Durante la riunione dell’Osservatorio Ministeriale sull’Integrazione Scolastica tenutasi nel mese di giugno di quest’anno, è stato diffuso il rapporto finale di una ricerca sulla qualità dell’integrazione scolastica condotta dall’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione), per conto del Ministero della Pubblica Istruzione, su richiesta delle associazioni presenti nell’Osservatorio stesso.
Si tratta di un rapporto di oltre cento pagine, corredato di numerose tabelle e istogrammi che forniscono una serie di indicazioni assai interessanti.
La ricerca si è svolta nell’anno scolastico 2005-2006 e ha coinvolto le scuole statali e non statali di ogni ordine e grado. Da segnalare che, nonostante il carattere volontaristico della rilevazione, il 62% di tutte le scuole hanno risposto. E tuttavia la partecipazione degli istituti di secondo grado è stata esigua e quindi la ricerca riguarda solo le scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione che hanno comunque risposto per il 60% circa.
Lo studio è stato condotto con metodologia scientifica dagli esperti dell’INVALSI, che hanno predisposto un questionario sulla base delle indicazioni fornite dagli esperti delle associazioni; si può dire, in tal senso, che i risultati siano largamente attendibili.
Il questionario si suddivide in tre parti, ciascuna delle quali elenca alcuni descrittori sintomatici della qualità dell’integrazione. Dapprima gli indicatori strutturali, ovvero quei fatti e quelle circostanze che costituiscono le precondizioni per l’integrazione e debbono essere presenti in ogni istituto, come ad esempio il numero di alunni per classe, il numero di docenti specializzati, l’eliminazione di barriere architettoniche e sensopercettive e così via.
Poi gli indicatori di processo, cioè le modalità con cui si svolge l’integrazione, come la formulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) o l’accoglienza degli alunni con disabilità nella classe.
Infine gli indicatori di risultato, tramite i quali fornire indicazioni sulle modalità di valutazione dei risultati annuali di integrazione non solo sotto il profilo degli apprendimenti formalizzati, ma anche della crescita nella comunicazione, nella socializzazione e nell’autonomia.
In questa sede – come contributo al dibattito – intendiamo soffermarci su alcuni dati significativi che possono portare a riflessioni preoccupanti, omettendo altresì i risultati positivi, che pure emergono in abbondanza dalla rilevazione.
Indicatori strutturali
Affollamento delle classi
Ciò che colpisce immediatamente è quanto emerge riguardo all’affollamento delle classi. Infatti l’8% delle classi statali ha 25 alunni di cui però due con disabilità e il 5,3% delle scuole statali (il 13% di quelle non statali) ha classi con più di 25 alunni e più di un alunno con disabilità.
Sono dati preoccupanti che lo diventano ancor di più alla luce della Circolare Ministeriale 19/07 che ha consentito di raggiungere il numero di 27 alunni di cui uno con disabilità e di 22 alunni di cui più di uno con disabilità, senza l’obbligo di sdoppiamento delle classi [sulla materia è intervenuta per altro anche una Sentenza del TAR del Lazio, della quale il nostro sito si è occupato. Il testo è disponibile cliccando qui, N.d.R.].
In queste classi, quindi, questo indicatore strutturale denuncia la mancanza di un presupposto fondamentale per la qualità dell’integrazione.
Preparazione specifica dei docenti curricolari
Altro indicatore che fa molto riflettere riguarda la percentuale di docenti curricolari con una preparazione specifica (specializzazione o formazione). Fra gli istituti statali solo il 30% circa ha dei docenti curricolari formati, in misura del 5% sul totale; il 21,3% ha fra il 6 e il 10% di docenti curricolari formati e solo il 13% arriva al 20% di docenti curricolari formati, mentre il 4,6% supera di poco tale percentuale. Ben il 31,5%, infine, dichiara di non avere alcun docente curricolare con un minimo di formazione specifica.
