È una sentenza realmente storica quella con la quale la Corte Suprema di Cassazione ha disposto un nuovo processo per la richiesta del padre di Eluana Englaro di poter sospendere l’alimentazione e l’idratazione della figlia, in coma da quindici anni.
Dopo aver recentemente riscontrato e discusso da laici della posizione ufficiale della Chiesa Cattolica sulla sospensione di alimentazione e idratazione in casi simili [si legga in questo stesso sito il testo Sempre la dignità della persona prima di tutto, cliccando qui, N.d.R.], ribadiamo ancora una volta l’assoluto rispetto della dignità umana e dei convincimenti personali pro e contro tali ipotesi, naturalmente estremamente ristrette e particolarmente ben motivate.
Nessun “giudizio sul giudizio”, dunque, ma alcune considerazioni sulle nuove prospettive aperte da alcuni punti della nota del presidente della Suprema Corte Vincenzo Carbone:
– la sentenza esclude che l’alimentazione e l’idratazione con sondino nasogastrico (e attraverso una protesi endoscopica gastrica (PEG)? Forse altrettanto, per analogia?) costituiscano di per sé accanimento terapeutico;
– gli atti suddetti vengono definiti «indubbiamente un trattamento sanitario» e quindi, pensiamo noi, legittimamente, in certe circostanze, rifiutabili dall’interessato;
– la Suprema Corte ha sancito la prevalenza del diritto alla vita, stabilendo tuttavia che il giudice può autorizzare l’interruzione dei trattamenti suddetti (esclusivamente) in presenza di due circostanze: 1) che «la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e della facoltà di percezione»; 2) «sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, della sua personalità, e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento».
Tutto chiaro, dunque? Alcune cose sì, altre no.
Chiari, secondo la Corte, i punti relativi al fatto che non si parli di “accanimento terapeutico”, ma di trattamento sanitario; altrettanto la possibilità, in specialissime circostanze, dell’interruzione di alimentazione e di idratazione per sonda.
Meno chiara, nei fatti, la dicitura «irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità», riferita allo stato vegetativo del paziente: infatti, sono presenti in letteratura esempi di “risvegli” o di recupero dello stato percettivo di persone valutate clinicamente in stato vegetativo per moltissimi anni.
Come risolvere allora quel «senza alcuna sia pur minima possibilità»? Si potrebbe anche pensare che tale stato assoluto e senza eccezione in realtà non esista o almeno non esista con certezza?
Un altro punto a parer nostro non chiaro appare quello relativo agli «elementi tratti dal vissuto del paziente»: è vero che la Corte ne elenca i princìpi generali, senza però precisare (probabilmente non è un suo compito) le forme e i tempi: basterà la testimonianza di alcune persone su discorsi o affermazioni anche di molti anni antecedenti (ma si può sempre cambiare idea) o sarà indispensabile una sorta di testamento biologico scritto, che sia sufficientemente recente?
Un ultimo punto che riteniamo pure insidioso: «[…] il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l’interruzione […]». Sembra chiarissimo (escludendo fortunatamente che l’iniziativa possa partire da altri), ma forse possono presentarsi talora conflitti di interessi, come nel caso del 2005 – certamente “americano” – di Terry Schiavo [sul quale si legga, in questo stesso sito, il testo Terry Schindler Schiavo, cliccando qui, N.d.R.] e qualcuno paventa anche il ricorso a “tutori del tutore”.
A questo punto, in attesa del nuovo giudizio della Corte d’Appello di Milano, disposto dalla Cassazione, umana condivisione per la sofferenza di Eluana e del padre.
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).
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