Il processo di inclusione delle persone con disabilità porta alla nascita di nuove professioni specifiche: sulla base di questa considerazione, nell’estate scorsa, Superando aveva avviato un approfondimento per conoscere singolarmente ciascuna di tali specifiche professioni. Abbiamo dunque incontrato la figura del consulente alla pari – una metodologia di counceling mirato, maturata dalle esperienze di mutuo aiuto – attraverso una delle sue pioniere per l’Italia, Rita Barbuto, direttore di DPI Europe (Disabled Peoples’International). Poi, in un dialogo con la sua assistente personale, Giuseppina Mascaro, abbiamo avuto l’occasione di approfondire anche quest’altra essenziale figura professionale legata al processo di inclusione e in particolare derivata dai principi della Vita Indipendente. Ancora, avevamo intervistato un docente universitario di Tecnologie per l’Autonomia, Andrea Micangeli.
Questa volta ci occupiamo di analizzare la funzione degli Informahandicap e di incontrare le professionalità che si producono in relazione ad essi. Per farlo, chiediamo il contributo di Andrea Pancaldi, che da molti anni si occupa di informazione e comunicazione nel settore della disabilità e che dal 2001 è il coordinatore del CRH (Centro Risorse Handicap), lo sportello Informahandicap del Comune di Bologna.
Iniziamo con una domanda personale. Gli chiediamo cioè di raccontarci il suo percorso di formazione e professionale, per capire come sia arrivato a ricoprire oggi un ruolo di responsabilità.
«Sono laureato in Fisioterapia e sono un giornalista pubblicista: mi muovo tra il mondo socio-sanitario e quello dell’informazione. Ho lavorato per oltre vent’anni al CDH (Centro Documentazione Handicap) di Bologna, dove nel 2001 abbiamo progettato e poi gestito il CRH, lo Sportello Informahandicap del Comune di Bologna. Nel 2004 ho cessato la mia collaborazione con il CDH, non condividendone più molte delle linee di sviluppo, e da allora lavoro per il Settore Sociale e Salute del Comune di Bologna, come coordinatore del CRH e responsabile della redazione degli sportelli sociali, previsti dalla Legge 328/00, che nel frattempo sono stati aperti nei nove Quartieri di Bologna. Da tanti anni svolgo anche frequenti attività di formazione e consulenza per enti e associazioni sui temi della documentazione e informazione in campo sociale, oltre a scrive per riviste e siti internet».
In cosa consiste il suo ruolo nel CRH?
«Dal 2001 lo coordino e dal 2007 coordino la redazione degli sportelli sociali. Il mio lavoro consiste soprattutto nel tenere le relazioni con i vari soggetti che interagiscono con gli sportelli sociali, come i Settori del Comune, le neonate ASP (Aziende per i Servizi alla Persona), l’Azienda USL, la Provincia e i nove Quartieri (Circoscrizioni). Poi, ancora, con la rete dei servizi sociali, quelli sanitari, i Settori Comunicazione (URP, Ufficio Stampa) e i Servizi Informativi (tecnologie) del Comune. Coordino il Comitato di Redazione, che è la struttura che dà gli indirizzi al lavoro redazionale e, tecnicamente, mi occupo del sito internet, delle newsletter e degli aggiornamenti periodici ai vari sportelli. Da buon esperto di documentazione, mi occupo anche di fornire ai miei interlocutori servizi di aggiornamento sui temi oggetto del nostro lavoro, tramite mailing list e rassegna stampa».
Come valuta lo stato dell’informazione sulla disabilità oggi in Italia?