Addirittura “drammatica”, poi, la situazione nelle scuole non statali, dal momento che quasi il 68% dichiara di non avere alcun docente curricolare formato. Inoltre, nel 50% circa degli istituti statali e non statali nessun docente curricolare ha seguito corsi di aggiornamento sull’integrazione negli ultimi tre anni e solo un quarto delle scuole non statali ha il 20% dei docenti che li abbiano frequentati, mentre per le statali la percentuale scende al 12%, senza però che si sappia l’entità del numero di docenti curricolari che hanno frequentato tali corsi.
Si tratta di dati realmente allarmanti, poiché tanto meno i docenti curricolari sono formati, tanto più cresce la richiesta di ore di sostegno, sia da parte delle famiglie che delle stesse scuole, in una situazione che vede la Magistratura (quasi conseguentemente) concedere ore di sostegno a singoli alunni per tutta la durata dell’orario scolastico.
Recentemente, poi, la situazione si è aggravata ulteriormente, di fronte al taglio sostanziale delle ore di sostegno, con il rischio di “lasciare allo sbando” moltissimi alunni con disabilità.
Gli indicatori strutturali fin qui esaminati segnalano dunque una qualità assai scarsa dell’integrazione scolastica, evidenziando anche l’inutilità delle ingenti spese statali destinate alla formazione dei docenti curricolari, se questa poi rimane, come previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, rimessa alla scelta facoltativa dei docenti.
Cosicché mentre in generale l’aggiornamento del personale è un fattore formidabile di sviluppo di tutte le organizzazioni, nella scuola esso continua a rimanere un episodio opzionale, a tutto danno degli alunni con disabilità e con una crescente delega dell’integrazione ai soli docenti di sostegno.
Nomina degli insegnanti di sostegno
Per quanto poi riguarda la tempestività di nomina degli insegnanti per le attività di sostegno, purtroppo solo nel 6,9% degli istituti statali essa avviene entro il primo mese dall’inizio delle lezioni, mentre nel 57,9% dei casi nessun docente viene nominato in questi termini.
Anche questi sono dati preoccupanti, poiché l’immediato contatto con il docente per il sostegno è un fattore determinante per un buon avvio dell’anno scolastico, specie per gli alunni con disabilità intellettiva.
Certo, in tali casi di ritardo è prevista la nomina di un supplente “provvisorio in attesa dell’avente diritto”, ma si tratta di un rimedio che può diventare peggiore del male, dal momento che queste supplenze provvisorie durano poche settimane – talora pochi giorni – creando spesso una grande confusione nella mente degli alunni che dopo essere entrati in sintonia con un docente, di colpo cambiano figura di riferimento, con la possibile conseguenza del rifiuto di continuare a frequentare la scuola. Senza contare ciò che si potrebbe dire sull’efficacia e l’utilità di tale spesa.
Continuità didattica
La conferma di quanto detto si ha analizzando l’indicatore della continuità didattica. Infatti il 3,7% degli alunni delle scuole statali cambia insegnante per il sostegno più volte nello stesso anno; per il 38,8% i docenti vengono cambiati ogni anno, per il 28,9% rimangono gli stessi per due anni consecutivi e solo per il 28,6% per l’intero ciclo di studi. La situazione è decisamente migliore nelle scuole non statali, dove nel 43,2% degli istituti gli alunni hanno l’insegnante per tutto il ciclo e nel 44,1% per almeno due anni.
Questa situazione di discontinuità didattica, malgrado le solenni affermazioni dell’articolo 14 della Legge 104/92 e delle norme successive, è una sorta di “cancro” che rode da dentro la qualità stessa dell’integrazione, poiché autodistrugge quello che annualmente si riesce a realizzare.
Anche le recenti immissioni in ruolo attenuano assai di poco il problema. Infatti esse non riescono ad eliminare comunque il precariato del sostegno e in ogni caso, dopo cinque anni di sostegno, i docenti di ruolo possono tornare su una cattedra comune.
