Battiamoci per una vita vera, in tutta la sua dignità

di Cinzia Rossetti
Una vita in cui, ad esempio, il mondo del lavoro non si limiti a vedere in una persona con disabilità soltanto il limite fisico, come accade, da troppi anni, a una nostra lettrice - che qui racconta la sua storia - nonostante siano già stati in tanti a riconoscerne la competenza e le capacità professionali. E la sua storia è purtroppo simile a quella di tante altre persone con disabilità

Particolare di volto di donna pensierosaScrivo per far conoscere la situazione che sto vivendo come persona e donna con una disabilità fisica e la realtà del mondo lavorativo e culturale nel riconoscere una persona “diversa” nella nostra società.
Acquisita nel 2001 la laurea in Scienze dell’Educazione all’Università Cattolica di Brescia, come i miei compagni di corso, al termine degli studi, ho iniziato a inoltrare domande di lavoro nelle varie cooperative sociali alle quali nessuno ha risposto.
Mi sono resa conto allora che – pur avendo svolto un percorso formativo come tutti – con la presenza di una disabilità fisica dovevo continuare a fare esperienze in ambito educativo e sociale e trovare un servizio per farmi conoscere.
Infatti, dopo qualche mese dalla laurea, ho cominciato a svolgere un tirocinio professionale presso un servizio che individua e coordina specifiche azioni rivolte alle persone con disabilità dalla nascita in poi.
Per la conoscenza e l’integrazione delle persone con disabilità – a partire dalle loro potenzialità nella scuola e nella società – gli operatori psicosociali del citato servizio promuovono da un lato progetti personalizzati, dall’altro reti di interventi sanitari/sociali e servizi differenziati, attraverso la condivisione di iniziative che vanno dalla diagnosi e dalla valutazione funzionale al lavoro con altri soggetti istituzionali e non.
Contemporaneamente mi sono iscritta a un corso condotto dagli operatori del Centro Documentazione Handicap (CDH) di Bologna e finanziato dal Piano di Zona della Bassa Bresciana, al fine di diventare animatore/educatore del Progetto Calamaio nelle scuole di ogni ordine e grado [tra gli altri articoli dedicati dal nostro sito al Progetto Calamaio, segnaliamo quelli disponibili cliccando qui, qui,  e qui, N.d.R.].
La specificità di quest’ultimo è di essere stato ideato e realizzato da educatori e animatori con disabilità e il suo scopo è quello di suggerire percorsi di integrazione che consentano una comprensione della propria e altrui diversità e favoriscano un atteggiamento di apertura e disponibilità nei confronti degli altri.
Dopo quattro anni, quindi, di formazione teorica ed esperienziale nelle scuole, insieme ai partecipanti ho fondato a Ghedi (Brescia) l’Associazione Zanzebia che propone appunto il Calamaio nelle scuole e nei vari contesti educativi, e sono stata assunta con contratto a progetto in qualità di animatrice/educatrice.
Questa esperienza lavorativa è stata ed è molto efficace perché svolgo appieno la mia professionalità, ottenendo buoni riconoscimenti dai colleghi, dai bambini, dai ragazzi, dagli insegnanti e dai genitori a cui dedico la mia attività.
Purtroppo non ho potuto fermarmi a questo perché non mi garantiva quella sicurezza economica di cui necessiterei per mantenermi e andare a vivere da sola, non volendo dipendere per tutta la vita dai miei familiari. E sono infatti ben otto anni che lotto come persona e come donna per essere indipendente dalla mia famiglia: ora mi sono resa autonoma per diverse ore giornaliere, avvalendomi di due assistenti personali.
Ho continuato anche a partecipare ad altri corsi, come un master biennale di studi, organizzato dall’ANFFAS di Brescia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) di Brescia, in collaborazione con l’Università di Parma, sul tema Ritardo mentale e disturbi generalizzati dello sviluppo – Aspetti clinici, riabilitativi ed educativi e ho fatto altre esperienze formative e di volontariato per perfezionare le mie conoscenze e competenze nel mondo del sociale.

«Il mondo del lavoro è in grado solo di vedere il mio limite fisico e non va oltre»... Due anni e mezzo fa, dunque, mi sono accorta che gli anni passavano e che le opportunità di trovare un lavoro sicuro diminuivano. Ho riprogettato quindi il percorso da intraprendere per avere accesso a questo mondo, dapprima frequentando un master per la creazione e la gestione di impresa, dal titolo Il tempo libero si fa impresa, rivolto a giovani disoccupati, al fine di creare e realizzare l’idea d’impresa prescelta; successivamente ho svolto anche un tirocinio lavorativo con la sperimentazione del sistema a puntatore oculare MyTobii.
In conclusione, però, nessuna delle due esperienze mi ha portato a un lavoro. Nella prima, infatti, al termine della parte teorica dovevamo avere o trovare fondi per realizzare l’idea d’impresa che prevedeva un’agenzia di consulenza per l’accessibilità di spazi esterni e interni – naturali e non – partendo dalla realizzazione di un parco in cui tutti i bambini con le loro diversità potessero giocare. Non ho fondi miei e non ho trovato né soci né finanziamenti. Probabilmente, anche, l’impresa non era facile né da costituire né da mantenere.
La seconda esperienza, invece, non prevedeva alcuna assunzione lavorativa, ma solo la sperimentazione del citato puntatore oculare; è stata utile perché sono diventata autonoma e adeguata nello svolgimento delle mansioni richieste, naturalmente non raggiungendo l’autonomia e la velocità di una persona cosiddetta “normale”. Alla fine, comunque, la mia produttività è stata valutata come insufficiente per un’assunzione.

Ora mi ritrovo a dover ricominciare la ricerca e nuovi percorsi, che certamente spero mi arricchiranno. Il mio futuro, però, un futuro indipendente, voglio dire, rimane un grande punto di domanda.
Ritengo di essere una donna che, pur avendo una disabilità fisica, ha acquisito in questi anni molte conoscenze e competenze che tuttavia il mondo del lavoro non mi dà la possibilità di mettere a disposizione, ricoprendo il mio ruolo professionale e assicurandomi una posizione nella società.
In realtà credo che il mondo del lavoro sia in grado solo di vedere il mio limite fisico senza andare oltre: ha schemi mentali rigidi, rigide necessità e poca, pochissima creatività. Scopro così che anche le menti “normali” hanno parecchi limiti!

Ho voluto raccontare la mia storia proprio dopo avere constatato che ogni strada intrapresa per entrare in questo mondo mi è stata preclusa, disconoscendomi come persona e come donna professionalmente competente che desidera lavorare per conseguire la propria indipendenza.
Chissà, forse qualche lettore imprenditore potrà essere stimolato dalla mia provocazione sulla creatività… Se infatti è vero che in vari contesti ho ricevuto molte gratificazioni come volontaria, è altrettanto vero che solo di questo non posso vivere, ci vuole altro.
E a chi si batte tanto per la vita vorrei ricordare: occupiamoci con altrettanta foga della vita nel rispetto totale della sua dignità.

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