Sia la notizia dei 100 milioni di euro destinati alla SLA (sclerosi laterale amiotrofica) – attinti sostanzialmente dal fondo del 5 per mille (se ne legga nel nostro sito ad esempio cliccando qui) – sia quella successiva, risultante dal cosiddetto “Decreto Milleproroghe”, che quello stesso fondo sarà a discrezione del Legislatore («fino a 100 milioni»), hanno fatto discutere molto.
Di questo e altro i Genitori Tosti – blogger di un “Gruppo di genitori con figli disabili dal Monte Rosa al Genargentu” – hanno parlato con Salvatore Usala che si presenta così: «Sono nato a Cagliari, perito chimico industriale, lavoro cinque anni nell’industria e poi entro nel mondo della scuola come assistente tecnico di chimica e informatica. Nel 2004 i primi sintomi della SLA, crampi, gambe rigide, movimenti impacciati. A inizio 2005, diagnosi certa, è SLA. Giugno 2008, deglutire è impossibile e faccio la PEG [gastrostomia endoscopica percutanea, N.d.R.]. Dicembre 2008, crisi respiratoria e faccio la tracheostomia. Nel frattempo vado in pensione, gennaio 2008, dal gennaio 2009 decido di combattere aspramente, mi dedico alle cose più disparate, è iniziata una nuova vita».
La prima testimonianza video che ti riguarda, Salvatore, che abbiamo trovato sul web, risale al 2009, ed è un servizio di Videolina, in cui annunci l’inizio dello sciopero della fame come forma di protesta contro il silenzio delle Istituzioni [di questo si legga nel nostro sito cliccando qui e qui, N.d.R.]. Ci racconti com’era la situazione, all’epoca, per un malato di SLA?
«La Sardegna ha avuto uno sviluppo impensato dell’assistenza domiciliare con l’assessore regionale Nerina Dirindin, che ha “dato gambe” alla Legge 162/98 e ha introdotto il Progetto Ritornare a casa, dedicato ai più gravi, molti malati di SLA che sono usciti dalle rianimazioni e sono appunto tornati a casa. Si è trattato di un processo irreversibile che ci ha portato a lottare per avere un’assistenza ventiquattr’ore su ventiquattro.
Non tutti in Italia hanno un’assistenza adeguata, la disperazione e l’abbandono regnano incontrastati ed è da questa realtà che è partito lo sciopero della fame e le lettere all’allora viceministro Fazio perché si facessero provvedimenti nel merito».
Tu avevi presentato un progetto di assistenza domiciliare continuativa, corredato anche di piano finanziario e con la bellissima proposta della formazione di personale specifico addetto all’assistenza. Vuoi raccontarci com’è iniziato tutto?
«Tutto è iniziato col fatto che non è pensabile avere un infermiere ventiquattr’ore ore al giorno, per evidenti carenze di organico e per costi proibitivi. Parliamo infatti di 600 euro al giorno. Il progetto prevede assistenti familiari assunti direttamente dalla famiglia e coordinati e formati da un infermiere di rianimazione. I costi scenderebbero a 250 euro, più o meno la retta che la regione paga a un’RSA [Residenza Sanitaria Assistita, N.d.R.], pochi costi aggiuntivi e un’assistenza di ventiquattr’ore che fa risparmiare sui ricoveri in rianimazione, che costano 1.800 euro al giorno».
Arriviamo al 2010: il 21 giugno, ricorrenza del Global Day per la SLA, eri a Roma – insieme a malati di tutta Italia – davanti a Palazzo Montecitorio. Poi ancora a luglio, ancora presidio nello stesso posto. Rispose l’onorevole Gianni Letta che disse: «D’ora in poi il vostro presidio sarò io» [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.]. Che successe, quindi?
«Fu una presa in giro tipica dei politici più beceri. L’onorevole Letta non fece mai nulla e la delegazione capeggiata da Mario Melazzini, presidente dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e da Pietro Barbieri, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), si accontentò di vaghe promesse. Da quella “farsa” nacque un presidio del 16 novembre successivo di ben altro tenore, che portò al Decreto dei 100 milioni».
Ma il ministro Fazio ha mai ricevuto una vostra delegazione? Quali sono state le sue risposte e quindi il suo impegno come rappresentante della Sanità italiana in merito alle vostre istanze?
«Fazio ci ha invitato alla Consulta Nazionale delle Malattie Neuromuscolari, ha risposto alle nostre istanze con impegni precisi reiterati pubblicamente, ma nei fatti concreti non ha fatto praticamente nulla. A mio parere i ministri italiani non contano nulla, dipende tutto dal ministro dell’Economia Tremonti che ha “la cassa in mano” e non autorizza nulla».
Dal governo centrale, alla fine, il risultato è stato comunque lo stanziamento di 100 milioni per assistenza e ricerca, soldi però ricavati dal fondo del 5 per mille e il cui impiego non è chiaro. C’era anche la questione dei LEA [Livelli Essenziali di Assistenza, N.d.R.] e del Nomenclatore Tariffario…
«Noi avevamo ottenuto i 100 milioni con la cosiddetta Legge di Stabilità per il 2011, ove il 5 per mille era di 100 milioni e in un capitolo separato. Con il “Decreto Milleproroghe”, però, il ministro Tremonti ha fatto una cosa misera, mescolando le carte per risparmiare e aprendo sostanzialmente una “guerra fra poveri”. Il risultato è stato a dir poco penoso perché i malati di SLA sono stati visti come “privilegiati” che prendevano contributi vitali per il mondo del volontariato.