«Quello della disabilità è stato senz’altro uno dei primi settori a sviluppare al suo interno iniziative di informazione e, aggiungo, di documentazione, a partire dai primi anni Ottanta. Mi pare che da alcuni anni sia però calata la capacità di innovare; ci troviamo davanti a un paradosso che meriterebbe approfondimento, ma che qui potrei riassumere in una fuga nell’azione: progettare e immettere nel mercato a ciclo continuo novità, prodotti, nuove ricette è più importante che non dedicare tempo ed energie all’elaborazione di processi nuovi. Provo a elencare alcuni dei motivi che fanno da sfondo a ciò nell’ambito della disabilità:
– il dipanarsi definitivo del tema del cosiddetto “handicap adulto”, che è sostanzialmente una cultura prodotta nel solco dell’associazionismo e del volontariato e nella quale, proprio per quell'”adulto”, stentano a rientrare e a essere ricomprese le persone con disabilità intellettiva, troppo “bambine” agli occhi di un osservatore superficiale;
– le logiche del sistema dell’informazione e dei media che, soprattutto dopo il 2003, Anno Europeo della Persona con Disabilità, non possono che raccontare di disabili che ce la fanno, che riescono, grazie a loro stessi e all’attenzione di una “società buona”;
– la sovraesposizione della disabilità fisica rispetto a quella intellettiva, legata al fatto che il discorso sull’handicap tende oggi a porre la questione in termini di “diritti civili”, tendendo a escludere chi appare poco in grado di fruire di questi diritti di cittadinanza, per non dire chi ne è legalmente escluso;
– l’assenza nell’informazione di esperienze legate ai servizi pubblici territoriali, sia per motivi ideologico-culturali (malasanità, servizi pubblici inefficienti ecc.) che per intrinseca difficoltà comunicativa dovuta all’organizzazione gerarchica e alla necessità di referenza al mondo politico; ed è ai servizi pubblici che si rivolgono le tante realtà familiari segnate dalla presenza più che altro di limiti e non tanto di possibilità;
– l’adesione di molte strutture informative nate nell’ambito dell’associazionismo a un modello informativo che associa la disabilità a un altro elemento trainante o insolito («Disabile scrive al papa», «Jovanotti saluta il suo fan in carrozzina», «Ragazzi down in barca a vela», «Moliére con attori disabili», «Disabili al Rifugio Duca degli Abruzzi»). Di questo modello potremmo dire, scherzosamente, che è affetto dalla cosiddetta “Sindrome di Lavazza”: “tira su” il disabile, facendolo entrare in una sfera di normalità o di protagonismo, ma “lo manda anche giù”, dichiarando l’effimero di questi momenti, che non sono certo la quotidianità. La televisione ci propina personaggi famosi e contesti di divertimento e l’informazione sulla disabilità a volte si adegua. Si spendono più righe sul fatto che sia giusto o meno che un disabile partecipi al Grande Fratello piuttosto che sui tagli degli insegnanti di appoggio a scuola o sulla loro mancata specializzazione.
Insomma, a mio avviso, erano più interessanti gli anni Ottanta e Novanta, in cui si cercava di fare uscire i temi dal chiuso dei libri e dei convegni per gli addetti ai lavori, di creare una pubblicistica sulla disabilità, un linguaggio più accessibile, di dare spazio a tematiche che non fossero solo la scuola, l’assistenza o la riabilitazione. Anni in cui si aveva una idea, la si approfondiva e poi si cercavano le risorse per sostenerla. Ora accade il contrario: data una linea di finanziamento (bandi vari, progetti europei, Centri di Servizio Volontariato, fondazioni bancarie), ci si chiede cosa si possa presentare, possibilmente riciclando cose già fatte. Anche qui – come in generale in questa età di transizione non solo da un millennio all’altro ma da un modello economico ad un altro, da un sistema politico ad un altro – spesso i mezzi prevalgono sui fini e l’agire organizzativo su quello relazionale. Ma è anche, in parte, una questione generazionale. Chi, giovane obiettore di coscienza a cavallo tra gli Anni Ottanta e Novanta (penso al Gruppo Abele, alla Comunità di Capodarco, al CDH di Bologna, alla UILDM), aveva tempo e spazio per inventare esperienze informative a fianco della fase di sviluppo dei servizi sulla disabilità e ora, a cavallo del Duemila, a trentacinque o quarantacinque anni, se non fa altro di lavoro, non può comunque più tornare indietro. Ha da pensare a mutuo, rata dell’auto, uno straccio di futura pensione…».
Questo tipo di informazione quale cultura promuove?