In realtà solo un serio accordo fra il Ministero e i Sindacati, in una visione globale della qualità, può rimuovere questa radicale disfunzione. Da più parti è stata proposta la costituzione di un’apposita classe di concorso per il sostegno, ma tale soluzione distaccherebbe ulteriormente i docenti per il sostegno dal resto dei colleghi curricolari, non impedirebbe i passaggi ai ruoli ordinari e anzi taluni vorrebbero comunque lasciare in vita il diritto di passaggio ad una cattedra comune dopo il quinquennio.
Occorrerebbe dunque incentivare, non economicamente, la permanenza dei docenti di ruolo di sostegno per un maggior numero di anni e rendere più lunghi (per almeno un intero ciclo) gli incarichi annuali.
Assistenza per l’autonomia e la comunicazione
Passiamo ad un altro interessante indicatore strutturale, che è quello riguardante l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione la quale – secondo la ricerca – è assicurata per il 19,1% nelle scuole statali e per il 27,8% in quelle non statali.
L’assistenza igienica c’è invece nel 12,8 % degli istituti statali e nel 6% di quelli paritari. Si tratta per altro di dati concernenti alunni con minore autonomia, mentre da altre indagini delle associazioni di familiari risulta che i bisogni insoddisfatti sarebbero ben maggiori.
In ogni caso, la situazione in questo settore si è certamente aggravata nel presente anno scolastico 2007-2008, dati i drastici tagli imposti dal Governo alle spese del Ministero della Pubblica Istruzione e degli Enti locali, rispettivamente competenti per la fornitura di collaboratori e collaboratrici scolastiche per l’assistenza igienica da una parte, per l’autonomia e la comunicazione dall’altra.
Inoltre, riguardo all’assistenza igienica, la situazione si può talora definire drammatica, dal momento che, nonostante la Nota Ministeriale Protocollo 3390/01 e il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 2003 (articoli 47 e 48 e Allegato A), alcuni sindacati autonomi spingono i collaboratori scolastici a non prestare tale assistenza, pur essendo previsto per tale mansione un compenso aggiuntivo che è anche pensionabile.
Quanto alla formazione dei collaboratori scolastici, ben il 55,1% delle scuole statali dichiara di avere almeno un collaboratore formato e l’11,4% li ha tutti formati in base a corsi specifici. Per converso il 44,9% e la quasi totalità delle scuole paritarie non hanno personale preparato.
Da segnalare qui che la ricerca dell’INVALSI non affronta il delicatissimo problema del genere, poiché non sempre nella stessa scuola si trovano almeno un uomo e una donna preparati per svolgere questo compito.
Formazione dei dirigenti scolastici
Un altro significativo indicatore verte poi sulla formazione dei dirigenti scolastici rispetto all’integrazione. Circa il 25% ha un titolo di specializzazione e ha frequentato corsi di formazione, mentre un altro 25% non ha nulla di tutto ciò.
Questo può forse spiegare anche alcuni casi eclatanti di esclusione dal diritto alla qualità dell’integrazione, addebitabili a dirigenti scolastici per i quali il Ministero dovrebbe obbligatoriamente prevedere una specifica formazione giuridico-organizzativa in materia.
Barriere architettoniche
Ultima, ma non ultima, la presenza di barriere architettoniche, rispetto alle quali ben il 38,1% delle scuole statali e il 26,6% di quelle non statali dichiarano di non avere bagni accessibili. Inoltre circa un terzo degli istituti statali e oltre la metà di quelli paritari non rispondono alla domanda riguardante la presenza di ascensori, servoscala o montacarichi.
Questi dati, di per sé assai preoccupanti, sono comunque meno allarmanti di quelli effettivamente riscontrati da ricerche specifiche su singoli territori, effettuate da associazioni come Cittadinanzattiva.
