Sono grato a Giampiero Griffo per il contributo che ha dato alle persone con disabilità, a chi se ne occupa a vario titolo e a tutti i lettori di Superando.it con il suo articolo La piena inclusione ha bisogno di buone statistiche [disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Con le sue competenze, le sue proposte, la sua instancabile, fruttuosa e stimolante partecipazione agli eventi (decisivi per il presente e il futuro delle persone con disabilità) da lui citati nel suo articolo (che gli offrono un osservatorio davvero unico di quanto accade nel mondo, in Europa e nel nostro Paese), egli ci fornisce un’ottima prospettiva su cui riflettere.
Da parte mia desidero portare un contributo con alcune considerazioni nate dalla partecipazione a due di questi eventi, che ho avuto il piacere di condividere con lui a Trieste e a Milano, assieme ad alcune riflessioni finali.
In sostanza il tema è: in quale maniera possiamo oggi approfittare della Convenzione ONU e dell’ICF [la Classificazione Internazionale per la Disabilità, il Funzionamento e la Salute, introdotta nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], per coniugare principi e obiettivi, etica e scienza, antidiscriminazione e inclusione, prassi politica e diritti di cittadinanza e quali sono le linee di lavoro e le progettualità che potrebbero essere, in prospettiva, utili per garantire alle persone con disabilità (così come alle comunità in cui esse vivono) un’esistenza migliore?
Trieste, inizio novembre
Nell’ambito del Meeting internazionale di Trieste dei Centri Collaboratori OMS-Famiglia delle Classificazioni Internazionali (CC OMS-FIC) [sull’evento si legga nel nostro sito il testo disponibile cliccando qui, N.d.R.], la tavola rotonda cui ha partecipato Giampiero (1) aveva come tema Il potere dell’informazione: possederla e condividerla.
Durante il suo rigoroso quanto apprezzato intervento, egli è stato capace di richiamare l’attenzione dei centosessantotto esperti di classificazioni ICD-ICF provenienti da ventinove diversi Paesi, dei direttori, dei research branch e dei collaboratori dei dieci Centri OMS-FIC, oltre che del quartiere generale dell’OMS-FIC, su come l’ICF sia, ad oggi, la classificazione più coerente per misurare quanto i princìpi enunciati dalla Convenzione sono e/o saranno attuati.
Direi di più, l’utilizzo del modello biopsicosociale su cui si basa l’ICF e l’approccio multidimensionale per misurare il grado di inclusione delle persone con disabilità potrebbe anche promuovere il conseguimento dei loro diritti. E questo perché per passare da un orientamento assistenziale ad uno inclusivo (non di generica integrazione, quindi), è necessario finalizzare l’applicazione dei codici alfanumerici dell’ICF non solo per leggere i bisogni delle persone con disabilità, ma anche per valutare il grado di rispetto dei loro diritti. Come a dire, scienza sì, ma al servizio dell’etica.
L’elemento più importante che è emerso al Meeting di Trieste – come richiamato anche da Giampiero nel suo citato articolo di Superando.it, quando parla della «richiesta largamente recepita dalla rete dei Centri Collaborativi sulle Classificazioni […] di coinvolgere le organizzazioni di persone con disabilità nelle attività di ricerca e raccolta dati» (2) – è stata la presa di coscienza della necessità di «costruire saperi nuovi, coinvolgendo gli attori più avanzati nei vari ambiti che decidono della nostra vita» (3).
Proviamo, allora, a costruire un’alleanza tra le “organizzazioni di persone con disabilità” ed alcuni di questi “attori”, riassumendo i punti su cui siamo d’accordo:
1. L’ICF si presta a diventare il miglior linguaggio in grado di leggere e declinare i contenuti antidiscriminatori della Convenzione, soprattutto se diventa lo strumento condiviso che misura il processo di inclusione delle persone con disabilità.
2. Se si investe sul coinvolgimento e la partecipazione di tutti i protagonisti (politica, scienza, organizzazioni di persone con disabilità, nei rispettivi ruoli e competenze), è necessario condividere tra protagonisti i “saperi e le motivazioni” che più garantiscono il passaggio da un bisogno alla sua soddisfazione, laddove le soluzioni non sono già date, ma vanno cercate assieme perché solo così possono acquistare significato per la valenza etico-scientifica di cui sono portatrici.
Su queste premesse, come CC OMS-FIC italiano, siamo più che disponibili ad iniziare un progetto di lavoro condiviso con i rappresentanti delle organizzazioni italiane di persone con disabilità «…in vista della costruzione di sistemi di monitoraggio nazionali e internazionali previsti dalla Convenzione (articoli 33 e 34), ciò che costituisce un elemento strategico della Convenzione stessa, per valutare le politiche e l’applicazione delle legislazioni, il livello di discriminazione e le conseguenti azioni di implementazione» (4).
