Muri da frantumare per incontrare le diversità

di Emilia Napolitano*
Donne, donne con disabilità, uomini e uomini con disabilità: nella società in cui viviamo, per motivi sociali, politici, culturali ed economici, si dovrebbe fare i conti con l'esigenza sempre più impellente di un'apertura mentale e di animo che accolga le differenze e tutto ciò che esse comportano, rendendo possibile una loro sinergia perché possano, in qualche modo, completarsi. «Quante dialettiche chiedono di fare sintesi!», scrive Emilia Napolitano. Continua dunque, con l'autorevole intervento della presidente di DPI Italia (Disabled Peoples’ International), il dibattito da noi lanciato qualche tempo fa sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità

Donna con disabilità insieme a donna non disabileTrovo molto interessanti le riflessioni degli articoli pubblicati da Superando a firma di Simona Lancioni (Violenza sulle donne con disabilità: alcune riflessioni critiche e Un confronto «non armato» tra il mondo maschile e quello femminile [disponibili cliccando qui e qui, N.d.R.]) e di Giampiero Griffo (Come sradicare la violenza e la discriminazione verso le donne con disabilità? [disponibile cliccando qui, N.d.R.]).
Per questo motivo proviamo a dare un nostro contributo come DPI Italia ONLUS (Disabled Peoples’ International), un’organizzazione che da diversi anni affronta la tematica della disabilità legata al genere, nell’ottica della tutela dei diritti umani.

Molto stimolante è l’idea di Simona Lancioni di una matrice relazionale della violenza esercitata dagli uomini nei confronti delle donne, in generale, e delle donne con disabilità in particolare, in quanto questo apre una prospettiva ben più ampia di comprensione dei significati di certi comportamenti umani, al fine di riconoscerli come legati a particolari dinamiche e conoscerli per un‘eventuale e auspicata correzione di essi, qualora ce ne fossero le condizioni e le volontà per poterlo fare.
Concordo pienamente con questa posizione, anche se riconosco come sforzo sovrumano il tentativo di individuare il senso di linguaggi violenti – verbali e non verbali – nei confronti di chicchessia. Tuttavia, data la nostra formazione, basata su una visione della disabilità come una questione di diritti umani, e psicologica, incentrata sulla persona, siamo inclini a considerare la sua storia e le sue dinamiche intrapsichiche e relazionali, nell’ambito delle quali collocare la condotta violenta.

Da dove iniziare – se dalle donne/donne con disabilità o dagli uomini/uomini con disabilità – per poter promuovere un cambiamento sociale, è come dire «Chi è nato prima, l’uovo o la gallina?».
Siamo in un periodo storico in cui i ruoli sociali stanno saltando e tutti, donne e uomini, fanno fatica a riconoscersi nelle loro differenze strutturali, psicologiche, affettive e di pensiero, che definiscono la loro essenza.
Il ruolo sociale che ciascuno si è costruito, grazie all’educazione ricevuta, dava sicurezza alla donna e all’uomo, nella misura in cui c’era un canovaccio al quale ci si doveva attenere ed era ciò che in qualche modo li teneva al riparo da un loro effettivo confronto. Con l’emancipazione femminile, la donna ha recuperato ampi spazi all’interno dei vari contesti di vita quotidiana; un recupero che riflette una maggiore “presa in carico”  di se  stessa e una maggiore consapevolezza delle proprie possibilità,  nonché delle proprie aspirazioni.
Ampliando questo discorso e introducendo la variabile della disabilità, ci rendiamo conto che anche qui ci troviamo di fronte a una questione di immagini sociali che, scivolando verso stigmi e stereotipi, attribuiscono alla persona con disabilità – e in particolare alla donna con disabilità – un carattere di passività che congela ogni possibile progettualità.