Indicatori di processo
Gruppi di Lavoro di Istituto
Il Rapporto dell’INVALSI non dice in quante scuole siano stati istituiti i Gruppi di Lavoro di Istituto, strutture assai importanti per gli orientamenti interistituzionali da fornire agli organi collegiali e al dirigente di ogni scuola, composti da rappresentanti delle famiglie e operatori scolastici e sociosanitari). Viene però evidenziato che solo nel 52% delle scuole statali e nel 18% delle non statali tale organismo funziona regolarmente.
Diagnosi funzionale
Altro indicatore fondamentale per la corretta lettura dei bisogni e la personalizzazione puntuale del Piano Educativo Individualizzato (PEI) è la diagnosi funzionale.
Orbene, quasi la totalità delle scuole lamenta l’incompletezza di indicazioni significative che dovrebbero essere rilasciate per legge dalle Aziende Sanitarie Locali. Addirittura l’8% delle scuole statali e il 14% di quelle paritarie dichiara di non ricevere tale documento.
Quale possa essere la qualità dell’integrazione scolastica specie in questi casi risulta pleonastico chiederselo, ma anche nei casi in cui la diagnosi funzionale viene consegnata, la tempestività del rilascio concomitante alla scadenza della data delle iscrizioni (mese di gennaio dell’anno precedente la frequenza) riguarda solo il 37% delle scuole statali; ben il 43% riceve la diagnosi appena entro maggio, cioè in tempo utile per formulare la richiesta di sostegno in organico di fatto e di risorse agli Enti Locali. Circa un quinto delle scuole statali riceve poi il documento oltre tale data e quindi la richiesta di risorse per il PEI diviene del tutto problematica.
Coralità di formulazione del PEI
Quanto alla coralità di formulazione del citato PEI – richiesta dall’articolo 12, comma 5 della Legge 104/92 (vi dovrebbero partecipare tutti gli insegnanti, gli operatori sociosanitari che seguono il caso e i genitori) – solo nel 13% delle scuole statali la legge è rispettata. In quasi un terzo di esse, invece, il PEI è redatto dai soli docenti del Consiglio di Classe e nel 9% addirittura dal solo docente per il sostegno.
Confrontando per altro tali dati con quelli relativi alla formazione specifica dei docenti curricolari, si rafforza il sospetto che anche nei molti casi in cui viene dichiarata la partecipazione attiva dei docenti curricolari, in verità questi si limitino a ratificare quanto predisposto dal docente per il sostegno.
Indicatori di risultato
Modalità di valutazione
Passiamo infine alle modalità di valutazione e ai risultati. In questo caso il 40% circa degli istituti usa esclusivamente prove differenziate, mentre il 30% le affianca ad altre prove.
Riguardo poi ai risultati, emerge che nel 46,4% degli istituti gli alunni con disabilità vengono promossi; nel 4,4% dei casi, però, essi non conseguono il diploma di licenza media, un fatto, quest’ultimo, che deve fare riflettere, poiché è ancora assai presente la convinzione che se tali alunni non sanno leggere, scrivere e “far di conto”, non possono conseguire il diploma, ma solo un attestato di frequenza; al contrario, però, l’articolo 16, comma 2 della Legge 104/92 indica che la valutazione deve registrare il «progresso» realizzato rispetto «ai livelli di apprendimento iniziali», predisposti secondo un Piano Educativo Individualizzato che sia calibrato sulle effettive capacità e potenzialità degli alunni.
Tutto ciò potrebbe anche aggravarsi nel prossimo anno scolastico, quando si applicherà la norma che reintroduce il giudizio di ammissione agli esami. In tal caso, infatti, se gli alunni non venissero ammessi agli esami, non potrebbero neppure conseguire l’attestato, rilasciato solo dalla commissione di esami, che è titolo idoneo per l’iscrizione alle scuole secondarie di secondo grado.
Autovalutazione della qualità
Quanto all’autovalutazione della qualità realizzata nelle scuole – svolta dai Gruppi di Lavoro d’Istituto – essa è ancora assai poco diffusa, essendo effettuata solo nel 53,3% delle scuole statali e nel 32,4% di quelle paritarie.
