Liberare le persone con disabilità mentali dalle catene: catene non metaforiche, ma veri ceppi di ferro e ruggine, che in Somalia hanno spesso rappresentato l’unico strumento a disposizione delle (poche) strutture sanitarie e delle famiglie per fronteggiare il problema delle malattie mentali.
Si chiama Chain free hospitals and homes il progetto presentato in questi giorni dalla Somalia alla seconda edizione del meeting internazionale Rafforzare i sistemi di salute mentale nei Paesi a basso e medio reddito, in corso di svolgimento a Rimini fino a venerdì 24 aprile.
Organizzato dall’Associazione Cittadinanza insieme all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e con il sostegno della Regione Emilia-Romagna, l’evento [sul quale si leggano altri testi in questo sito, cliccando qui e qui, N.d.R.] ha portato nella città romagnola le autorità politiche e sanitarie di numerosi Paesi in via di sviluppo (Etiopia, Filippine, Georgia, Giordania, la regione indiana di Assam, Iraq, Kirghizistan, Somalia, Tanzania, Uzbekistan e Vietnam). Assenti, invece, i delegati dell’Afghanistan – dei quali era pure prevista la presenza – bloccati da problemi per il rilascio dei visti di espatrio.
A commentare i progetti avviati per diffondere i servizi di cura mentale e a proporre collaborazioni per realizzarli, gli esperti di agenzie e organizzazioni non governative internazionali e tutto il quartier generale dei Dipartimenti di Salute Mentale e Malattie Croniche dell’OMS, a partire dal direttore Benedetto Saraceno.
Somalia: l’unico trattamento era quello “della iena”!
I diciannove anni di conflitto contro il regime del generale Siad Barre, il fallimento della missione ONU e le violenze commesse dai cosiddetti “signori della guerra” hanno portato letteralmente al collasso le strutture politiche, amministrative e sanitarie della Somalia, rendendola uno dei Paesi più poveri del Terzo Mondo.
Dei nove milioni di abitanti, si stima che oggi quasi un terzo (2,6 milioni) abbia urgente bisogno di assistenza umanitaria. Particolarmente grave è stata per anni la condizione dei disabili mentali: dopo la distruzione nel 1991 dell’ospedale ex Forlanini nella capitale Mogadiscio, fino al 2005 sono venuti totalmente a mancare i servizi di salute mentale. Gran parte dei malati venivano incatenati nelle loro case, sottoposti a riti magici o cacciati dalle famiglie. Nella convinzione che la malattia fosse opera del demonio, l’unico “trattamento” era quello definito “della iena”: per tre giorni il malato veniva rinchiuso in una cella con una iena, nella speranza che l’animale ne scacciasse lo spirito malvagio…
Solo dopo l’intervento dell’OMS, nel 2004, a Mogadiscio sono stati aperti due ospedali psichiatrici e lentamente hanno iniziato a diffondersi sistemi di cura territoriali. Il progetto al centro del dibattito di Rimini prevede di sviluppare i servizi comunitari di salute mentale nelle città e nelle zone rurali del Paese, formando personale medico e operatori sociali, informando malati e famiglie sui loro diritti e sensibilizzando l’opinione pubblica attraverso incontri nelle scuole e programmi radiotelevisivi. Di poco superiori ai 320.000 dollari le risorse necessarie per realizzarlo: la speranza è di reperirle attraverso i canali della cooperazione internazionale.
Vietnam: un progetto pilota per gli under 18
Rendere le cure per la salute mentale di bambini e adolescenti più accessibili e diffuse sul territorio, togliere di mezzo stigma e pregiudizio e formare una classe di professionisti per l’assistenza al disagio psichico.
Sono questi invece gli obiettivi del progetto pilota sul benessere psichico dei giovani presentato dalle autorità vietnamite, che potrà dare vita a un modello per le politiche nazionali sulla salute mentale per l’infanzia e l’adolescenza. «Un’iniziativa davvero importante – ha commentato Lucia Gonzo, direttore scientifico di Cittadinanza ONLUS – se si considera che nei Paesi a basso e medio reddito da un terzo alla metà della popolazione è composta da minori di 18 anni».
E in effetti in Vietnam, più di un quarto degli abitanti (il 26,45%) ha meno di 14 anni. Secondo alcune ricerche, il 32,6% degli adolescenti tra i 14 e i 25 anni mostra sintomi depressivi, mentre il 33,9% delle persone con epilessia ha un’età compresa tra 10 e 20 anni.
Tra le forme di disagio più diffuse tra i giovani, vi sono i disturbi del comportamento – come il deficit d’attenzione e l’iperattività – quelli dell’umore e l’ansia. In totale, i vietnamiti bisognosi di cure per problemi psichici sono circa 10 milioni.
Dal 1999 il Paese ha messo a punto un programma per l’assistenza sanitaria di base. Fino a oggi, le politiche per la tutela e l’assistenza ai minori si sono invece concentrate sul Piano d’Azione per la protezione dei soggetti in difficoltà, volto a prevenire abusi, sfruttamento, uso di droghe, mortalità e malnutrizione infantile. I servizi per la salute mentale dei più giovani restano però ancora limitati: i trattamenti sono riservati ai casi più gravi (pazienti con epilessia e persone con ritardo mentale) e le cure specialistiche sono disponibili esclusivamente in alcuni centri urbani, mentre nelle aree rurali l’assistenza è fornita da personale sanitario e paraprofessionale. (Ufficio Stampa Agenda)
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