Alla luce di queste riflessioni, ci poniamo queste domande: da quale nodo della storia personale di un uomo nasce la spinta a una violenza nei confronti di una donna/una donna con disabilità? E da quale nodo della storia personale di una donna/donna con disabilità nasce la condizione psicologica ed emotiva che la rende vittima inconscia/conscia di violenza?
Qui ci sono dinamiche intrapsichiche e relazionali che  possiamo esplorare, sicuramente solo in parte, senza la pretesa di conoscerle tutte né tanto meno di risolverle.
Donna con disabilità su montascale per entrare in casaUn atteggiamento e una condotta violenti nascono da un sentimento di rabbia che, in questi casi, si erige come difesa rispetto a una paura generata dal confronto con l’altro/a e di quello che questo altro/a rappresenta. Tale confronto – oltre ad avvenire tra modello maschile e modello femminile – avviene anche tra le soggettività e le loro storie, le aspirazioni e gli obiettivi non raggiunti di ognuno, la caparbietà dell’una e la rilassatezza dell’altro e viceversa, gli interessi dell’uno e le aspettative dell’altra e viceversa.
Rispetto poi a chi subisce violenza – trascurando, non per importanza, una riflessione storica e culturale sulla discriminazione radice della violenza esercitata sulle donne/donne con disabilità -, possiamo andare a ritrovarne la causa in un mancato riconoscimento di se stessa come persona e nello stesso tempo in un mancato riconoscimento o costruzione della propria identità femminile, generati dai troppi rifiuti ricevuti e prima ancora per una mancata o scarsa approvazione come essere sessuato già all’interno della famiglia.
Questo porta la donna/donna con disabilità a subire delle violenze (fisiche, sessuali, psicologiche ecc.) perché è incapace di chiedere altro in risposta alle sue aspirazioni e ai suoi sogni, perché si accontenta e non rischia, continuando a inseguire un’accoglienza nell’altro, dopo quella offerta dalla famiglia.
In  particolare, la donna con disabilità fa fatica ad appropriarsi di un modello femminile che le sembra una chimera irraggiungibile, non identificandosi in esso. Diventa così facilmente vulnerabile a violenze di qualsiasi tipo. Altre volte, invece, per esigenze fisiche proprie di una determinata tipologia di disabilità, la donna che ne è portatrice è remissiva perché l’altro può soddisfare dei suoi bisogni di primaria importanza (cura personale, assistenza ecc.).

Per questo, ben vengano confronti tra le donne (sia esse con disabilità o non) e gli uomini (sia essi con disabilità e non); così come riflessioni tra gli uomini sugli uomini (una sorta di consulenza alla pari tra persone che hanno esercitato più o meno violenza, di cui uno è più consapevole dell’altro di quello che ha agito e delle dinamiche che lo hanno spinto a fare ciò); e infine confronti tra le donne e le donne con disabilità che, come anche sostenuto da Giampiero Griffo, non avvengono quasi mai, tranne che nel caso di poche menti illuminate che colgono l’aspetto discriminante della questione.
Oggi viviamo in società in cui per motivi, sociali, politici, culturali, economici, ci troviamo a fare i conti con un’esigenza sempre più impellente, cioè quella di un’apertura mentale e di animo che accolga le differenze e tutto ciò che esse comportano, rendendo possibile una loro sinergia perché possano, in qualche modo, completarsi. Ci sono troppe dialettiche che chiedono di fare sintesi!
E tale sintesi deve avvenire proprio perché ciascuno contribuisce con le sue peculiarità alla realizzazione di una unità ove tutti concorrono a un unico equilibrio, senza rivalse e ad “armi pari”.
Anche se questo può sembrare un’utopia, siamo fiduciosi che ciò avverrà grazie a chi, consapevole, si fa spingere dallo spirito di conoscenza che frantuma i muri e incontra le diversità!

*Presidente di DPI Italia (Disabled Peoples’ International).

Ricordiamo che i testi da cui prende spunto il presente intervento (Violenza sulle donne con disabilità: alcune riflessioni critiche e Un confronto «non armato» tra il mondo maschile e quello femminile di Simona Lancioni e Come sradicare la violenza e la discriminazione verso la donna con disabilità? di Giampiero Griffo) sono disponibili cliccando rispettivamente qui, qui e qui.
Share the Post: