro di riferimento internazionale, esperienze pratiche e progetti, strumenti di lavoro e scambi di esperienze. Tutto ciò, grazie alla traduzione in varie lingue, consente una grande partecipazione di leader provenienti da Paesi molto diversi per il loro sistema politico-sociale, per il quadro di riferimento legale e istituzionale, per i costumi culturali e religiosi.
Si tratta di veri e propri laboratori, dove si formano nuovi quadri, si fa empowerment delle organizzazioni (“rafforzamento” in senso culturale e “politico”), grazie alle idee e alle proposte realizzate in ogni parte del mondo, con discussioni di alto livello che coinvolgono esperti di agenzie internazionali, organizzazioni non governative, movimenti di persone con disabilità, esponenti di governi ed esperti tecnici.
I temi trattati
In questa Assemblea di Seul, i temi trattati si sono concentrati prevalentemente sui vari articoli della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, coprendo le aree più svariate: eguaglianza e non discriminazione (articolo 5), donne con disabilità (6), partecipazione (29 e 30), vita indipendente (19), bambini e giovani con disabilità (7), cooperazione internazionale (32), diritto alla vita (10), accrescimento della consapevolezza (8), accessibilità (9), lavoro e occupazione (27), situazioni di rischio (11), adeguati standard di vita (28).
La discussione nei workshop è stata molto ricca e articolata. Impossibile riassumerne tutti i contenuti, che del resto troveranno spazio nel Piano d’Azione di DPI che scaturirà proprio dalla sintesi di quei dibattiti.
Concentrandoci però sugli articoli chiave della Convenzione, proveremo qui a sintetizzare almeno le discussioni alle quali abbiamo partecipato personalmente.
Monitoraggio della Convenzione e “rapporti ombra”
Vari i contributi sul tema del monitoraggio nazionale e internazionale della Convenzione. In sintesi è stato sottolineato che il coinvolgimento delle organizzazioni di persone con disabilità – previsto dagli articoli 4 e 33 – deve avvenire a tutti i livelli, dal merito dei contenuti (focus point), al meccanismo di coordinamento per il monitoraggio e al quadro di riferimento sui diritti umani. Allo stesso tempo va garantita la completa indipendenza dal livello politico-governativo, con appropriate risorse economiche che rendano tale contributo realmente autonomo ed efficace.
E del resto che la partecipazione delle organizzazioni di persone con disabilità sia un impegno chiaro e cogente, lo recita senza troppi sottintesi l’articolo 3 della Convenzione: «La società civile, in particolare le persone con disabilità e le loro organizzazioni rappresentative, dovranno essere coinvolte e pienamente partecipi al processo di monitoraggio», usando il verbo shell (“dovranno”) e non il verbo should (“dovrebbero”).
Altro elemento emerso nel corso della discussione è l’opportunità che siano individuati nel monitoraggio nazionale anche meccanismi di presentazione di proteste individuali e collettive, anche se questo non è obbligatorio per gli Stati.
Importante infine il collegamento del sistema di monitoraggio con un Piano di Azione Nazionale sulla Disabilità cui esso dovrà essere ancorato. In tal senso è stata ribadita la necessità che le organizzazioni di persone con disabilità siano in grado di sviluppare veri e propri “rapporti ombra” (shadow report), sia a livello nazionale che internazionale.
L’importanza delle statistiche
Altra questione di cui si è parlato in questo ambito è quella relativa alla difficoltà di raccogliere statistiche basate sull’approccio dei diritti umani introdotto dalla Convenzione. L’articolo 31 di quest’ultima sottolinea infatti che gli Stati dovranno «raccogliere le informazioni appropriate, compresi i dati statistici e di ricerca, che permettano loro di formulare e implementare politiche allo scopo di dare effetto alla presente Convenzione». E ancora, «le informazioni raccolte […] dovranno essere disaggregate in maniera appropriata, e dovranno essere utilizzate per aiutare a valutare l’adempimento degli obblighi contratti dagli Stati Parti e per identificare e rimuovere le barriere che affrontano le persone con disabilità nell’esercizio dei propri diritti».
