Avevamo lasciato in Argentina Salvatore Cimmino, il nuotatore della Canottieri Aniene amputato della gamba destra, impegnato nel suo giro del mondo a nuoto, denominato A nuoto nei mari del globo, per dare visibilità al suo progetto denominato Un mondo senza barriere e senza frontiere. Lo ritroviamo ora nelle acque gelide del Canada, non tanto lontano dall’Alaska, dove il 22 maggio ha compiuto la sua nuova impresa, nuotando per 20 chilometri in 4 ore e 50 minuti, nel freddo, controvento e in un mare abbastanza agitato.
Cediamo la parola allo stesso protagonista, che spiega anche le motivazioni per cui – usando le sue stesse frasi – «si ostina ad affrontare difficoltà sempre crescenti, invece di accontentarsi di qualche nuotata qua e là, tanto per tenersi in forma».
Quella che state per leggere vi sembrerà una favola anziché la cronaca di una giornata che porterò nel mio cuore molto a lungo.
Il Lester B. Pearson United World College of the Pacific (“Collegio del Mondo Unito del Pacifico”) è ubicato in una foresta che sembra essere uscita dalla fantasia di Charles Perrault [l’autore, tra l’altro, di fiabe celebri come Pollicino, Cenerentola, Cappuccetto Rosso e Il gatto con gli stivali, N.d.R.], con alberi maestosi, sentieri magici, scoiattoli, cervi e meravigliosi uccelli che la popolano, piante e fiori che non avevo mai visto prima.
La stessa casetta in cui ero ospitato sembrava essere uscita da una fiaba, trovandosi al fianco di un ponticello su un ruscello, dove ogni mattina – com’è successo anche il giorno della traversata, quando sono uscito per avviarmi al molo e imbarcarmi per raggiungere Fleming Beach – un cerbiatto odorava qualcosa sull’uscio di casa e per niente spaventato continuava a farlo nonostante la mia presenza. Per un momento ho pensato (ho sognato?) che fosse un troll venuto ad augurarmi buona fortuna e poi, a pochi centimetri, sul tappetino ho trovato un foglio di carta piegato con una piuma di uccello, l’ho preso e l’ho aperto: era un messaggio in francese che mi ha commosso, dove mi si augurava Bonne chance.
Sul molo ho trovato Chris Blondeau, il responsabile delle operazioni, il rettore David Hawley con la moglie Leisa e gli studenti Augusta, detta Gugu, perché i compagni di collegio trovano difficoltà a pronunciare il suo nome, Mattia, Raed, Mark e Sahar.
Dopo le dovute raccomandazioni sullo svolgimento della traversata e le foto di rito, siamo partiti alla volta di Victoria, verso Fleming Beach, luogo della partenza. Il tempo non era certo un granché: cielo cupo, grigio e un venticello fresco. Il mare non prometteva niente di buono, come poi si è rivelato durate la nuotata.
Arrivati a Fleming Beach, ho iniziato a prepararmi con Gugu che mi aiutava a spargermi la lanolina e il grasso di balena su tutto il corpo. C’è voluto molto più tempo del solito poiché la temperatura dell’acqua era sugli otto gradi, mentre quella esterna non superava i quattordici. Infatti, la squadra capitanata da Chris, per tutto il tempo della traversata non solo è stata infastidita dal freddo, ma si è anche bagnata, dato che il mare per un buon tratto era mosso.
Siamo partiti alle 8 e quaranta e nei primi minuti non riuscivo ad appoggiare la faccia sull’acqua, per quanto era fredda. Poi, come in tutte le traversate, mi sono isolato dal mondo esterno e non vedevo altro che la barca Zodiac guidata da Chris e Mattia che riprendeva la nuotata con la videocamera, scortandomi senza distrarsi per un attimo, dato le difficilissime condizioni meteo marine.
Molto probabilmente è stata l’esperienza più difficile che abbia mai vissuto e questa volta non ero sicuro di farcela: il freddo, il vento che mi soffiava contro, il mare mosso. Anche Chris mi ha rivelato alla fine, mentre mi rivestivo, che, date le condizioni, pensava che non ce l’avrei fatta.
E invece, come in tutte le più belle favole – mi verrebbe da dire “miracoli” – alla fine siamo arrivati all’ingresso della baia che conduce al molo da dove eravamo partiti in mattinata. A quel punto mancavano ancora circa tre chilometri, l’acqua era sempre gelida, ma un fioco raggio di sole e il mare divenuto una tavola mi hanno incoraggiato non poco.
Mentre proseguivo verso il traguardo, sono stato riportato alla realtà dalle grida di gioia degli studenti, arrivati al mio fianco con le loro barche. Ho riconosciuto David felice che riprendeva il tutto con il suo telefono ultramoderno. Mi sono commosso e mi dicevo: «Quanto amo questi ragazzi!». I sentimenti, I valori, la gioia di vivere mi hanno permesso di completare quella che è stata, lasciatemelo dire, un’impresa epica!
Al molo, infine, ho potuto salutare tutto il collegio, che mi ha riservato un’accoglienza calorosissima e gioiosa.
Certamente tante persone si chiederanno il motivo per cui mi ostino ad affrontare difficoltà sempre crescenti, invece di accontentarmi di qualche nuotata qua e là, tanto per tenermi in allenamento. Chi mi conosce bene già sa la risposta: lo faccio sperando – nel mio piccolo e aggiungendomi ai tanti che si impegnano quotidianamente su questo fronte – che torni utile per ricordare al mondo, e al mio Paese in particolare, i disagi che ancora oggi si frappongono tra la società e le persone con disabilità.
Per questo ho voluto intitolare questa tappa canadese alla mobilità e alla vita indipendente, invitando ad esempio quegli Stati che non hanno ancora ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità a farlo quanto prima e chiedendo agli altri di creare i presupposti per una partecipazione paritaria, aumentando la consapevolezza della società riguardo i diritti, garantendo un’assistenza medica efficace alle persone con disabilità, predisponendo servizi di riabilitazione per queste ultime – in modo che possano raggiungere e mantenere il loro livello ottimale di indipendenza e funzionalità – provvedendo allo sviluppo e al funzionamento di servizi di sostegno, perché le persone con disabilità possano migliorare il livello di indipendenza ed esercitare i loro diritti, raccordando, infine, tali servizi alle esigenze delle persone stesse.