Ho letto in Superando che il 29 agosto scorso si è svolta una serata all’insegna del divertimento e della riflessione in provincia di Lecce, esattamente nella località di Martano [il testo a cui si fa riferimento si intitola La normalità è sopravvalutata ed è disponibile cliccando qui, N.d.R.]. Gli organizzatori hanno dichiarato tra l’altro che la discussione aveva, come scopo principale, quello di valutare le condizioni delle persone con disabilità per permettere loro di uscire dall’isolamento, superando la vecchia concezione espressa dall’equivalenza “persona disabile = persona malata”. Gli organizzatori stessi, infatti, affermavano giustamente che anche un disabile ha diritto a divertirsi.
Condivido appieno i concetti espressi nell’articolo e a più riprese ricordati anche in altre sedi. La relazione di equivalenza sopra riportata, del resto, è sbagliata anche quando viene espressa al contrario: una persona non disabile, cioè, non necessariamente è anche sana. Vorrei però proporre anche una mia modesta e personale riflessione. Credo infatti che porre la questione solo in quei termini possa comportare altri problemi, se non creare nuovi stereotipi. Se è giusto infatti affermare che un disabile non necessariamente è malato, non si dovrebbe però dimenticare di allargare il dibattito, per includere nelle argomentazioni anche coloro che vivono contemporaneamente disabilità e malattia. Questa duplice condizione di disagio, infatti, comporta una maggiore fragilità della persona, ma non certo la perdita del diritto a vivere al meglio la propria esistenza e a partecipare alla vita sociale in tutte le sue manifestazioni, comprese quelle ludico-ricreative.
In altre parole – anche se occorre tener conto delle condizioni individuali – non significa che questo diritto debba essere negato a qualcuno, nemmeno se è “disabile + malato”. Ci sono molti bambini, ragazzi, oltre che uomini e donne di tutte le età, che soffrono di patologie croniche o cronico-degenerative, più o meno invalidanti. Ricordo – a solo titolo di esempio – le numerose tipologie di malattie genetiche o rare. Credo pertanto che se non si tiene conto di entrambe queste realtà, si rischia di passare “dalla padella alla brace” e cioè di abbattere uno stereotipo, permettendo che un altro metta radici. Chi è malato ma anche disabile (indipendentemente da quale di queste due condizioni sia “arrivata” per prima), ha voglia di divertirsi, giocare, scherzare come chiunque altro.
Ritengo insomma fermamente che chiunque si prefigga di “abbattere muri e distruggere ghetti” debba ampliare la propria prospettiva di valutazione, in modo da considerare sempre sia le persone con disabilità sane che quelle affette da patologie più o meno serie e non permettere che si creino i presupposti per altri problemi o per nuove, assurde forme di discriminazione.
Riprendendo in tal senso le argomentazioni degli organizzatori della manifestazione di Martano, penso che per impedire che una qualsiasi iniziativa potenzialmente positiva diventi controproducente e risulti addirittura in grado di rafforzare quelle stesse barriere che si volevano abbattere, si debba non solo superare la classica visione che considera ogni disabile come una persona affetta da qualche patologia, ma anche ricordare che chiunque – anche chi è colpito da una malattia e contemporaneamente da una qualche forma di disabilità – ha lo stesso diritto e la medesima esigenza di essere considerato cittadino a tutti gli effetti.