Ebbene, ad oggi questo tipo di informazioni statistiche non esistono e non è un caso che l’ONU abbia costituito un gruppo di lavoro sul tema (il Washington City Group, del quale vi sono già stati cinque incontri. Se ne può sapere di più cliccando qui) e che la stessa Europa stia lavorando per giungere all’utilizzo di altri strumenti statistici (vedi il Programma Mhadie).
L’articolo 31, infatti, sottolinea che le statistiche dovrebbero raccogliere dati sulla condizione reale delle persone con disabilità, identificando le barriere e le limitazioni alla partecipazione, il mainstreaming della disabilità [l’inserimento in tutti i temi di carattere generale, N.d.R.] nelle rilevazioni statistiche e valutare le politiche di inclusione sociale.
Questo significa costruire un nuovo approccio culturale della statistica sulla disabilità, basato sulla Convenzione, donde la necessità di aprire un confronto collaborativo con le Agenzie Nazionali di Statistica, di finanziare ricerche nel campo della statistica comparativa (ad esempio in Italia il 6,4% della popolazione attiva risulta disoccupata, mentre le persone con disabilità hanno un tasso di disoccupazione di circa il 76%!), della qualità della vita delle persone con disabilità, dell’individuazione di indicatori di inclusione sociale.
A Seul si è parlato di esperienze come Agenda 22, strumento di lavoro utile alla messa in atto delle Regole Standard (Standard Rules) sulla disabilità, emanate dall’ONU nel 1993, una metodologia che potrebbe essere adottata anche per la Convenzione. L’obiettivo resta comunque quello di produrre nuovi dati sui livelli di discriminazione e mancanza di pari opportunità vissuti dalle persone con disabilità, basati su approcci metodologici e strumenti di ricerca innovativi per produrre rapporti periodici sulla disabilità collegati a Piani d’Azione nazionali, regionali o locali.
Le nuove sfide della cooperazione internazionale
Tornando alla questione del monitoraggio internazionale, è stata anche sottolineata con forza l’importanza di essere presenti nel nascente Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità e di farlo con esperti provenienti dal movimento mondiale, sostenendo al tempo stesso l’approvazione di un fondo dell’ONU utile a favorire la partecipazione delle organizzazioni di persone con disabilità nel processo di ratifica, implementazione e monitoraggio della Convenzione, oltre che a costruire progetti di empowerment di tali organizzazioni.
Ugualmente sono state sottolineate le nuove sfide che l’articolo 32 sulla cooperazione internazionale introduce. Infatti, questo processo dev’essere inclusivo delle persone con disabilità in tutti i progetti e in grado di rafforzare capacità e competenze delle organizzazioni di persone con disabilità.
In questo senso diventano sempre più strategiche le alleanze con le organizzazioni non governative che operano in questo settore e il primo obiettivo dovrà essere quello di aumentare le risorse destinate alle persone con disabilità, oggi talmente scarse da non includere queste ultime (pur essendo la fascia di cittadini più povera e discriminata del mondo) nemmeno nell’azione globale delle Nazioni Unite per sradicare la povertà entro il 2015 (Millennium Development Goals) [su tale tema si veda nel nostro sito il testo Inserite la disabilità tra gli Obiettivi de Millennio!, disponibile cliccando qui, N.d.R.]
Vari strumenti sono stati già prodotti per essere informati su questi scopi (i toolkit di DPI, alcuni documenti della World Bank, altre monografie di singoli autori), ultimo dei quali segnaliamo il manuale di formazione sui diritti umani e la disabilità per la piena partecipazione delle organizzazioni di persone con disabilità nei processi di ratifica della Convenzione, frutto di un progetto dell’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) e di DPI Italia in Mongolia, finanziato dall’United Nations Department of Economic and Social Affairs (UNDESA) [su tale iniziativa, si può leggere in questo sito il testo Come cresce la cooperazione, disponibile cliccando qui, N.d.R.].
In conclusione, è emerso con forza a Seul che tra le 2.700 persone partecipanti alla Settima Assemblea Mondiale di DPI era presente un gran numero di persone competenti ed esperte nel campo della disabilità, il giusto materiale umano per favorire le soluzioni positive alla costruzione di società inclusive e partecipative.
Ora è dunque il momento, come è stato sottolineato durante tutte le discussioni dei workshop, che le persone con disabilità prendano in mano i propri destini e facciano pesare i loro bisogni e diritti all’interno delle società in cui vivono.
*Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International).
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