Nel commentare la pregevole Sentenza del Consiglio di Stato n. 1607 del 15 febbraio scorso [depositata il 17 marzo successivo, N.d.R.], Salvatore Nocera afferma, sulle pagine di Superando, che «quando i Comuni chiedono i dati personali dei parenti tenuti agli alimenti non violano la normativa sulla privacy, poiché quei dati servono a calcolare la condizione economica delle persone con disabilità non grave».
Detta affermazione è sbagliata, in quanto, ai sensi del comma 6 dell’articolo 2 del Decreto Legislativo 109/98 – come risulta modificato dal Decreto Legislativo 130/00 – gli enti pubblici non possono sostituirsi all’interessato nella richiesta degli alimenti. Se lo fanno, infatti, violano non soltanto le sopra citate disposizioni, ma anche quelle riguardanti la protezione dei dati personali (Decreto Legislativo 196/03), a causa del mancato rispetto dei principi di indispensabilità, pertinenza e non eccedenza dei dati raccolti rispetto alle finalità perseguite (articoli 9 e 22 del citato Decreto Legislativo 196/03).
Per le prestazioni assistenziali fornite ai soggetti con disabilità non grave, le norme vigenti prevedono che le contribuzioni economiche siano calcolate sulla base delle risorse (redditi e beni) del nucleo familiare di appartenenza dell’assistito. Ne deriva quindi che – per gli assistiti con disabilità non grave – i dati relativi alla situazione economica possono essere richiesti esclusivamente ai congiunti conviventi e non agli altri parenti tenuti agli alimenti.
«Nel riferire che la richiesta di dati economici ai parenti delle persone con disabilità non grave da parte dei Comuni non viola la privacy – ci scrive Salvatore Nocera, in risposta all’intervento di Francesco Santanera – non ho espresso il mio pensiero, ma mi sono limitato a riferire quanto contenuto nella Sentenza».
*Associazione Promozione Sociale di Torino.
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