La Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), che ha introdotto in Italia un mezzo per ottenere tutela dalle discriminazioni contro le persone disabili, compie oggi cinque anni! Il provvedimento, approvato appunto il 1° marzo 2006 dal Parlamento Italiano, appresta una tutela sia inibitoria che risarcitoria. Se infatti accerta la discriminazione, il giudice può:
a) ordinare, se il ricorrente lo richiede, il risarcimento del danno – anche non patrimoniale – da discriminazione, cioè quello che deriva dal non aver potuto fare una cosa come gli altri;
b) ordinare la cessazione della discriminazione, se ancora in corso;
c) adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione;
d) ordinare l’adozione, entro il termine fissato, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, soluzione indicata per i casi in cui gli eventi lesivi siano estesi e, perciò, impossibili da eliminare con un singolo atto. Immaginiamo, ad esempio, che il giudice accerti che una serie di stazioni ferroviarie non sono utilizzabili da clienti disabili; in questo caso l’adozione di un piano di modifica delle stazioni è probabilmente la soluzione più idonea;
e) ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato.
Le ipotesi di discriminazione contro cui è possibile reagire presentando ricorso al Tribunale sono quella diretta (che determina cioè un trattamento meno favorevole per motivi connessi alla disabilità) e quella indiretta (in cui un fatto apparentemente neutro mette una persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto agli altri: si pensi al divieto di portare cani in un ristorante, fatto di per sé neutro, che però, per una persona non vedente con cane guida, diventa ragione di svantaggio).
Inoltre, si può reagire con lo stesso strumento anche contro le molestie e, in genere, contro tutti quei comportamenti, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità o creano un clima di intimidazione, umiliazione e ostilità nei suoi confronti.
La Legge 67 ha incominciato ad essere applicata nei Tribunali. Vediamo in tal senso alcune pronunce.
Il 10 gennaio di quest’anno il Tribunale di Milano ha riconosciuto che la mancata assegnazione di insegnanti di sostegno – ponendo gli alunni con disabilità in condizione di svantaggio rispetto agli altri – costituisce discriminazione indiretta. L’Ordinanza emessa il 10 gennaio scorso [se ne legga nel nostro sito clccando qui e anche in successivi articoli, N.d.R.] richiama anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006 e la Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, che ha ritenuto indefettibile il diritto all’istruzione e sostanzialmente dichiarato che l’assegnazione di insegnanti di sostegno, in quanto funzionale al soddisfacimento di quel diritto, non soggiace a vincoli di bilancio.
Con quel provvedimento, dunque, il Tribunale di Milano – emettendo un’Ordinanza «ai sensi della Legge 67 del 2006, rubricata “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni” (G.U. n. 54 del 6 marzo 2006)», ha disposto il ripristino per i figli dei ricorrenti del numero di ore di sostegno fornito loro nell’anno 2009-2010. E ciò, oltre ad essere rilevante perché un Giudice ha qualificato come discriminatoria una determinazione dell’Amministrazione e ha ordinato alla stessa un comportamento, assegnando un termine preciso entro cui provvedere, è importante anche perché tra i ricorrenti figurava un’associazione di tutela dei diritti delle persone con disabilità [la LEDHA, Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, N.d.R.]. La Legge 67/06, infatti, estende la legittimazione ad agire per le ipotesi di discriminazione anche ad associazioni individuate con Decreto Interministeriale.
Già prima, però, del provvedimento di cui si è detto, si sono avute pronunce interessanti in materia di discriminazione. Il 4 giugno 2009 il Tribunale di Taranto, Sezione di Martina Franca, riconosceva che una persona con disabilità era stata discriminata in occasione degli esami di abilitazione alla professione forense. In particolare, quel Giudice aveva considerato discriminatorie la ritardata consegna del codice cartaceo, la postazione di lavoro che era stata assegnata al candidato (di fatto per lui inutilizzabile dalla sedia a rotelle, per via dell’altezza del piano di lavoro) e l’assenza delle forze dell’ordine all’ingresso, che avrebbero dovuto agevolare l’entrata del candidato nella sede di esame. In quel caso il Giudice quantificò il danno sofferto – patrimoniale e non patrimoniale – in 4.000 euro.
Va poi ricordata l’ordinanza del Tribunale di Tempio Pausania, in Sardegna, del 20 settembre 2007, nella quale il Giudice ha condannato un circolo nautico al risarcimento del danno in favore di una persona con disabilità in sedia a rotelle. In tale occasione si è ritenuto discriminatorio il fatto che una barca fosse stata spostata senza avvertire il proprietario e che alla stessa persona con disabilità fosse stato impedito di affiancare al proprio natante un mezzo di sollevamento che avrebbe dovuto consentirle di passare dalla propria carrozzina all’imbarcazione stessa. Il dato interessante è che il Giudice, per quantificare il danno, ha deciso di centuplicare il valore della quota di iscrizione, arrivando così alla somma di 4.000 euro.
Queste pronunce sono dunque la testimonianza concreta di come il diritto a non essere discriminati delle persone con disabilità – sancito appunto nel nostro ordinamento dalla Legge 67/06 e a livello internazionale dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 2006 – stia trovando sempre maggiore rispondenza nella giurisprudenza di merito.
Oggi comportamenti e situazioni che impediscono alle persone con disabilità di avere una vita ordinaria trovano risposte adeguate nel nostro ordinamento. Da un lato i risarcimenti e dall’altro l’attenzione che i Giudici hanno dimostrato per i dettagli delle attività della vita, sono segnali importanti che attestano la forza sempre maggiore che va assumendo oggi – e in termini assolutamente concreti – il principio di parità di trattamento il quale, secondo l’articolo 2 della Legge 67/06, comporta che non possa essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità.
Infine, oltre ai profili risarcitori – che in questo caso attengono alla sfera del non patrimoniale e riguardano le attività realizzatrici della persona – è emerso il ruolo fondamentale delle associazioni di persone con disabilità che, anche attraverso sapienti azioni giudiziarie, potranno sempre più incidere nella società per promuovere l’inclusione delle persone disabili.
*Avvocato, dottore di ricerca in Diritto Civile all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, membro di Cendon&Partners (angelo.marra@libero.it).
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