Per quanto riguarda i nuovi LEA e il Nomenclatore Tariffario, non li vuole nessuno, perché ciò costa 800 milioni e né il Governo né le Regioni vogliono accollarsi la spesa».
Nella dimensione regionale, però, e restando alla tua Sardegna, la situazione ha richiesto ulteriori battaglie: partiamo, ad esempio, dal gennaio del 2010, quando l’assessore alla Sanità Liori ha ritirato il piano/progetto da te stilato, dicendo che doveva “fare i conti”…
«L’assessore non ha guardato il progetto proposto dalla Commissione Regionale SLA [di questo organismo e del provvedimento di cui si parla successivamente, si legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.], lo abbiamo capito nell’incontro successivo al presidio del 16 dicembre. Entrare infatti nel merito dell’organizzazione socio-sanitaria è complesso e credo che il dottor Liori non avesse alcuna intenzione di stressarsi a trovare soluzioni.
Abbiamo chiesto e ottenuto un potenziamento del Progetto Ritornare a casa di 1 milione e mezzo di euro, dedicati ai malati con malattie neurodegenerative in ventilazione assistita per ventiquattr’ore, in buona sostanza 18.000 euro aggiuntivi che portano la Sardegna a diventare un esempio virtuoso per questi malati molto gravi».
Ma non è una contraddizione che in un Paese dove sempre aspro è il dibattito politico sul diritto alla vita e sulla tutela di essa, voi abbiate dovuto mettere più volte a repentaglio la vostra salute per farvi ascoltare? I destinatari delle vostre richieste non si pongono il problema? E voi come vi sentite?
«Credo sia una cosa vergognosa che tutti si riempiano la bocca di “inni alla vita” e della sua sacralità. Nei fatti vi è un’ipocrisia devastante e un bigottismo fasullo. In Italia l’80% dei malati di SLA rifiuta la tracheostomia, sono ottocento morti all’anno, molti dei quali decidono di morire per non pesare sulla famiglia, stante la mancanza di assistenza. Noi non ci arrendiamo, vogliamo una vita degna di un Paese civile».
Avete mai pensato di ricorrere alle vie legali denunciando la discriminazione di cui siete oggetto?
«Non è un opzione che abbiamo considerato perché ci piace la lotta politica per sensibilizzare l’opinione pubblica sul malgoverno. Oramai tutte le famiglie hanno problemi di disabilita più o meno grave e le battaglie si devono fare per crescere. La Magistratura va coinvolta solo in caso di reati gravi di malasanità».
Ci racconti una tua giornata tipo?
«Sveglia alle 8 e lettura della posta, giornali, forum e siti di interesse; dalle 9 alle 11 igiene, barba e medicazioni con gli infermieri. Dalle 11 fisioterapia e riprendendo il comunicatore oculare, ricomincio a navigare in internet e a rispondere alle mail urgenti. Da mezzogiorno sino a mezzanotte-l’una, lavoro incessantemente per non avere arretrati, posta, progetti, forum, lettere, battaglie, insomma non mi annoio.
Ogni tanto esco per necessità o svago, ma non è possibile farlo spesso perché i preparativi sono laboriosi e il “bagaglio” al seguito rilevante. La TV la seguo poco, telegiornali, qualche film e attualità; in ogni caso riesco a scrivere guardando un film o una partita».
Quanti sono in Italia i malati di SLA?
«Circa 5.000, ma non esiste un censimento certificato».
Cosa vorresti dire alle persone che non conoscono questa malattia?
«Che è una malattia devastante, sei bloccato completamente, ti alimenti tramite un tubo inserito nello stomaco, respiri tramite un respiratore automatico, non puoi comunicare, ma hai un cervello integro e funzionante. La maggioranza dei malati cade in depressione e si lascia andare. Personalmente vivo bene perché ho trovato una ragione per vivere, la lotta per la civiltà. Fortunatamente abbiamo a disposizione i comunicatori oculari che ci consentono di interagire con il mondo.
Chi vi ha manifestato solidarietà e si è unito a voi?
«Sono stati in tanti. Abbiamo trovato infatti molta solidarietà da giornalisti, politici, semplici cittadini, colleghi, parenti e amici. Mi scrivono tante persone sconosciute che vogliono darci un contributo anche solo simbolico, ma molto gradito. In un periodo di perdita di valori e moralità, vedere disabili gravissimi sfidare le intemperie e la sofferenza evoca mitici ricordi. Ma noi non siamo eroi, vogliamo “solo” vincere la guerra per la vita».
E per chi volesse contattarvi?
«Viva la Vita Sardegna ONLUS, Via Nerva, 20, 09043 Monserrato (Cagliari), vivalavitasardegna@tiscali.it».
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