Innanzitutto vale la pena riprendere quanto aveva scritto qualche giorno fa da queste pagine il nostro direttore responsabile Franco Bomprezzi (il testo integrale di quell’intervento è disponibile cliccando qui): «Temo che anche questa volta, come nelle Conferenze precedenti, saranno le edizioni locali dei quotidiani a raccontare la Conferenza, con l’aggiunta delle agenzie di stampa, di qualche giornalista “di nicchia”, e poco più». Una profezia purtroppo sin troppo facile, dal momento che è proprio quello che è successo, con risonanza forse addirittura minore del previsto, anche a causa della coincidenza con alcuni drammatici eventi di cronaca.
Bomprezzi aveva anche scritto: «È previsto, in conclusione, l’intervento del ministro Sacconi, ma dubito che sarà attorniato dalle telecamere delle reti pubbliche e private». Niente di tutto ciò. Infatti, contrariamente a quanto deciso nelle ultime settimane, dopo le precedenti proteste di tante associazioni, il ministro Sacconi è intervenuto solamente con un videomessaggio registrato, accolto dalle bordate di fischi dei presenti, a dimostrare che tale scelta non è stata certo gradita.
In sede di bilancio generale dell’evento, riferiamo poi quanto scrive Stefano Caredda di SuperAbile, che parla di «indicazioni poco univoche: da un lato c’è l’impegno del governo a intraprendere un percorso di massima condivisione con le associazioni delle persone disabili e dei loro familiari, dall’altro la sensazione che i percorsi da attuare si scontreranno con la cronica assenza di risorse, sulle quali l’atteggiamento di Sacconi e Roccella [Eugenia Roccella, sottosegretario al Lavoro, alla Salute e alle Politiche Sociali, N.d.R.] lascia poche speranze per il futuro. Il tutto in un clima in cui regna il timore – che per molti è già un dato di fatto – del diffuso disinteresse per le tematiche della disabilità».
Insomma, continua Caredda, «le belle parole e le buone intenzioni non mancano, ma servono anche le risorse per poterle attuare. E da questo punto di vista, per il governo, sono note dolenti. Né Roccella il primo giorno, né Sacconi nel suo messaggio preregistrato, hanno potuto fornire la benché minima rassicurazione sulla tenuta della consistenza del Fondo delle Politiche Sociali, mentre appare scontato che il Fondo per la Non Autosufficienza, istituito nel 2007 con una dotazione di 400 milioni di euro per tre anni (2007, 2008 e 2009) non verrà rifinanziato. Il ministro, nel suo intervento, ha invitato a non guardare tutto questo (“ha un’importanza relativa”), ma al modo in cui viene gestito il Fondo Sanitario Nazionale, laddove occorre razionalizzare e recuperare in efficienza, con eccellenze qualificate negli ospedali per il trattamento delle fasi acute e presa in carico della persona a livello territoriali con servizi decentrati. Parole che convincono le associazioni solo fino ad un certo punto: la crisi c’è per tutti, dicono, ma “il Fondo per le Politiche Sociali non è una virgola” e le risorse per la non autosufficienza devono comunque essere mantenute. Costi quel che costi. Altrimenti tutto il resto “è filosofia”, “pura utopia”. A questo governo le associazioni chiedono fatti concreti; loro sanno che “mostrarsi ostili” non paga, ma avvertono che se le promesse non saranno mantenute “il mondo della disabilità ha la forza organizzativa di esprimersi in modo diverso dal dialogo cordiale che abbiamo avuto finora”».
Fin qui la cronaca dei fatti. Del prossimo avvio dell’Osservatorio Nazionale che si occuperà dell’applicazione della Convenzione ONU, abbiamo già riferito nei giorni scorsi (se ne legga cliccando qui). In attesa dunque di dare spazio ad altre “impressioni di viaggio”, ascoltiamo quelle di Giorgio Genta della Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), «genitore di una qualunque “famiglia con disabilità” che vive “alla periferia dell’impero”», come egli stesso si definisce, che alcuni aspetti positivi nell’evento è riuscito a trovarli.
Ne è valsa la pena di partecipare alla Terza Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità a Torino? Parlo naturalmente per me, genitore di una qualunque “famiglia con disabilità” che vive “alla periferia dell’impero”, in un ameno paesello ligure così ben servito da Trenitalia che per essere a Torino nella tardissima mattinata, bisogna farsi 10 chilometri in motorino (meno male che non pioveva!), prendere un locale fino a Savona, cambiare treno e finalmente arrivare a Torino dopo avere avuto tutto il tempo di rimuginare su quello che si è scritto e che si vuol dire, sulle “piccole astuzie” per dribblare gli inviti a concludere rapidamente l’intervento, pur riuscendo a dar forza alla voce delle nostre famiglie che hanno mille esigenze e poche orecchie che le ascoltano.
L’impressione che si riceve raggiungendo la Conferenza mentre è in corso la sessione plenaria è grandiosa. Un migliaio di persone su ruote o bastoni o tripodi vari, con diavolerie tecnologiche per vedere, sentire, parlare. Alcuni (me compreso) con sottili forme di “disabilità dell’anima”. Un grande effetto scenico, un grande sforzo organizzativo. A voler essere proprio critici, due soli punti deboli: una pessima acustica (inevitabile in quegli spazi immensi) che poi disturberà parecchio nei gruppi di lavoro e troppo pochi i servizi per le persone presenti.
La cosa più bella (discorsi a parte) è l’effetto umano: visto a distanza da carissimi amici ipovedenti (ma come fanno!) prima che io li veda e riconosca (di solito ci metto un bel po’!), mi faccio schiacciare i piedi volentieri dalla carrozzina di Pietro, parlo nell’orecchio sbagliato (quello che non sente!) della persona sbagliata (diventiamo subito amici), critico duramente la mancanza dei controlli sulla percezione del gradimento dei servizi, con una gentile persona che poi scopro (sul palco) essere un dirigente di una Regione.
E poi i “nostri” della Sardegna e del Veneto, che hanno rispettivamente solcato i mari (in aereo) o condiviso con me la diabolica rapidità delle ferrovie italiane: hanno lasciato a casa i figli (qualcuno in ospedale), telefonando in media ogni ora per accertarsi che tutto vada bene. (Voi “umani” che vivete fuori del nostro mondo con disabilità gravissima, forse non immaginate, o forse sì, quanto sia complessa l’organizzazione necessaria per potersi allontanare da casa per una (mezza?) giornata, quando il “che tutto vada bene” spesso significa – detto brutalmente – “che la vita continua”).
In conclusione, ne è valsa la pena (oltre che per gli amici rivisti):
– per non delegare a nessuno “fuori di noi” la risoluzione dei nostri problemi;
– per restare nel “mondo” (in tutti i sensi), confrontarsi, condividere, alzare educatamente un po’ la voce, riscoprire quali miracoli laici riusciamo a volte a fare con le nostre disabili forze;
– perché qualche volta otteniamo persino dei risultati e speriamo che Torino sia una di queste.
Giorgio Genta – Federazione Italiana ABC.
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