«È una domanda difficile. Penso che, come per altre dinamiche, anche nell’ambito della disabilità ci troviamo in una fase di transizione, sospesa tra “non più” (la stagione che ha avuto per parola d’ordine “integrazione”) e “non ancora”. Un discorso a tutto tondo – in tempi in cui la sicurezza (e le aree del disagio che evoca) e la crisi (tagli nazionali e locali) la fanno da padrone – credo sia impossibile. Dobbiamo saper navigare a vista e in questa incerta navigazione vedo rispettivamente come utili, ai fini di far sopravvivere un interesse culturale alla disabilità di un certo spessore: la capacità di integrare gli aspetti sociali con quelli sanitari nella definizione della disabilità, perché i secondi sono stati messi troppo in secondo piano; l’attenzione agli aspetti relazionali legati alle vicende di singoli e famiglie; lo sviluppo di una pubblicistica sul tema del lavoro delle persone disabili, grande assente dal panorama della comunicazione; una rappresentazione della questione scolastica dove non prendano sopravvento gli aspetti giudiziari; il ridimensionamento di questioni come barriere, turismo, sport e teatro sociale, che hanno spopolato negli ultimi anni; il tentativo di allargare il panorama delle voci, andando alla ricerca di nuove esperienze, senza aspettare quelle che riescono a “bucare” e che alla fine corrono il rischio di essere sempre le stesse, competenti di certo, ma che non aggiungono molto a quanto già detto e scritto. Insomma, anche il giornalismo della disabilità ha finito col sedersi un po’, utilizzando molto le cose già in rete e sentendo per pigrizia sempre gli stessi esperti e gli stessi disabili “eccellenti”».
A chi si rivolge l’informazione di uno Sportello Informahandicap e quali sono le qualità principali di questa informazione?
«Si rivolge principalmente alle persone con disabilità. Al CRH si è passati dal 43% del 2002, al 65% del 2005 e al 72% del 2008 [si può cliccare qui per accedere al dettaglio dei dati, N.d.R.]. Nella nostra esperienza (mi riferisco al Comune di Bologna e alla Cooperativa Accaparlante, promossa dal Centro Documentazione Handicap Bologna, che gestisce il servizio di sportello) le qualità che mi sembrano decisive sono:
– la capacità di ascolto;
– il fornire, oltre alle specifiche informazioni richieste, un quadro di riferimento, a disposizione nei siti del servizio e nei materiali distribuiti;
– il saper integrare aree (scuola, lavoro, assistenza, trasporti, ausili…) e discipline, grazie a operatori con una buona cultura sociale, sanitaria, legislativa, sociologica e psicologica;
– l’elaborazione e l’utilizzo di un linguaggio che faccia sintesi tra i vari attori della scena della disabilità;
– la rapidità della risposta;
– l’organizzazione di un servizio dove è più l’informazione che raggiunge l’utente che non viceversa, quasi prevenendo le domande attraverso servizi efficienti di informazione e comunicazione (sito, bollettini, newsletter);
– l’attivazione di una rete di interlocutori pubblici e privati».
Quali sono le informazioni maggiormente richieste allo sportello?
«Nel tempo questo indicatore si è stabilizzato. Gli Informahandicap si confermano servizi rivolti, almeno nelle attività di sportello, per lo più alla fascia degli adulti che, lasciata la scuola e l’adolescenza, hanno perso in larga misura la “protezione” dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi e riabilitativi.
Le aree maggiormente gettonate sono quelle dell’autonomia (35%) della mobilità (20%) e delle agevolazioni fiscali connesse (12%) . Discreta richiesta per l’ambito turismo, cultura, spettacolo (6%) e sempre molto gettonati i servizi informativi del CRH (newsletter e bollettino, 13%) e il tema pensioni (10%). Di contro, come si accennava prima, basse le percentuali sui temi tipici dell’età evolutiva come scuola (0,8%) e riabilitazione (1,3%). Proprio questi dati sono stati uno degli elementi che abbiamo più considerato quando abbiamo deciso di trasformare il nostro servizio integrazione negli Sportelli Sociali: infatti, il CRH come sportello chiuderà e gli operatori ruoteranno nei vari Sportelli Sociali come presenza specializzata dei medesimi, anche al fine di trasferire conoscenza agli operatori stessi, dato che i Quartieri a Bologna, storicamente, non si sono mai occupati di disabilità».
