All’inizio di dicembre l’ONU ha aperto una nuova fase di ratifica della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, ma il Vaticano ha scelto di non sottoscriverla [sulla questione si legga anche, nel nostro sito, il recente testo Ancora no dal Vaticano alla Convenzione, disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Non c’è nulla di nuovo nella decisione della Chiesa romana che, dopo aver contribuito attivamente alla stesura di questo importante documento, già nel 2006 aveva espresso le sue perplessità e alcuni mesi fa aveva annunciato la volontà di non firmarlo. Le ragioni della posizione vaticana sono raccolte in due articoli della Convenzione, il 23 e il 25, che – parlando di salute e famiglia – toccano la sfera della sessualità e della riproduzione.
Il primo stabilisce, fra l’altro, «il diritto delle persone con disabilità di decidere liberamente e responsabilmente» circa il numero e il momento in cui avere figli e il diritto a un’educazione appropriata «in materia di procreazione e pianificazione familiare» e ad accedere agli strumenti necessari per poter esercitare questi stessi diritti.
Il secondo, nell’affermare l’obbligo per gli Stati firmatari di assicurare alle persone disabili l’accesso a tutte le cure per la salute disponibili per gli altri cittadini, cita anche «la salute sessuale e riproduttiva».
Tanto basta al Vaticano per affermare che con questa formulazione la Convenzione rischia di trasformarsi in una sorta di legittimazione dell’aborto inaccettabile per la Chiesa. «La Santa Sede si oppone – ha spiegato l’osservatore permanente presso l’ONU, monsignor Celestino Migliore – perché in molti Paesi i servizi per la salute riproduttiva comprendono l’aborto, negando dunque il diritto alla vita di ogni essere umano». Di qui la scelta di non sottoscrivere un documento pure condiviso in larghissima parte.
Il fatto è – ha argomentato il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari – che la Santa Sede è sia uno Stato, sia il «governo centrale di una chiesa universale». E in questa seconda veste la firma del Vaticano equivarrebbe a una sorta di sostegno morale a tutti i contenuti di un trattato, anche quelli considerati inaccettabili dalla Chiesa Cattolica.
Si tratta di una distinzione forse comprensibile in punta di dottrina, meno se si considera l’effetto simbolico di decisioni di questo genere. Da parte vaticana ha pesato il timore che la firma di questo documento avrebbe potuto essere strumentalmente impugnata come una sorta di avallo a politiche di controllo delle nascite anche per via abortiva (che per altro nel testo non sono citate). Non si è tenuto conto, invece, del fatto che il rifiuto di ratifica da parte dello Stato della Chiesa offrirà il destro anche ad altri per evitare o dilazionare nel tempo la traduzione in norme e comportamenti dei principi sanciti dalla Convenzione.
Emerge anche in questo caso la conferma di una linea di comportamento che sempre più caratterizza le gerarchie vaticane le quali, tra la salvaguardia dei princìpi e dei dogmi e gli effetti concreti che questi producono sullo spirito e sulla carne delle persone, in questi ultimi anni privilegiano quasi sempre il primo dei due fattori. Uno squilibrio che nella sua astrazione contraddice, per altro, l’azione quotidiana di molti vescovi e sacerdoti e le aperture di segno diverso che la Chiesa aveva mostrato solo pochi decenni fa.
Del resto, a voler cercare punti di possibile attrito tra la dottrina cattolica e la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ce n’è almeno un altro che andrebbe preso in considerazione. Si trova sempre nell’articolo 23, nel comma che precede quello “incriminato” sulla procreazione e stabilisce che gli Stati devono riconoscere alle persone con disabilità «in età per contrarre matrimonio il diritto di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti». Un diritto che attualmente la Chiesa Cattolica, nella sua sfera di intervento, non riconosce affatto.
Lo ha dimostrato senza possibilità di equivoci il vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, che lo scorso giugno ha negato la celebrazione del matrimonio in chiesa a un ragazzo di 26 anni divenuto paraplegico pochi mesi prima a seguito di un incidente stradale [il nostro sito si è occupato di tale vicenda con i testi disponibili cliccando qui e qui, N.d.R.].
