Quando il limite diventa potenzialità artistica?

«Se è vero che l'artista è colui che è capace di trasformare la realtà facendola diventare sogno, allora non ci sono dubbi che essere artista è una condizione veramente accessibile a tutti: la persona disabile ha i mezzi per superare i limiti della nostra convenzionalità e per diventare artista». Lo dichiarano i direttori artistici di "Quinto Teatro", il Primo Festival Teatrale delle Normalità Differenti che si svolgerà a Trento dal 14 al 16 novembre

«Quando il limite diventa potenzialità artistica?»: all’insegna di questo messaggio nasce a Trento Quinto Teatro, il Primo Festival Teatrale delle Normalità Differenti, che si terrà da venerdì 14 a domenica 16 novembre, su un’idea della Cooperativa Sociale La Rete e della Compagnia Arditodesio (ex Teatro di Bambs).
Locandina ufficiale di «Quinto Teatro»Ma per presentare la bella iniziativa preferiamo dare direttamente la parola – qui di seguito – ai direttori artistici della manifestazione Andrea Brunello (Arditodesio) e Mauro Tommasini (La Rete), oltre che ad Antonio Viganò, regista e autore teatrale che ha collaborato, tra l’altro, anche con la compagnia bolognese degli Amici di Luca, composta in parte da persone che hanno superato l’esperienza del coma.
Ci limitiamo dunque a segnalare che il programma di Quinto Teatro prevede tre giornate fitte di workshop, “tavole quadrate” e naturalmente spettacoli serali, a partire da venerdì 14, con i workshop al Teatro Portland, condotti da Mirko Artuso (ore 10-13) e Antonio Viganò (ore 14-17) e lo spettacolo Deboli e storti, diretto da Mirko Artuso (Teatro Auditorium Santa Chiara, ore 21, riproposto sabato 15 alle ore 11 per le scuole).
Il giorno successivo, poi (sabato 15), il workshop coordinato da Cinzia Zanellato e la tavola quadrata Quando il limite diventa potenzialità artistica (entrambi al Portland, rispettivamente alle 10-13 e alle 16-18), con la partecipazione, a quest’ultima, della stessa Zanellato, di Mirko Artuso, Antonio Viganò, Dario Ianes e Clara Lunardelli. In serata lo spettacolo del Santa Chiara Come farfalle nella pancia (ore 21), diretto da Antonio Viganò.
Infine, domenica 16, il workshop condotto congiuntamente da Artuso, Viganò e Zanellato, previsto al Portland, così come la chiusura del Festival con Il flauto magico, che vedrà Enrico Tavernini dirigere il Gruppo Ikaro – La Rete. (S.B.)
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Artisti veri, che non rinnegano la loro condizione
di Andrea Brunello* e Mauro Tommasini*

Foto di scena di Andrea Brunello, uno dei due direttori artistici di «Quinto Teatro», insieme a Mauro TommasiniSe è vero che l’artista è colui che è capace di trasformare la realtà facendola diventare sogno, allora non ci sono dubbi che essere artista è una condizione veramente accessibile a tutti: la persona disabile ha i mezzi per superare i limiti della nostra convenzionalità e per diventare artista.
Su questa convinzione si fonda la prima edizione del Festival Quinto Teatro. L’equilibrio, la soglia tra arte, teatro e disabilità saranno esplorate attraverso spettacoli, seminari, laboratori e incontri.
Gli spettacoli rappresentano alcuni fra gli esperimenti più interessanti nel panorama nazionale di coinvolgimento artistico e professionale di persone disabili. I registi e le compagnie lavorano su circuiti teatrali professionali e presentano spettacoli che hanno la stessa dignità di quelli che troviamo nei cartelloni dei più celebrati teatri tradizionali. Con un’unica variante: gli attori superano veramente le barriere convenzionali, trasformandosi in artisti, senza però rinnegare la loro condizione personale.

*Direttori artistici di Quinto Teatro.
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Il teatro abolisce la distanza tra noi e ciò che è lontano
di Antonio Viganò**

In teatro c’è una storia recente, che ha però radici lontane, che vede gruppi teatrali, registi, drammaturghi e attori che si confrontano con quella che definiamo “arte del disagio”; carcerati, persone con disabilità, tossicodipendenti, nomadi, anziani o adolescenti.
In questo processo nasce una nuova figura di attore, un “attore sociale” che utilizza l’arte del teatro per darsi una voce, raccontare il proprio dramma, che vede in questa “arte” (perché di arte dobbiamo parlare e non di buoni sentimenti) la possibilità di ricostruirsi una sua identità, di rivendicarla, di una comunicazione sociale dalla quale è stato escluso. Nasce così un “teatro degli esseri” che si differenzia dal “teatro della rappresentazione” perché il contenuto della loro opera sono loro stessi, sono contenuto e contenitore, con il dramma sociale di cui sono portatori.
Questi artisti “diversi” non intervengono solo a “mettere in forma” la comunicazione, ma costituiscono natura della comunicazione stessa, sostanziandone possibilità e verità. Non c’è contenuto e contenitore perché il più delle volte l’organicità delle loro presenze – che siano attori disabili, detenuti o altro – è tale che fonde corpo e mente, intenzione e azione, risorse tecniche e contenuti personali. Una rappresentazione di «Come farfalle nella pancia», spettacolo diretto da Antonio Viganò, che è in programma anche nell'ambito di «Quinto Teatro»Lottano contro tutte le esclusioni, non solo per le proprie, perché sono capaci di portarci un altro sguardo, un’altra visione del mondo e ci insegnano che ci sono modi di vivere e di percepire la realtà diversi, altri.
Allora il teatro si avvicina a questo mondo non con intenti terapeutici, pedagogici, ma per coglierne il mistero che appartiene all’inesplicabilità dell’arte, mentre la terapia è costretta a fermarsi su questa soglia.
Il teatro, in questo incontro, cerca di rinnovare il proprio senso, operando sempre più spesso nelle maglie e nelle fratture di una pratica di routine, che sembra sempre di più ingessata. Ma anche qui è necessario un distinguo; non c’è del buon teatro solo perché gli interpreti sono degli “esclusi”, con il “buonismo” non si fanno buoni spettacoli, ma è un buon teatro quando diventa autenticità artistica, poesia, emozione e noi spettatori siamo completamente presi dal loro racconto, dalla loro trasfigurazione, che non ci interessa più la loro “condizione sociale”, ma il racconto, la comunicazione, di cui sono portatori.
Per questo il teatro, a differenza di altre pratiche terapeutiche o didattiche, lavora per moltiplicare le differenze. Lavora non per renderci tutti uguali, ma per esaltare tutte le differenze, tutte le diversità. Il teatro come il luogo dove “si rende visibile l’invisibile”, come “luogo della visione” nella globalità delle sue eccezioni: “visione” di ciò che si vede, ma anche profezia (quello che potrebbe essere) e memoria (personale e collettiva).
Il teatro ha la sua ragione se è capace di “rivelare” l’oscuro, il rimosso, o semplicemente svela quello che già è sotto i tuoi occhi, ma che, comunemente, non si vede. Peter Brook scrive sul teatro: «Ci dà la distanza da quello che normalmente ci sta intorno e abolisce la distanza tra noi e ciò che di solito è lontano».

*Regista e autore teatrale.

Per ulteriori informazioni:
Ufficio Stampa Compagnia Arditodesio (ex Teatro di Bambs)
c/o Teatri Possibili Trento, Corso 3 Novembre, 72, 38100 Trento
tel. 0461 924470 – 348 3985085,
festival@quintoteatro.it.
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