Inoltre, circa i possibili livelli di tale autovalutazione, i risultati sono poco lusinghieri. Infatti, considerando ottimale la situazione di quegli istituti che adottano l’autovalutazione operata dal GLH (Gruppo di Lavoro Handicap) d’Istituto, anche sui singoli casi e ad opera del Collegio dei Docenti, si osserva che essa è presente solo in un quarto delle scuole statali, mentre è totalmente assente in un altro 25%, risultando realizzata solo da uno o due degli organismi citati nel restante 50%.
Autovalutazione delle risorse umane
Passando poi all’autovalutazione delle risorse umane da parte delle scuole statali, queste risultano adeguate solo nel 15% dei casi, appena sufficienti nel 33,4% e scarse per il 50% circa.
Migliore è la valutazione in ambito di scuole paritarie. A questo proposito c’è da chiedersi quanto influisca su questo la consapevolezza dei forti tagli alle scuole statali e l’incremento dei finanziamenti agli istituti non statali.
Strumenti e attrezzature
E ancora, riguardo alla presenza di strumenti ed attrezzature, questi ultimi vengono considerati adeguati solo per il 14,3% delle scuole statali, appena sufficienti per il 33% e scarsi per il 50% o poco meno.
Si tratta di un settore in cui la tecnologia può certamente giovare molto, ma i tagli alla spesa pubblica creano gravi ostacoli.
Strategie impiegate per l’integrazione
Per quanto concerne le strategie impiegate per l’integrazione, è preoccupante che il 48,6% delle scuole parli di disabilità nell’affrontare casi di disagio e difficoltà comportamentali.
Anche questa è una riprova dell’inadeguata formazione e aggiornamento dei docenti curricolari circa le problematiche della diversità che crescono sempre di più nella scuola.
Percezione dei cambiamenti nella didattica
Molto importante, infine, è la percezione dei cambiamenti nella didattica verificatisi a seguito dell’integrazione scolastica. Le scuole statali dichiarano per il 45,7% che è cambiata l’impostazione della tradizionale lezione frontale, quelle non statali per il 31,8%.
Modifiche complessivamente interessanti sono segnalate poi dal 26% degli istituti statali e dal 28,9% di quelli non statali. Non è invece cambiato nulla secondo il 25,6% delle scuole statali e per il 33% di quelle paritarie.
Quest’ultimo ci sembra un dato assai preoccupante, perché ad oltre trentasei anni dalla Legge 118/71, che avviò in Italia il processo d’integrazione, oltre un quarto delle scuole primarie italiane non sembrano ancora averne tratto alcun vantaggio, continuando dunque ad occuparsene in modo routinario, burocratico e privo di qualità.
Conclusioni
In conclusione, il quadro che ci presenta questa importante ricerca dell’INVALSI, se ci rassicura circa l’incidenza positiva avuta dall’integrazione scolastica nella maggioranza delle scuole italiane, suona però un forte campanello d’allarme per quanto rimane ancora da fare nel tentativo di rimuovere inadeguatezze, superficialità e incongruenze del sistema nel suo complesso.
Ormai nessuno può più dire che ancora non abbiamo dati attendibili di valutazione, né può trincerarsi dietro rinvii per conoscere meglio la situazione. La situazione è sufficientemente chiara nelle sue luci, che pur ci sono e nelle sue ombre, che restano tante e alle quali ancora non viene posta dai responsabili la dovuta attenzione, malgrado le insistenti sollecitazioni delle associazioni e in particolar modo di quelle aderenti alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
In tal senso ci sembra indispensabile che entro un triennio venga attuata una nuova rilevazione ufficiale, per verificare se nel frattempo la classe politica abbia tenuto conto dei problemi qui sollevati, cercando di porre ad essi i dovuti rimedi.
*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).