Quali sono le persone con disabilità che si rivolgono allo sportello e quali quelle senza disabilità?
«I disabili che si rivolgono allo sportello, direttamente o tramite familiari, hanno generalmente deficit di tipo fisico, con una prevalenza di quelli acquisiti rispetto a quelli congeniti. Tra i familiari predominano le donne (le mamme), mentre tra le persone disabili prevalgono gli uomini. Su determinate tematiche, l’età media si abbassa (tecnologie, sport, servizi informativi del CRH), mentre su altre si alza (barriere). Trasversale alle tipologie di deficit e alle età, invece, sono le necessità di trasporto.
Esclusi disabili e familiari e una quota abbastanza rilevante di contatti non classificati (quelli via e-mail), rimane la parte di utenza degli operatori che si è sempre attestata tra il 12 e il 16%, più presenti quelli dei servizi pubblici (assistenti sociali ed educatori) e una certa quota di quadri od operatori di associazioni. Scarsi i contatti dalle cooperative sociali che, in ogni indicatore riferito alle questioni informative o documentative, restano sistematicamente fanalino di coda».
Il “back office”, il “lavorio interno” di uno Sportello Informahandicap di che cosa si occupa?
«Da noi, le attività di back office si sono rivolte per molti anni in tre direzioni:
– l’aggiornamento della base dati in formato web e cartaceo (guide, opuscoli, schede);
– la collaborazione con altri settori del Comune (Mobilità, Istruzione, Casa), con altri enti territoriali (INPS, Agenzia Entrate, Provincia, ASL) e con la rete associativa che a Bologna conta oltre ottanta sigle. Questo si è riflesso, ad esempio, nella qualità della newsletter che ha fatto girare in otto anni di attività e 108 numeri usciti, oltre 2.400 notizie a 1.400 iscritti. La ricerca di sinergie per alcuni anni è stata indirizzata anche agli altri servizi analoghi italiani, tramite anche il primo Convegno Nazionale degli Informahandicap, svoltosi a Bologna nel 2002, ma la dinamica si è poi fermata;
– la produzione di strumenti informativi “in uscita”. Oltre alla newsletter che permette a circa quattro-cinquecento tra singoli e nuclei familiari di non doversi rivolgere allo sportello, stante il livello informativo che ricevono mensilmente, abbiamo prodotto per sette anni anche un giornalino, «Metropoli», diffuso a oltre 2.400 indirizzi, che permetteva di raggiungere chi non aveva un computer.
Attualmente, il back office degli Sportelli Sociali segue più o meno la stessa filosofia di lavoro e, in tema di aggiornamento della base dati, macina con continuità una cinquantina di riviste, altrettante newsletter e una ventina tra siti e agenzie. Utilissimi anche i rapporti di scambio e collaborazione con una decina di case editrici e i centri documentazione presenti su varie aree a Bologna; insomma, cerchiamo di sfuggire al rischio di “rinchiuderci dentro a internet” che è, forse, uno dei vizi che si possono riscontrare in giro».
Qual è l’apporto culturale di uno sportello informahandicap?
«È una domanda che mi sta a cuore. Tra le quattro funzioni che dovrebbero svolgere gli Sportelli Sociali (informazione; accesso alla presa in carico da parte della rete dei servizi; osservatorio tramite analisi della domanda; promozione sociale) è proprio quest’ultima ad essere sempre dimenticata.
Che, nella nostra esperienza, sia stato un Centro Documentazione a progettare un Informahandicap ovviamente ha inciso, e tanta parte dell’esperienza del CRH è stata dedicata a produrre un’informazione che veicolasse anche cultura. Come si diceva in un opuscolo del Gruppo Abele alla metà degli anni Settanta, «gli emarginati non sono la parte malata della società, ma il prodotto di una società malata; in questo senso è necessario produrre non solo servizi ma anche e soprattutto cultura». L’esperienza del CRH è segnata dalla ricerca e dalla documentazione, anche se, negli ultimi due anni, abbiamo dovuto ridurre queste attività, assorbiti nei meccanismi della complessa riorganizzazione del sistema dei servizi sociali territoriali del Comune di Bologna.