La scelta del vescovo è apparsa ai più incomprensibile, ma in realtà non è altro che l’applicazione puntuale di una precisa disposizione del Codice di Diritto Canonico in vigore. Codice che, affrontando il tema degli “impedimenti dirimenti”, cioè dei motivi che rendono impossibile la celebrazione del matrimonio, inserisce esplicitamente (Canone 1084) il fatto che «l’impotenza copulativa antecedente e perpetua, sia da parte dell’uomo sia da parte della donna, assoluta o relativa, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio». L’impotenza, si badi, non la sterilità che invece, come precisa il terzo comma dello stesso articolo, «né proibisce, né dirime il matrimonio».
Dunque per la Chiesa romana una persona che non può avere figli può sposarsi, una persona che non è in grado di compiere l’atto sessuale che dovrebbe portare alla procreazione non può farlo.
Dietro una norma che ai nostri occhi appare assurda, ci saranno sicuramente molte e gravi argomentazioni dottrinali relative al senso del sacramento matrimoniale. E se qualche autorità religiosa vorrà chiarircele in termini accessibili, la ascolteremo volentieri.
Per l’intanto non possiamo che apprezzare una volta di più il fatto che, anche grazie al senso della laicità dello Stato di tanti cattolici, le leggi del Vaticano non siano le leggi della Repubblica. Altrimenti molti cittadini italiani si vedrebbero negare per ragioni teologiche o di dottrina morale il diritto alla creazione di una famiglia che, anche se le gerarchie romane sembrano ignorarlo, può anche essere composta solo da due persone che si amano, indipendentemente da quello che succede dentro il loro letto.
Anche per questo ci auguriamo che il Disegno di Legge di ratifica della Convenzione – varato lo scorso 28 novembre dal Governo – venga approvato in tempi brevi dal Parlamento, senza cedimenti alle influenze vaticane e senza inutili e colpevoli ritardi.
*Vicepresidente della UILDM di Udine (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
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Per quanto riguarda invece il Protocollo Opzionale alla Convenzione (testo che consentirà al Comitato sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità di ricevere anche ricorsi individuali – di singoli o di gruppi di individui – e di avviare eventuali procedure d’inchiesta), a ratficarlo sono stati finora i seguenti 26 Paesi:
– Ungheria (20 luglio 2007) – Panama (7 agosto 2007) – Croazia (15 agosto 2007) – Sudafrica (30 novembre 2007) – Spagna (3 dicembre 2007) – Namibia (4 dicembre 2007) – El Salvador (14 dicembre 2007) – Messico (17 dicembre 2007) – Perù (30 gennaio 2008) – Guinea (8 febbraio 2008) – San Marino (22 febbraio 2008) – Tunisia (2 aprile 2008) – Ecuador (3 aprile 2008) – Mali (7 aprile 2008) – Slovenia (24 aprile 2008) – Bangladesh (12 maggio 2008) – Arabia Saudita (24 giugno 2008) – Niger (24 giugno 2008) – Cile (29 luglio 2008) – Brasile (1° agosto 2008) – Argentina (2 settembre 2008) – Paraguay (3 settembre 2008) – Uganda (25 settembre 2008) – Austria (26 settembre 2008) – Costarica (1° ottobre 2008) – Svezia (15 dicembre 2008).
Ricordiamo poi che il Governo Italiano ha approvato il 28 novembre scorso il Disegno di Legge di ratifica, che ora dovrà passare dal Parlamento.
Novità, infine, anche dalla Germania, dove il 4 dicembre scorso la prima Camera del Parlamento (Bundestag) ha ratificato la Convenzione, atto che dovrà ora essere confermato anche dal Bundesrat, la Camera delle Regioni tedesche. Si valuta, comunque, che il processo di ratifica da parte della Germania possa concludersi entro la fine del prossimo mese di gennaio.