La Mongolia sia da guida anche ai ricchi Paesi occidentali

a cura di Barbara Pianca
Verrà presentato ufficialmente in giugno a Ginevra il "Manuale di Formazione sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità" che l'AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) e DPI (Disabled Peoples' International) hanno realizzato in Mongolia insieme alla Federazione Mongola delle Associazioni di Persone con Disabilità. Ne parliamo con lo stesso presidente dell'AIFO, Francesco Colizzi

La cartina geografica della MongoliaIn Mongolia le persone con disabilità hanno prodotto un volume sistematico che analizza punto per punto la recente Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata nel dicembre 2006, mettendola in relazione con la realtà locale. Si tratta di uno strumento innovativo, punto di riferimento importante sia per le associazioni mongole nei loro rapporti operativi con le istituzioni, sia per il resto del mondo, a partire dai Paesi occidentali, come l’Italia, dove un’esperienza del genere non è stata ancora realizzata.

La stesura del manuale è stata possibile innanzitutto grazie all’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), che agisce in Mongolia da ventisette anni. Chiediamo al suo presidente, lo psichiatra Francesco Colizzi, qual è la relazione tra la sua associazione e le persone con disabilità.
«L’AIFO – ci spiega Colizzi – nasce per occuparsi del problema della lebbra nel mondo. La lebbra è una malattia che, se non diagnosticata in tempo, produce disabilità gravissime che colpiscono gli arti e la vista, rendendo le persone cieche. È occupandoci di lebbrosi gravi che siamo diventati esperti sulla disabilità. Inoltre, da vent’anni abbiamo sviluppato i programmi RBC (Riabilitazione su Base Comunitaria), ideati dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), che comportano il coinvolgimento delle risorse di una comunità allo scopo dell’integrazione delle persone con disabilità. All’interno di questi progetti non ci riferiamo solo ai malati di lebbra, ma più in generale a tutte le persone con disabilità. Ci sembrava sbagliato limitare l’esperienza escludendo alcune tipologie di persone con disabilità e dall’altra parte, proprio diffondendo un nuovo modello di integrazione, abbiamo potuto reinserire socialmente persone che portano sul proprio corpo tracce gravi del passaggio della lebbra».

«Il nostro dipartimento scientifico – continua Colizzi – si è specializzato al punto che il DAR (Disability and Rehabilitation Team), Ufficio del Dipartimento Malattie Non Trasmissibili dell’OMS, lo ha voluto come partner a partire dalla fine degli anni Novanta. Ad oggi siamo l’unica Organizzazione Non Governativa italiana con questo tipo di riconoscimento ufficiale. Da poco ci hanno rinnovato tale ruolo fino al 2010».

Chi è il responsabile del vostro dipartimento scientifico?
«Si chiama Sunil Deepak ed è un medico indiano. Attualmente, in qualità di consulente della DAR, sta realizzando il primo rapporto mondiale sulla disabilità».

Si tratta di un evento senza precedenti.
Il medico indiano Sunil Deepak è il responsabile del dipartimento scientifico dell'AIFO«Sì, infatti. Di solito l’OMS non dedica un rapporto a un’unica tematica. Quando lo fa, raramente, significa che vuole potenziare l’attenzione sull’argomento ed è la prima volta che questo accade per la disabilità. Deepak è uno degli incaricati alla stesura, che si trova in questo momento in fase avanzata, tanto che potrebbe concludersi entro il 2008 o all’inizio del 2009».

Come nasce la vostra attività in Mongolia?
«La presenza dell’AIFO in Mongolia è radicata: siamo lì da ventisette anni e i nostri collaboratori in loco sono ormai tutti di etnia mongola.
All’inizio degli anni Novanta, l’OMS ci aveva chiesto di realizzare in questo Stato un progetto RBC, inizialmente con fondi solo nostri e poi con un contributo dell’Unione Europea. Finora abbiamo coinvolto i due terzi della popolazione».

È in questo contesto che è nata l’idea del Manuale?
«Sì, perchè il terreno si era mostrato straordinariamente fertile».