Tra le tante iniziative attivate, ricordo il supplemento bibliografico bimestrale alla newsletter che ha recensito diverse centinaia di volumi, il supplemento dedicato ai progetti di legge di Camera e Senato e le varie schede informative spedite in allegato alla newsletter e dedicate a temi culturali o relazionali e ancora consultabili nel sito. Per un certo periodo abbiamo anche tentato uno sportello decentrato della Biblioteca specializzata del CDH, ma non ha funzionato.
Con gli Sportelli Sociali… ci riproviamo, con un corso di formazione sui temi dell’informazione e documentazione sociale, una rassegna stampa da riviste per il Comitato di Redazione sugli stessi temi, il tentativo di un vero e proprio servizio di informazione e documentazione dedicato all’intera rete dei servizi territoriali, per distribuire in maniera ragionata a circa 250 operatori e funzionari le mille informazioni e i mille documenti prodotti da siti, riviste, newsletter, case editrici, centri documentazione, enti e organismi vari. Nel sito internet degli sportelli puntiamo sull’utilizzo di video e documenti allegati alle schede per approfondire; abbiamo anche approcciato qualche iniziativa di web 2.0, senza esagerare e senza demagogie: i dati per ora sono buoni, considerando anche l’avvio nei mesi estivi. Vedremo se ci sosterranno anche in futuro».
Quali caratteristiche e competenze deve avere l’operatore ideale?
«È una domanda difficile. Ci provo. Direi che dovrebbe avere buone competenze sui vari ambiti della disabilità ed esperienza della realtà dei servizi pubblici e del Terzo Settore. Inoltre, buona conoscenza del panorama informativo e documentativo nazionale, buone competenze tecnologiche, giornalistiche, grafiche e legislative, con qualche rudimento di biblioteconomia e archivistica e una buona conoscenza delle figure professionali operanti nell’ambito della disabilità. Sono importanti anche una certa pignoleria e, come ho già detto prima, la capacità di ascolto e di relazione».
Diventare operatore di uno Sportello Informahandicap è un obiettivo auspicabile per un giovane che si immette nel mercato del lavoro, oppure è un’attività di passaggio, svolta per lo più da chi è in cerca di qualcos’altro?
«Gli Sportelli Informahandicap in Italia sono un’ottantina: il mercato è di nicchia che più nicchia non si può! La gestione è all’80% pubblica. Nel dettaglio, dei Comuni singoli per il 46%, delle ASL per il 18%, (molti in Veneto), dei Consorzi per Servizi Sociali per il 16% (quasi tutti in Piemonte, la regione con più sportelli e l’unica a dotarsi di un progetto regionale organico in materia), delle associazioni per il 14% (per lo più piccole associazioni di carattere locale), delle Cooperative per il 5%.
Non esistono dati, ma si può ipotizzare la presenza diffusa di personale amministrativo part time (molti sportelli aprono due, tre mezze giornate e lo stesso nostro CRH apriva quindici ore settimanali per una città di 380.000 abitanti e 20.000 disabili) e la presenza meno diffusa di assistenti sociali ed educatori. In questi casi, molto dipenderà dall’integrazione tra questi sportelli specializzati e gli sportelli sociali previsti dalla Legge 328/00 e dai modelli che territorialmente si perseguiranno, se di reale integrazione o di semplice vicinanza.
Le strutture stesse, e non solo gli operatori, a volte sono “di passaggio”, legate a progetti o a fondi non di tipo strutturale. Il 2010 ci darà un quadro più definito dei tagli e potremo sapere se le strutture più piccole e decentrate sono riuscite a sopravvivere».
In chiusura di questa lunga intervista, vuole aggiungere qualcosa?
«Se possibile, un ringraziamento a Valeria Alpi, Massimo Falcone e Annalisa Degli Esposti, gli operatori del CRH, per l’ottimo lavoro fatto in questi anni». (Barbara Pianca)
*Responsabile del CRH (Centro Risorse Handicap) del Comune di Bologna.
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