Il paesaggio scorre veloce quasi visto dal finestrino di una locomotiva. Curve, boschi, strapiombi e più in alto solo le alture più ripide generano emozioni. Dall’interno dell’abitacolo, però, solo il rombo del motore riempie la mente del pilota concentrato nel recuperare ogni centesimo possibile oltre ogni curva. Il casco stringe sugli zigomi, le cinture di sicurezza sono tese e imbracano come se fossero un tutt’uno con le articolazioni.
I ritmi sono velocissimi: quarta, terza, decelerare, per inforcare la curva successiva inseguendo il tempo, per poi uscire dal tornante e dare tutto il gas possibile fino al breve rettilineo. Alla guida c’è Luca Donateo, trentaduenne pilota toscano con disabilità. Lo abbiamo raggiunto e ci siamo fatti raccontare la sua incredibile storia di uomo e di pilota.
Trafelato, ancora con la tuta addosso e con un sorriso scintillante, dice di sé: «Sono nato a Chiusi, in provincia di Siena, il 30 luglio 1978. Dicono che ho le corse nel sangue perché a diciotto mesi sono scappato via da un grande magazzino di giocattoli in sella a una moto elettrica con i miei genitori allibiti fermi alle casse. A tre anni me ne andavo in giro con una Lotus John Player Special a pedali. La passione per le corse e i motori l’ho sempre avuta dentro. Ad esempio, a scuola, i miei compagni guardavano le partite di calcio, io cercavo le macchine e compravo le riviste automobilistiche. Ho imparato a guidare con la playstation che mi permetteva anche di conoscere tutti i circuiti di gara. Ho svolto il servizio militare in artiglieria, chiaramente come conduttore di mezzi. Mi sono dato al ballo latino americano, ottenendo anche buoni risultati agonistici (secondo posto ai Regionali nel 2002) e insieme con alcuni amici ho creato un gruppo di musica rock, “Il complesso di Elettra”. Ho sempre messo impegno e passione nel mio lavoro di chimico, ottenendo grandi soddisfazioni professionali e personali. La mia vita? Una corsa continua, con gioie, dolori, soddisfazioni, problemi dell’età, fino al 30 luglio 2004, giorno del mio ventiseiesimo compleanno. Andavo al lavoro in sella alla mia moto e un’auto mi ha tagliato la strada, invadendo la mia corsia di marcia. Nonostante l’urto sia avvenuto a velocità estremamente ridotte (35 all’ora, secondo ii rilevamenti dei Carabinieri), i danni riportati sono stati gravissimi, tanto che in ospedale non mi davano possibilità di salvezza. Non riuscivo a muovere niente, sentivo pianti e grida. Ero terrorizzato, avevo paura. Ricordo l’ambulanza e l’arrivo in ospedale e di quei momenti “eterni” rammento la mia straordinaria lucidità e l’assurda consapevolezza della situazione: lesione midollare D9. Un dottore, convinto che non fossi cosciente, mi disse: “Noi abbiamo fatto il possibile, ora dipende solo da te”».
Come avviene solo in certi casi, è la grinta che fa la differenza. E la grinta a Luca non è mai mancata. Ha continuato a combattere senza abbattersi mai, merito soprattutto di una grande carica interiore, della famiglia e di quegli amici che non l’hanno mai lasciato solo.
Poco tempo dopo l’incidente, le sue condizioni fisiche migliorano, permettendogli di poter effettuare gli interventi necessari. Poi terapie, riabilitazione e lunghi mesi di ricovero.
Quando continua il suo racconto, quasi con ironia ci dice: «Sono uscito dall’ospedale su un “trono” in carbonio e titanio, portando con me i segni della battaglia, ma con gli occhi e il sorriso di chi ha vinto la sua guerra. In ospedale non mi ero reso conto del mio cambiamento, decisamente tangibile, ma di quanto ora fosse diverso il mondo fuori. Adesso ci sono porte, gradini, scale, strade, locali, auto, scaffali esclusivamente progettati e realizzati per persone “normali”. Ventisei anni per “costruire” quello che era il mio mondo e adesso non c’era più. Tornato a casa, pensavo di aver perso tutto, era normale che mi sentissi triste, quasi una vittima del mondo. Mi sono chiesto tante volte perché era successo proprio a me oppure se avessi sbagliato qualcosa. Alla fine ho capito che dovevo solo rimboccarmi le maniche».