Cosa intende?
«Di solito la messa in atto di un progetto RBC comporta una relazione tra noi, i Governi dei Paesi in cui interveniamo e i loro servizi Sanitari e Sociali.
In Mongolia, il Ministero della Sanità si è mostrato sensibile al punto da chiederci la nostra consulenza per la messa a punto della legislazione nazionale sulla disabilità. Inoltre, la loro Commissione sui Diritti Umani (un organo istituzionale che da noi non ha eguali) ha deciso di occuparsi della tematica».

Quindi, in collaborazione con le istituzioni mongole, avete prodotto il Manuale?
«Certamente, ma non solo. La caratteristica principale del volume è di essere stato compilato dalle persone con disabilità e, quindi, di non essere prettamente accademico ma soprattutto pratico e concreto».

Avete coinvolto le associazioni locali di persone con disabilità?
«Abbiamo fatto di più: le abbiamo fatte nascere. Infatti, uno degli obiettivi principali dei nostri progetti è stimolare la nascita di gruppi di mutuo aiuto e di vere e proprie organizzazioni chiamate DPO (Disabled People Organization): in Mongolia ne sono nate a decine. A questo punto, la situazione particolarmente favorevole, l’emanazione quasi in parallelo della Convenzione ONU e la collaborazione con il DPI in un progetto collaterale sui diritti umani hanno posto le premesse alla nascita del manuale [di questa esperienza congiunta delle due realtà associative, il nostro sito si era già occupato, con il testo disponibile cliccando qui, N.d.R.]. Discutendo della Convenzione appena approvata, infatti, è nata l’idea di verificarla punto per punto con le associazioni locali, per offrire loro uno strumento di riferimento nei rapporti con le istituzioni e, al contempo, per stimolarle alla conoscenza approfondita dei contenuti della Convenzione stessa».

Com’è strutturato il volume?
«Contiene un’introduzione storica, che descrive il cammino dei diritti umani delle persone con disabilità fino al traguardo della Convenzione ONU. Poi, c’è il racconto dell’esperienza sul campo del nostro progetto e di come le associazioni locali siano state messe in grado di partecipare alla compilazione del volume acquisendo competenza anche dal punto di vista giuridico. Il volume, quindi, continua con l’analisi della Convenzione articolo per articolo ed è corredato da allegati e altri strumenti utili per la pratica, visto che il suo scopo è prima di tutto quello di poter essere utilizzato dalle associazioni nei loro rapporti con le autorità mongole».

Chi sono gli autori effettivi dell’opera?
Francesca Ortali e Giampiero Griffo con alcuni rappresentanti del Governo della Mongolia«L’antropologa Francesca Ortali, capo manager di AIFO, e l’esperto Giampiero Griffo per DPI hanno coordinato i lavori. Ma gli estensori veri e propri sono stati gli stessi membri delle DPO mongole. Cioè, in onore al motto Niente su di Noi Senza di Noi, autori materiali del volume sono state le persone con disabilità».

Esistono altre esperienze del genere in altri Paesi?
«Questo è un aspetto per me interessante se non straordinario: finora non conosciamo altri esempi di manuale di questo tipo, nato in e per un Paese povero. Si può quindi dire che si tratta di un progetto pilota, un modello da proporre anche alle ricche nazioni occidentali».

Per conoscere i futuri utilizzi di questo testo innovativo, ci rivolgiamo a Francesca Ortali, che, insieme a Giampiero Griffo, ha partecipato in prima persona alla sua gestazione.
«Il 9 giugno 2008 dovremmo presentarlo ufficialmente a Ginevra», ci spiega Ortali [la data, inizialmente prevista per il 18 marzo scorso, come anche da noi annunciato, è stata procrastinata, N.d.R.]. «Intanto, Giampiero Griffo lo ha già utilizzato, nella sua versione informale tradotta in italiano, in alcuni corsi di formazione nella nostra penisola. Inoltre, la Provincia di Milano ne ha approvato la traduzione in francese, spagnolo e portoghese. Sempre nei dintorni di Milano, in questo caso presso alcuni Comuni limitrofi, dovremmo presto attivare dei corsi in cui verrà utilizzato il Manuale.
Nonostante non ci sia ancora un piano specifico, il nostro scopo è quello di curare non solo l’utilizzo, ma anche la diffusione del volume, fino a ottenere un riconoscimento condiviso della sua struttura, in modo che i singoli Stati possano adottarla, modificandone poi i contenuti in relazione alla propria realtà locale».

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