In questi giorni è in discussione, presso la Terza Commissione Consiliare della Regione Umbria, la Proposta di Legge dal titolo Norme per il miglioramento dell’offerta dei servizi residenziali agli anziani, avanzata dal consigliere Massimo Buconi.
Attualmente le residenze per anziani, articolate in varie tipologie, ricevono – sulla base di un nomenclatore specifico adottato a livello regionale e condiviso dai sindacati e dagli operatori del settore – contributi dal Servizio Sanitario Regionale e dai Comuni di entità variabile, ma comunque non inferiore ai 90 euro al giorno. La Regione ne fornisce circa 43 (quota sanitaria), mentre la parte rimanente (quota sociale) spetterebbe ai Comuni per intero, ma in genere viene richiesta all’ospite della struttura.
Obiettivi della nuova Proposta di Legge sono quelli di ottenere una rimodulazione di questi contributi al fine di poter inserire i soggetti ricoverati in differenti moduli assistenziali, a prescindere dalla tipologia di struttura, individuando anche un meccanismo di sanatoria per tutti quei presìdi che residenze sanitarie non sono, quelli cioè che potremmo definire volgarmente “ospizi”, dove la tipologia dei soggetti presenti non presenta ancora il carattere della non autosufficienza. In tal senso si parla di “autorizzazioni provvisorie”.
In sostanza, si ritiene utile prevedere una norma che disciplini diversamente la non-autosufficienza in base alla gravità della stessa.
A una prima lettura, l’opportunità di queste norme sembrerebbe conclamata, necessaria, se non anche auspicabile. Lo sarebbe, però, in presenza di una pluralità di servizi, ma soprattutto di strumenti che considerassero il ricorso alle strutture residenziali come residuale e non elettivo, come ultima scelta, non come prima e unica. Prima e unica, diciamo, perché altrimenti non può intendersi, visto che nessun supporto concreto viene riservato al sostegno in famiglia, nel proprio domicilio, per le povere persone anziane non più autonome.
Una scelta di campo, quella fatta oramai da alcuni anni dalla Regione Umbria, che la pone in netto contrasto con tutte le altre Regioni italiane, ove certo di strutture residenziali ve ne sono e ricevono anch’esse lauti contributi pubblici, ma la cui presenza è affiancata da un concorso di strumenti e ausili che hanno, come primo obbiettivo, quello di mantenere i bisognosi di cura e assistenza a casa loro.
Parliamo di assegni di cura (Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Puglia, Piemonte ecc., con importi medi di 5-600 euro mensili), di voucher (Lombardia, Sicilia), di contributi badanti (da parte di tutte le Regioni, con importi variabili dai 1.800 euro al mese del Trentino ai 200, sempre al mese, della Toscana). Tutte cifre, per altro, il cui importo è sempre di gran lunga inferiore ai contributi che le Regioni versano alle varie forme di residenzialità, ove – in casi di presenza di soggetti con gravi e gravissime patologie – possono entrare fino a 14.000 /30.000 euro per ogni singolo ospite, per ogni singolo mese di permanenza.
Ma qual è l’obiettivo malcelato della Proposta di Legge Buconi? Secondo chi scrive, è quello di trasformare anche le “residenze servite” (ospizi) in residenze protette, scimmiottando in tal modo il modello della Regione Toscana, che tanti problemi sta creando ai familiari di persone non autosufficienti ricoverate, in ragione soprattutto delle richieste sempre più esose da parte dei gestori. Infatti, il contributo alla retta di pertinenza degli ospiti (erroneamente definito “quota alberghiera”, più propriamente definibile come “quota sociale”) è andato progressivamente aumentando, riducendo letteralmente sul lastrico tante famiglie.
Preme sottolineare poi come in Toscana – a differenza che in Umbria – il dibattito sugli assegni di cura venga sostanzialmente sottaciuto, se non per un Disegno di Legge che tenta di far inserire nel Fondo per Non Autosufficienti regionale questo indispensabile strumento di sostegno all’assistenza domiciliare.
Ma tornando dunque all’Umbria, quest’ultima Regione, invece di erogare gli assegni di cura e di modularne l’importo – come fa ad esempio l’Emilia Romagna sin dagli anni Novanta, sulla base della gravità delle condizioni dell’assistito e in ragione di diverse soglie di reddito – se verrà, com’è probabile, approvata la Proposta Buconi, i già cospicui contributi pubblici erogati alle residenze sanitarie saranno estesi anche ai semplici ospizi che – come dicevamo – residenze sanitarie assistenziali non sono! Come definire ciò se non un bel “regalino pre-elettorale” che la Terza Commissione Consiliare si appresta ad approvare con solerzia e determinazione?
