A proposito della campagna sugli incidenti stradali, diffusa qualche mese fa dall’ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici)-Fondazione per la Sicurezza Stradale e in particolare del manifesto che qui a fianco ripresentiamo, dopo l’intervento di Carlo Giacobini – cui abbiamo dato spazio nei giorni scorsi (lo si legga cliccando qui) – riceviamo ora e ben volentieri pubblichiamo la riflessione di Silvia Cutrera, presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente).
Sì è vero, spesso si acquisisce una disabilità a causa di un incidente stradale, in un attimo la vita cambia e tra le conseguenze c’è una minore autonomia e indipendenza. Si entra cioè a far parte di un'”altra comunità”, dove, è vero, le regole sono dure per sé e per gli altri.
Ma allora che cosa c’è di sbagliato in quella campagna pubblicitaria sulle conseguenze dei comportamenti scorretti alla guida? C’è che è rivolta a chi non è ancora disabile e che quindi non è consapevole della realtà descritta sui manifesti e negli spot, una realtà annunciata con tale gravità da suscitarne il rifiuto e di conseguenza la rimozione anche del messaggio promozionale. Un po’ come la scritta sui pacchetti di sigarette «Il fumo uccide», che non fa diminuire il numero dei fumatori e la morte per cancro.
Nonostante le raccomandazioni del Consiglio d’Europa (Piano d’Azione per la Disabilità 2006-15), che vorrebbe in ogni Paese la rappresentazione della disabilità tramite immagini convenienti, con comunicazioni che valorizzassero le persone con disabilità o, quantomeno, rappresentassero la loro vita ordinaria, la campagna pubblicitaria di ANIA – ideata per condivisibili ragioni – guarda “dal buco della serratura” la realtà delle persone con disabilità e ne restituisce un’immagine stereotipata e pietistica.
Evidenzia problematici frammenti di vita, ingenerando la convinzione che la vita ordinaria di un ragazzo che usa una sedia a rotelle sia quella di stare in casa, non andare a ballare, farsi accompagnare in bagno e trovo ci sia anche un po’ di crudeltà nel sollecitare allo sventurato l’ammissione della colpa per aver usato il telefonino mentre guidava.
Nulla invece si dice di una società che non facilita la mobilità per la presenza di barriere architettoniche e che propone modelli sociali e culturali in cui il diritto di cittadinanza è riservato prevalentemente a chi può ostentare efficienza, produttività, salute e benessere.
C’è un articolo molto significativo nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’articolo 8, Awaress Raising, cioè far crescere la consapevolezza delle capacità e dei contributi delle persone con disabilità, combattendo stereotipi e pregiudizi. I promotori di eventi culturali dovrebbero conoscere la disabilità, ma a quanto pare è necessaria e cruciale la partecipazione e la presenza delle stesse persone con disabilità nei media e nella comunicazione. In altre parole, semplicemente, Nulla su di Noi Senza di Noi.
*Presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente).
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