Milano, fine novembre
Nell’ambito poi della Conferenza Europa di Milano [si legga la presentazione dell’evento in questo sito, cliccando qui, N.d.R.], dedicata al Progetto MHADIE (Measuring Health and Disability in Europe: Supporting Policy Development), ho preso parte ai lavori del MHADIE-EFNA Forum Le organizzazioni delle persone disabili. Politiche sulla salute e la disabilità nei Paesi dell’UE, per il quale erano presenti in sala i rappresentanti di associazioni di disabili di ventitré Paesi europei (oltre ad autorevoli rappresentanti della Commissione Europea e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).
Semplificando, le associazioni in rappresentanza dei Paesi potevano essere divise in tre grandi gruppi:
a) associazioni di “malati” (ad esempio AISM – Associazione Italiana Sclerosi Multipla, AISLA – Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, Finnish Migraine Association ecc., provenienti da più Paesi);
b) associazioni di “malati” in rappresentanza di più “malattie” sia a livello nazionale che europeo (ad esempio Greek Multiple Sclerosis Society, Czech Association of Patients, European Federation of Neurological Associations ecc.);
c) associazioni che potevano essere considerate come organizzazioni “ombrello”, cioè espressioni di persone con ogni tipo di disabilità (fisica, psichica, sensoriale) a livello europeo, nazionale e regionale, come l’EDF – European Disability Forum, l’Estonian Chamber of the Disabled, la Consulta delle Associazioni di Disabili del Friuli Venezia Giulia e molte altre (5).
Un “campione” più che significativo, quindi, a tutti i livelli (sia per ciò che riguarda l’estrazione geografico-storica, sia su base elettiva, cioè a dire, di democrazia), un risultato politico fondamentale che va riconosciuto anche questo al Progetto MHADIE.
Il dibattito che si è sviluppato nel corso della giornata ha consentito a ciascuna rappresentanza di esprimere preoccupazioni e aspettative sia nei confronti della Convenzione che dell’ICF. Il richiamo al modello medico e a quello sociale, cui facevano riferimento i rappresentanti delle associazioni presenti (con legittime preoccupazioni da parte delle associazioni di “malati” di perdere le garanzie conquistate per le specifiche patologie e/o gruppi di patologie, a tutt’oggi essenziali) è stato il tema centrale.
Tutti, però, sono stati d’accordo sui seguenti punti:
1. Che è necessario superare la contrapposizione tra modello sociale e modello medico, perché essi sono complementari e le conquiste che hanno saputo produrre entrambi vanno proiettate verso un futuro che punti ad un processo inclusivo, più in generale, senza però perdere le specificità di ciascuno perché sono risultate e risultano ancora rilevanti.
2. Che è necessario in particolare superare gli errori ereditati dal passato, cioè a dire il prevalere di un modello sull’altro, causa di risposte tanto incomplete quanto (a volte) tragiche. Per esemplificare, il modello medico, puntando comprensibilmente sull’aspetto sanitario-riabilitativo (per quanto declinato fuori dalle mura ospedaliere), si è rivelato incompiuto e discriminante (non si può vivere nella condizione di “paziente” per decenni, la maggior parte dell’esistenza umana, tutta la vita); dal canto suo, il modello sociale, malgrado le sue buone intenzioni, non è stato da meno quando ad esempio ha quasi ritenuto che chiudendo i manicomi si potesse eliminare la stessa malattia mentale. In entrambi i casi le conseguenze più drammatiche connesse ad un’errata lettura dei bisogni/diritti si sono riversate e continuano a riversarsi soprattutto sui disabili, sulle loro famiglie e sulle associazioni che se ne prendono cura.
3. Sia la Convenzione che l’ICF, declinati nei modi proposti da Giampiero a Trieste, ci possono aiutare in tal senso.
Alcune riflessioni
Sono d’accordo dunque con Giampiero quando afferma che «l’approvazione della Convenzione ONU ha allargato la riflessione sulla disabilità» e che questo richiede anche un’elaborazione di «nuovi strumenti di lettura e di analisi» (6).
Come sappiamo, per ciò che riguarda l’ICD [la Classificazione Internazionale delle Malattie, N.d.R.], siamo alla decima edizione e si sta già lavorando sull’undicesima la cui pubblicazione è prevista per il 2015.
