La Corte di Cassazione Civile, Sezione II, con la Sentenza n. 21271 del 5 ottobre scorso [se ne legga in questo sito al testo disponibile cliccando qui, N.d.R.], ha stabilito che i Comuni possono far pagare le auto con contrassegno arancione che parcheggiano nei posti segnati con le strisce blu. In primo luogo va evidenziato che in questa Sentenza la Corte di Cassazione ha ribadito due punti a favore delle persone con disabilità, vale a dire che:
– è dovere della Repubblica agevolare la mobilità delle persone disabili con la propria auto;
– per i Comuni è una facoltà, e non un dovere, far pagare i disabili per parcheggiare la propria auto tra le strisce blu.
E tuttavia, nella Sentenza in esame, il punto a svantaggio dei disabili è che la Cassazione ha stabilito che i Comuni possono far pagare il parcheggio tra le strisce blu.
A tal proposito, il ragionamento centrale della Corte è che la mobilità dei disabili viene agevolata, facendo sì che queste persone riescano a trovare i posti liberi dove parcheggiare. Mentre, sempre secondo la Corte, è del tutto insignificante se poi i disabili devono pagare. E qui “casca l’asino”.
In primo luogo, certo, per gli stipendi “da nababbi” dei magistrati della Corte di Cassazione è importante trovare il posto dove poter parcheggiare, poi non conta niente se alla fine della giornata ci sono da pagare 5, 10 o 15 euro. Il discorso è ovviamente ben diverso per un disabile costretto a sopravvivere con una pensione di 270 euro al mese, cioè, si noti bene, da un trentesimo a un quarantesimo dello stipendio mensile di un magistrato della Corte di Cassazione. E in questi casi anche 5 euro al giorno fanno una differenza enorme. È evidente, quindi, che la Magistratura deve avere ben presente questa differenza concreta e che non tenerla nella dovuta considerazione significa non tener presente gli articoli 2 e 3 della Costituzione, nonché il comma 3 dell’articolo 2 della Legge 67/06 [“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”, N.d.R.], secondo il quale «Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone».
Ed è evidente anche che costringendo i disabili a pagare per il parcheggio nelle strisce blu, essi vengono messi in una posizione di svantaggio rispetto alle altre persone. Infatti la pensione di invalidità civile è molto più bassa di un qualsiasi reddito da lavoro o da pensione. Inoltre è ampiamente dimostrato che, in media, le retribuzioni – e quindi anche le pensioni da lavoro – delle persone disabili sono molto più basse di quelle delle persone cosiddette “normodotate”.
C’è poi il fatto che i parcheggi a pagamento nelle strisce blu vengono istituiti per scoraggiare le persone a utilizzare l’auto. In altre parole, se non vuole pagare il parcheggio nelle strisce blu, molto spesso una persona normodotata può cavarsela con il motorino, la bicicletta, gli autobus, camminando a piedi ecc. Viceversa per moltissime persone disabili tutto questo è impossibile. Ovvero, per moltissime persone disabili l’unica alternativa a non parcheggiare nelle strisce blu può essere quella di non uscire di casa. Quindi, anche sotto questo profilo, far pagare i disabili nelle strisce blu significa violare gli articoli 2 e 3 della Costituzione e la Legge 67/06: infatti, il costo del parcheggio nelle strisce blu finisce per risolversi in una tassa sulla disabilità.
A tutto questo si può aggiungere un’ulteriore discriminazione perché spesso le macchinette per pagare il parcheggio nelle strisce blu sono troppo lontane e inaccessibili per chi ha consistenti difficoltà motorie.
Insomma, non ci si può arrendere di fronte a questa Sentenza e, se necessario, vanno fatti altri ricorsi alla Magistratura. Infatti, le Sentenze della Corte di Cassazione contano sì molto, però capita poi anche che in successive Sentenze la Corte stessa cambi il proprio orientamento ed è anche importante far notare ai Comuni i limiti che ci sono nel presente provvedimento.
In sostanza è realistico ritenere che dietro a questa Sentenza – come dietro ad altre – ci siano tre notevoli problemi. Il primo è che molto probabilmente i magistrati che l’hanno emanata non conoscono la realtà della vita concreta dei disabili. Il secondo problema è che gli alti magistrati vivono una vita troppo privilegiata, in un mondo troppo staccato dalla realtà della maggior parte delle persone. E poiché – così come fra tutte le persone – anche fra i magistrati c’è chi è meno capace di utilizzare l’intelligenza in maniera veramente completa, quando capita che sono queste persone a decidere, il mondo di privilegi in cui vivono può impedire di capire la realtà. È chiaro anche che l’assenza di privilegi di per sé non è affatto garanzia di capacità di capire le cose e tuttavia tale assenza di privilegi diventa uno straordinario ausilio quando è unito alla padronanza di taluni strumenti cognitivi.
Il terzo problema, infine, è che fino all’avvento della Costituzione i magistrati si trovavano a dover decidere su una tipologia di questioni abbastanza limitata. Man mano che viene attuata la Costituzione – e in particolare a seguito degli articoli 2 e 3 – i magistrati stessi si trovano a dover decidere su una sfera molto più ampia di questioni. Ed è allora molto difficile che una stessa persona fisica (magistrato) possa conoscere tutte le questioni per le quali è oggi necessario rivolgersi al giudice.
È evidente poi che la responsabilità prima di tutto ciò è di chi fa le leggi, quindi del Parlamento e dei Consigli Regionali. Infatti dovrebbero essere prodotte leggi più precise, che stabilissero con più chiarezza quali siano i diritti e i doveri dei cittadini. Cosicché poi per i magistrati diventerebbe più facile prendere le decisioni.
Sorge tuttavia un altro problema e cioè che per far sì che l’amministrazione della giustizia si avvicini un po’ di più alla giustizia secondo i parametri stabiliti dai più volte citati articoli 2 e 3 della Costituzione, sarebbe necessario dimezzare gli stipendi degli alti magistrati, in modo che questi potessero fare una vita più vicina alla realtà concreta della stragrande maggioranza delle persone. Si badi bene, con questo non si vuole affatto cavalcare la tendenza a colpire la magistratura. Viceversa se ne vuole esaltare il ruolo perché la vera forza sta proprio nell’essere vicini alla vita reale.
*Associazione Vita Indipendente (AVI) Toscana. Il presente testo è disponibile anche nel sito della stessa.