E così Luca si è rimesso in gioco e con impegno e grinta ha costruito una nuova strada. Si è allenato duramente ed è riuscito a superare i test e le prove necessarie per diventare un pilota “vero” e per guidare una vettura che nessuno, con una paraplegia, aveva mai guidato, una “formula a ruote scoperte”. Luca voleva fare di più, ad esempio gareggiare nelle cronoscalate. Il suo sorriso è diventato un simbolo, gara dopo gara, e l’eco del suo motore sempre più forte.
Adesso ha più di qualche vettura da corsa allestita per la guida manuale con le quali offre un servizio di scuola e noleggio per tutte le persone che vogliono percorrere la sua strada, magari per realizzare un sogno, come è capitato a lui.
Ci dice ancora, ammiccando alla sua auto da corsa: «Mi piace rapportare le gare con la vita di tutti i giorni, perché la vita è spesso “in salita” e come nelle gare in salita ci sono tratti facili, tratti sconnessi, curve veloci dove assaporare il brivido e tornanti lenti, dove per ripartire si deve rimettere la prima marcia. Poi ancora rettilinei ampi e visibili o curve cieche dove si può contare solo su se stessi. E quando capita di sbandare o di finire fuori strada, si deve avere la forza e il coraggio di rimettersi in pista e riprendere il via. Perché dalla partenza la montagna sembra molto alta e l’arrivo lontanissimo, ma quando arrivi in cima e guardi giù, non si può fare a meno di sorridere soddisfatti! Infine, l’aria fresca entra nei polmoni annullando la fatica e in un momento si è di nuovo pronti per ricominciare».
Mi parli della tua carriera di pilota, cosa sei riuscito a realizzare?
«Mi fa strano parlare di “carriera da pilota” perché dico sempre che più che un pilota io sono uno che correndo si diverte! Affrontando seriamente l’argomento, mi ritengo molto soddisfatto del mio percorso. Dalle ricerche fatte, sembra che io sia il primo pilota disabile ad aver preso parte ufficialmente a una competizione titolata con una vettura “formula a ruote scoperte” e già questo mi sembra un buon risultato. Poi nel 2009 ho vinto il titolo italiano “E1 Italia classe 1150”, con la mia Citroen C1 CUP nel Campionato Italiano Velocità Montagna, unico pilota disabile della categoria, ovviamente in classe con tutti gli altri “normodotati”. La vera fortuna è stato il tocco magico di Fadiel Italiana, che crea dispositivi di guida per disabili e che grazie all’impegno e alla dedizione, mi ha dato la possibilità di guidare la macchina al meglio, cancellando la differenza di prestazione che deriva dalla guida manuale rispetto a quella normale con i piedi.
Adesso sto preparando la prossima sorpresa, per me e per quelli che vorranno provare, una vettura per fare Drifting, nuova specialità estremamente divertente e tecnica, nella quale si guida la vettura in sovrasterzo. E anche qui l’apporto di Fadiel Italiana è stato sublime, nella sistemazione dei dispositivi di guida in maniera tale da consentirmi di far letteralmente “danzare” la macchina».
Che sensazione ti dà la velocità?
«La velocità è un brivido e i cavalli non bastano mai, sentire la macchina in curva al limite mi blocca letteralmente il respiro».
Sono in tanti i piloti con disabilità che possono permettersi di guidare una monoposto?
«Sono tantissimi. Organizziamo giornate in pista a prezzi assolutamente accessibili, dalla semplice prova a vere e proprie sessioni di allenamento, fino alla partecipazione di gare vere e proprie. C’è chi è solo curioso di provare e chi vuole intraprendere lo stesso percorso che ho fatto io».
Sapevi che prima di te l’idea di una scuola per piloti disabili era stata di Clay Regazzoni?
«Avvicinare il mio nome al suo è per me motivo di profondo orgoglio e umiltà. La mia idea è nata quando dopo il “rumore” che avevo fatto con la “vettura formula”, hanno cominciato a cercarmi in molti con problemi simili ai miei, chiedendomi come avevo fatto e dove avrebbero potuto provare una vera vettura da corsa. La Federazione non ne ha allestite per la guida manuale e allora ho deciso di provarci io. Perché io quando sono dentro quella gabbia sto bene».
Hai realizzato tutti i sogni oppure ne hai ancora qualcuno da realizzare?
«I sogni non finiscono mai… dopo ogni bandiera a scacchi c’è un nuovo semaforo verde… E in ogni caso vorrei partecipare almeno una volta alla 24 ore del Nürburgring».
Luca Donateo si congeda da noi con una personale riflessione: «La strada per ottenere i risultati migliori è anche quella più difficile e faticosa, ma le grandi guerre si vincono combattendo una battaglia alla volta che capiterà anche di perdere, ma non bisogna arrendersi mai».