Le campagne in tema di sicurezza stradale sono indiscutibilmente iniziative apprezzabili e tuttavia alcune scelte di comunicazione possono destare qualche perplessità.
Proprio nei giorni scorsi è uscita in Superando una riflessione critica sulla recente campagna lanciata dall’ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici)-Fondazione per la Sicurezza Stradale. Il testo – a firma di Carlo Giacobini [lo si legga cliccando qui, N.d.R.] – si concentrava in particolar modo sul manifesto relativo all’iniziativa, che contiene tre scritte numerate: 1. Entrare in bagno accompagnati. 2. Passare molto tempo a casa. 3. Muoversi solo in carrozzina. Segue la raccomandazione: «Rispetta le regole della strada. Eviterai regole più dure a te e agli altri». Di lato, sullo sfondo, si vede un pezzo di sedia a rotelle manuale.
Pur apprezzando l’iniziativa, Giacobini non si esime dall’osservare: «È però l’immagine della disabilità che trovo tragicamente foriera di distorsioni e pregiudizi. O forse è solo figlia di questi ultimi. La disabilità come “castigo”, come “disgrazia”, come ineluttabile fonte di dipendenza dagli altri, di sofferenza di cui è responsabile il caso, o il non avere rispettato alcune regole. Subdolamente transita e ci permea il concetto che della disabilità non è mai responsabile il contesto; il contesto la subisce, la sopporta, la compatisce. Ne ha pietà».
Chi si occupa di disabilità, infatti, sa benissimo che molti dei disagi che interessano chi ha una disabilità sono legati più al contesto e alla mancanza di servizi adeguati che non alla condizione di disabilità.
La tentazione per altro di persuadere a stili di vita corretti facendo leva sullo stigma negativo associato alla disabilità non è affatto nuova e talvolta si riscontra anche in prodotti realizzati da professionisti della comunicazione.
Un esempio? La campagna sulla sicurezza stradale Mettici la testa, ideata e prodotta da RAI Educational di Giovanni Minoli, in collaborazione con Autostrade per l’Italia nel 2008. In essa si utilizza la testimonianza di Jacqueline Saburido, una ragazza del Texas che, all’età di vent’anni, nel 1999, mentre era in auto, venne travolta dalla vettura guidata da un giovane in stato di ebbrezza. Nell’incidente morirono due amici di Jacqueline. Lei venne miracolosamente salvata, ma ha subito quaranta interventi chirurgici ed è rimasta gravemente disabile e completamente sfigurata nel viso e nel corpo.
Il servizio mostra insistentemente il prima e il dopo di Jacqueline e quest’ultima riveste il ruolo della persona “che non vorremmo mai diventare”.
Anche in questo caso l’iniziativa è apprezzabile, ma l’atteggiamento con il quale si è indotti a guardare a Jacqueline è ben distante dall’invito al rispetto per la persona, qualunque siano le sue condizioni e il suo aspetto, tanto che viene da chiedersi se sia possibile fare campagne sulla sicurezza senza demonizzare la condizione di chi ha una disabilità. Io credo di sì. Probabilmente basterebbe pensarci e non discutere di questi aspetti solo all’interno del mondo della disabilità.
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