Eluana, la Convenzione e la discriminazione come regola

di Angelo Fasani*
Nel dibattito generato dalla condizione in cui versa Eluana Englaro è stata frequentemente tirata in ballo anche la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Ma c'entrano davvero, con Eluana, le persone con disabilità? Queste ultime, infatti, sono sì preoccupate e amareggiate, ma per lo più nei confronti di uno Stato che nella maggior parte dei casi le abbandona a se stesse, all'insegna - in alcuni casi - di un vero e proprio "abbandono eutanasico". Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo una riflessione su tali questioni

Particolare di volto di persona anziana, con espressione pensierosaNel dibattito generato dalla condizione in cui versa Eluana Englaro è stata tirata in ballo la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e in particolare l’ultimo comma dell’articolo 25 [lo ha fatto recentemente anche il ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, con l’atto di indirizzo rivolto alle Regioni, di cui abbiamo riferito con il testo disponibile cliccando qui, N.d.R.]. Vediamo allora innanzi tutto che cosa dice la Convenzione: «Gli Stati Parti devono: […] f) prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitario o di cibo e liquidi in ragione della disabilità».
Bene. Qualcuno ha forse voluto discriminare Eluana Englaro in ragione della disabilità? La questione è forse che le vengono negate cure perché non ha gli stessi diritti e la dignità di ogni altro cittadino?

Il padre di Eluana, che non può non considerare quanto a suo tempo espresso dalla figlia, è il primo a difenderne la dignità. Si può non essere d’accordo con la scelta di sospendere un trattamento di rianimazione. Si possono avere diverse opinioni in tema di “testamento biologico”. Si può anche non avere un’opinione, ma solo dubbi: il giornalista Mario Deaglio ha rivendicato ad esempio il suo diritto a non avere un’opinione in merito al caso Englaro (RAI Radio3, Prima pagina, 17 novembre 2008), tra tanti che invece si mostrano certi della verità per la quale tifano. E tirano in ballo la Convenzione ONU, in articoli intitolati I disabili preoccupati alzano la voce contro l’abbandono eutanasico [lo ha fatto, ad esempio, in prima pagina, il quotidiano «Il Foglio» di domenica 16 novembre 2008, N.d.R.].

Ma che c’entrano i disabili con Eluana? I disabili si stanno sì preoccupando: sono preoccupati e amareggiati di fronte a uno Stato che nella maggior parte dei casi li abbandona a se stessi, e qualche volta si tratta proprio di un abbandono eutanasico quando, per la disperazione, si arriva a decisioni drammatiche che la cronaca registra regolarmente e lo Stato regolarmente ignora.
Va inoltre denunciato, ancora una volta, il fatto che le persone con grave disabiltà e problemi di comunicazione subiscono in moltissimi casi il rifiuto discriminatorio di assistenza medica negli ospedali, poiché realtà come il DAMA [l’acronimo sta per Disabled Advanced Medical Assistance e si tratta di un’iniziativa promossa dall’Ospedale San Paolo di Milano, in collaborazione con la LEDHA – Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, vale a dire un’unità operativa in grado di offrire una risposta rapida, diagnostica e di orientamento terapeutico alle persone con deficit comunicativo. Ce ne siamo occupati ad esempio nel testo disponibile cliccando qui, N.d.R.] all’Ospedale San Paolo di Milano e pochissime altre esperienze analoghe che si stanno faticosamente diffondendo sul territorio nazionale, sono eccezioni che confermano la regola, la regola della discriminazione.
Forse i disabili, invece, non si stanno preoccupando abbastanza dell’uso eugenetico della diagnosi prenatale: quando cioè tale diagnosi è funzionale all’aborto selettivo (cfr. su «Oltre» 1/2007, L’ideologia del gene).

Per concludere. «Concordo sull’indisponibilità della vita, ma reputo che vada rispettata la libertà di chi rifiuta per sé un trattamento che lo mantiene in una condizione di vita che egli reputa non-vita. La vita si dice in tanti modi. Il principio primo non è quello della vita fisica da protrarre il più a lungo, ma è quello della dignità della vita e questa si compie nella libertà personale». Così il teologo Vito Mancuso in un’intervista al «Corriere della Sera». Ancora una volta si può essere d’accordo o meno. L’importante è confrontare le opinioni cercando di essere liberi da pregiudizi ideologici e senza ricorrere ad espedienti che in fondo denotano solo il desiderio di difendere un partito preso.

*Presidente dell’ANFFAS di Milano (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e /o Relazionale) e vicepresidente della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità). Il presente testo è già stato pubblicato (con il titolo La dignità di Eluana) come editoriale di «Oltre», trimestrale dell’ANFFAS di Milano e qui ripreso per gentile concessione.

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