Nell’estate del 2006, la giuria della rassegna Teatro al Centro di Torino ha consegnato il premio come migliore attrice protagonista a Carlotta Bisio, in scena con la commedia musicale Jacqueline di Fulvio Crivello, diretta da Franco Abba.
La cinquantenne con le trecce rosse che ha dato vita a una spietata e focosa donna manager ha conquistato i giurati che, colpiti dall’efficace interpretazione, non si sono neppure accorti di una sua caratterista peculiare: la cecità.
Carlotta Bisio, affetta da retinite pigmentosa diagnosticata all’età di venticinque anni, memorizza gli spazi scenici, i tempi e i movimenti. Grazie ad un duro e profondo lavoro di sincronizzazione con i colleghi della compagnia Affetti Collaterali, calca i palcoscenici italiani con opere che puntano soprattutto al buonumore. La sua passione per la recitazione è tanta da aver contagiato anche la figlia Silvia Amoretti, nome conosciuto dagli spettatori di alcune serie televisive come Centrovetrine e I Sospetti 2.
«Il teatro è terapeutico per definizione», ci racconta Carlotta, analizzando i motivi e le origini della propria passione. «Da ragazzina ero timidissima e aggressiva. All’età di dieci anni e fino ai diciassette ho vissuto a Rio de Janeiro in Brasile con la mia famiglia. Lì ho frequentato i primi corsi di recitazione e poi una vera e propria scuola. Recitare mi ha aiutato a superare la timidezza e ad ammorbidire l’aggressività».
Oggi, invece, che valore ha per te?
«Magico. Entrare nei panni di qualcun altro rinnova la mia curiosità per la vita, è uno stimolo ogni volta nuovo. E poi è una sfida perché, a differenza del cinema dove un ciac si può sempre rifare, quando il sipario si apre rimango esposta e se sbaglio me la devo sbrigare da sola, possibilmente in modo che il pubblico non se ne accorga. I cinque minuti prima di andare in scena sono un’emozione indescrivibile. Così, nonostante la vista diminuisca, sta aumentando la fiducia in me stessa».
Come fai a orientarti sul palco?
«Dico sempre che quando recito ho quattro occhi imprestati, due di mia figlia, soprattutto dietro le quinte e due dell’assistente di palco. Inoltre, insieme ai miei compagni attori, abbiamo intrapreso un importante, bello e faticoso progetto di coordinamento tra me e ognuno di loro, con risultati emozionanti. In Jacqueline prendo addirittura la rincorsa e salto in braccio a un uomo. Quando mia figlia viene a vedermi, dice che in quel momento suda freddo, ma per ora non sono mai caduta in platea!».
Da quanto tempo fai parte della compagnia Affetti Collaterali?
«Quando sono tornata in Italia mi sono occupata di altre cose: dovevo finire di studiare, poi ho iniziato la professione di consulente informatica, mi sono sposata e ho avuto una figlia. A ventott’anni, dopo la separazione, ho ricominciato a frequentare l’ambiente. Quando poi ho smesso di lavorare per via della retinite, ho conosciuto la compagnia di cui oggi faccio parte. All’inizio assistevo soltanto alle prove finché, nel 1999, una delle attrici è rimasta incinta e mi hanno chiesto di sostituirla. Da allora devo ancora scendere dal palcoscenico».
Di solito il ricavato dei vostri spettacoli viene dato in beneficenza.
«Infatti. È il nostro contributo in particolare alle associazioni del mondo della disabilità. Inoltre, con l’APRI (Associazione Piemontese Retinopatici ed Ipovedenti), stiamo iniziando un progetto per portare la mia esperienza nelle scuole, per mostrare che le difficoltà si superano con la determinazione e che gli obiettivi si possono raggiungere».
Il prossimo appuntamento del tuo calendario?
«Il 30 maggio 2008 debutteremo al Teatro Araldo di Torino (Via Chiomonte, 3, ore 21), con il nuovo spettacolo Famiglia Omicidi, un giallo comico scritto e diretto da Alessandro Ragona, il cui ricavato andrà all’APRI. Il mio ruolo è quello di Marta, moglie del defunto Eugenio». (Barbara Pianca)