Per ciò che riguarda l’ICF siamo invece alla prima edizione, ma non sarebbe corretto dire che dal 2001 non si sia fatto niente. Ad esempio, uno dei risultati più rilevanti, secondo me, è stato l’evento di Venezia, il 25 e 26 ottobre di quest’anno, dove è stato presentato l’ICF-CY (ICF – Children and Young), che applica la classificazione ai bambini e ai giovani con disabilità, di cui Matilde Leonardi e Andrea Martinuzzi, research branch del CC OMS-FIC italiano, sono stati tra gli artefici principali.
In occasione del 13° Congresso Nazionale della Società Medica Italiana di Paraplegia (SOMIPAR), che si è svolto a Udine nel novembre di quest’anno, nell’ambito del workshop su Assistive technology, Universal design: quale ruolo nel modello ICF?, lo stesso Martinuzzi ha presentato un’interessante ricerca sul tema ICF e lesione midollare (7), confermando scientificamente che quanto affermato da Giampiero – non bisogna finalizzare l’intervento riabilitativo solo «al recupero funzionale della persona sulla base di un modello astratto di salute (ad esempio il recupero della stazione eretta per una persona con lesione midollare), bensì […] intervenire con appropriatezza, rispettando la diversità delle caratteristiche della persona, con azioni di abilitazione, garantendo cioè, per rifarsi all’esempio precedente, il miglior uso della carrozzina per una persona mielolesa» (8) – non è solo buon senso, ma è la base su cui impostare un progetto riabilitativo capace di declinarsi con efficacia maggiore nel processo che il sistema salute è chiamato a garantire in favore dell’inclusione della persona con lesione mielica.
In breve, secondo quanto proposto dal CC OMS-FIC italiano al citato Meeting di Trieste, riguardo all’implementazione dell’ICF, come ha dichiarato il direttore del Centro Carlo Francescutti, «noi speriamo che la riunione di Trieste abbia convalidato la prospettiva che approcci diversi sono possibili, evitando il rischio di sostenere “un pensiero uni-dimensionale”. Il punto critico è il collegamento tra l’ICF e lo sviluppo delle scale o, più in generale, il collegamento tra l’ICF e il processo dell’assessment/measurement [letteralmente “valutazione/misurazione”, N.d.R.]. Escludendo qualsiasi considerazione di carattere psicometrico e/o discussione su quale sia la tecnica più appropriata di scaling [letteralmente “ordinamento”, N.d.R.], noi consideriamo lo sviluppo di scale nuove basate sull’ICF un campo di ricerca molto interessante. Nel futuro una generazione nuova di strumenti di misurazione potrebbe facilitare la diffusione dell’ICF in molte aree di ricerca e nei domini clinici. Allo stesso tempo, il nostro lavoro di ricerca e di implementazione ci ha convinti che in molti casi ciò che si richiede è la definizione di profili funzionali capaci di utilizzare tutto il potere descrittivo dell’ICF».
Molto si sta facendo – e pure a Trieste abbiamo visto e ascoltato molto – ma molto rimane da fare. Ho qualche perplessità e richiedono probabilmente un maggior tempo di riflessione le sottolineature di Giampiero sui limiti teorici dell’ICF, in particolare sull’incapacità della classificazione di intercettare le manifestazioni antidiscriminatorie perpetrate nei confronti delle persone disabili e le relative proposte correttive da lui illustrate.
In generale, rispetto all’ICF, suggerisco di rifarsi ai Capitoli 7-9 della Sezione Attività e Partecipazione. In particolare, poi, se è vero che nel Codice d940 Diritti umani sono citate solo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e le Regole Standard delle Nazioni Unite per l’Uguaglianza delle Opportunità per le Persone con Disabilità del 1993, nel medesimo codice sono però già citati esplicitamente «il diritto all’autodeterminazione e all’autonomia» e «il diritto di (poter) controllare il proprio destino».
Se si tratta di aggiungere la citazione della Convenzione, è solo un problema di stampa che considero già risolto. In caso contrario, e visto che siamo amici soprattutto perché abbiamo condiviso e condividiamo un percorso comune in senso lato, continueremo la discussione.
*Centri Collaboratori OMS-Famiglia delle Classificazioni Internazionali (CC OMS-FIC) Italia.
(1) l’amicizia che ci lega da decenni si identifica con il suo nome.
(2) G. Griffo, La piena inclusione ha bisogno di buone statistiche, in Superando.it. Testo disponibile cliccando qui.
(3) Idem.
(4) Idem.
(5) Cliccando qui è possibile visionare l’elenco completo delle associazioni.
(6) Griffo, art. cit.
(7) La ricerca fa parte del progetto Development of ICF Core Sets for Spinal Cord Injury, ICF Research Branch Department of Physical Medicine and Rehabilitation (diretto da G. Stucki), Ludwig-Maximilian University, München.
(8) Griffo, art. cit.
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