La contraddizione, infatti, è palese: prima si ritiene adeguata la somma di 87 euro al giorno per i non autosufficienti diciamo lievi, poi però si sottolinea che è opportuno incrementare la quota di pertinenza della Regione in ragione di un’aumentata necessità di cure degli anziani ospiti. Se la riforma, a detta del consigliere che l’ha proposta, ha un costo zero per il Servizio Sanitario Regionale, non è chiaro chi – rimodulando i contributi pubblici – aggiungerà il maggior esborso che verrà a determinarsi con la diminuzione della parte di competenza della Regione (la cosiddetta “quota sanitaria”). Perché proprio di questo si parla: nessun esborso ulteriore da parte della Regione e quindi, se le cose staranno effettivamente così, è assai facile intuire che verrà incrementata la parte di pertinenza del non autosufficiente ospite.
Preme sottolineare, a questo punto, che sono illegittime tutte le richieste da parte delle ASL, dei Comuni e dei vari enti erogatori di servizi, di determinare il contributo sulla base dell’ISEE familiare [l’ISEE è l’Indicatore della Situazione Economica equivalente, N.d.R.]. Per le persone con gravi disabilità, infatti, e per gli anziani non autosufficienti, rileva solo l’ISEE personale, come ricordano le leggi nazionali e soprattutto l’ennesima recente Sentenza del Consiglio di Stato, che ancora una volta ha ribadito che «le persone con grave disabilità e ultrasessantacinquenni non autosufficienti, accertati dalla ASL, contribuiranno ai costi per fruire dei servizi domiciliari, diurni o residenziali sulla base del solo ISEE individuale e non di quello familiare» [è la Sentenza n. 1607 del 15 febbraio 2011, prodotta dalla Quinta Sezione del Consiglio e depositata il 17 marzo 2011. Se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].
Mentre tutta l’Italia, dunque, scopre e sottolinea i vantaggi del reale e concreto sostegno alla cura in famiglia dei disabili e degli anziani non più autonomi, l’Umbria fa un passo in avanti nell’ulteriore obiettivo di favorire in modo indiscriminato tutte le tipologie di residenzialità, articolate nelle forme più varie: case famiglia, residenze protette, residenze sanitarie, centri diurni ecc., a discapito forse delle uniche forme di residenzialità necessarie e utili, che non hanno il carattere della permanenza, e cioè i centri riabilitativi, che nella Regione sono ben pochi, inaccessibili e con liste di attesa interminabili.
E d’altra parte è quasi ovvio che sia così: i centri di riabilitazione, infatti, a differenza delle residenze sanitarie, hanno bisogno di competenze e professionalità specifiche ed elevate, i costi sarebbero maggiori e i vantaggi, in termini di clientele elettorali, assai meno gratificanti. Un conto è assumere logopedisti, fisioterapisti specializzati o neurologi, tutte figure afferenti ed essenziali ad un centro riabilitativo, un conto è “imbucare un inserviente” in una residenza per anziani, spacciandolo per un operatore socio assistenziale, con stipendi di gran lunga inferiori a quelli delle figure suddette.
E vogliamo parlare di quanto costa alla Regione un’ora di assistenza domiciliare? C’è un nomenclatore tariffario al riguardo che minuziosamente determina tariffe e compensi. Esso fu varato dalla Giunta Regionale in accordo con i sindacati e le cooperative sociali. Ebbene, per un’ora di assistenza domiciliare (raramente ne vengono erogate più di due a settimana), una cooperativa riceve dalla Regione 25 euro e all’operatore ne vanno 4,95. Uno scarto di 20.05 centesimi di cui non è chiaro ne agevole determinare il percorso. Ai Lettori ogni ulteriore considerazione.
Preme ricordare infine che in Terza Commissione giace, oramai da mesi, anche il Progetto di Legge del consigliere Sandra Monacelli, avente per oggetto Interventi a sostegno della funzione assistenziale domiciliare per le persone affette da SLA [se ne legga cliccando qui. La SLA è la sclerosi laterale amiotrofica, N.d.R.].
In questo caso, della disperazione di queste persone, veri “martiri”, sembra non importi a nessuno e l’auspicio è quindi che tale testo venga approvato quanto prima, senza se e senza ma, con tutte le modifiche necessarie al testo iniziale, per sostenere nel concreto chi si trova in questa drammatica condizione.
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