Un noto libro di Franco Bomprezzi, La contea dei ruotanti, è un romanzo di fantasia in cui i protagonisti in sedia a rotelle vedono come “diversi” i cosiddetti “normodotati”. Ci siamo ispirate a quest’opera per effettuare una sorta di sondaggio e di seguito riportiamo alcuni contributi, raccolti tramite mail e facebook, sul tema: «Ruotanti o deambulanti, secondo voi, chi ha più pregiudizi gli uni nei confronti degli altri?».
«Penso di essere una persona piena di pregiudizi. Infatti di tutti fenomeni di cui non ho esperienza diretta potrei avere un’idea sbagliata, o in qualche modo distorta. L’unica considerazione che rende tollerabile questo pensiero è la mia disponibilità a cambiare idea nel momento in cui mi scopro in errore.
Finché non ho conosciuto delle persone sorde credevo, ad esempio, che la sordità fosse una disabilità “minore” rispetto ad altri tipi di disabilità. Oggi, invece, avendo constatato le implicazioni relazionali che può avere la sordità, sono molto più cauta nell’esprimere valutazioni in merito.
Tutti abbiamo pregiudizi, tutti possiamo cambiare idea. Semplice, no? No. Non è affatto semplice perché molti non sono disponibili ad ammettere di avere pregiudizi, né che questi ultimi possano indurre a comportamenti discriminatori. Per questo è importante che la comunità e chi è bersaglio di comportamenti discriminanti sanzionino negativamente i comportamenti indesiderati e i pregiudizi che li hanno generati.
Però occhio a non esagerare: alcune vittime di pregiudizio/discriminazione non si limitano a sanzionare il comportamento indesiderato, ma, forti delle proprie ragioni, pensano che sia loro consentito umiliare l’altro/a. Chiedono rispetto per sé, ma negano la dignità alla persona in errore. Questa modalità, oltre ad essere condannabile quanto quella di chi discrimina, non è affatto efficace. Umiliare per insegnare a rispettare: sbaglio, o c’è qualcosa di perverso in questa logica? Basterebbe porsi una semplice domanda: cosa voglio? Mi basta aprire uno scontro? Sguardi sprezzanti e battute di fuoco vanno benissimo. Oppure mi interessa di più far capire come voglio essere trattato/a? Allora userò uno sguardo e un tono neutri e risposte del tipo: “No, guarda, non ti offendere, ma preferisco che il buffetto sulla guancia non me lo dai, non siamo ancora così intimi. Una stretta di mano va più che bene!”. Oppure: “Se smetti di sezionare tutto ciò che faccio e dico a caccia di pregiudizi riguardo la tua disabilità, scommetto un euro che la pizza ce la gustiamo di più!”.
Chi ha più pregiudizi, le persone con disabilità o le altre? Non lo so, è una bella gara! So però che una persona Grande, che “ruoti” o che cammini, quando scopre un’altra persona in errore, la aiuta a correggersi e a crescere».
(Simona Lancioni)
«Purtroppo credo che non ci sia risposta a questa domanda, o comunque che non ci sia una verità che è più verità di altre. Da molti anni frequento deambulanti e ruotanti e ciò che mi ha spinto sempre a non farmi troppe domande è il vedere sia i ruotanti che i deambulanti come persone, in piedi o sedute, ma comunque persone. Porto spesso il paragone, forse per la mia formazione in artiterapie, del nostro corpo come contenitore: ognuno ha un contenitore, di varie forme, e noi, PERSONE, lo ABITIAMO.
In conclusione, credo che sia un po’ come rispondere al famoso: «è nato prima l’uovo o la gallina?”. Torto e ragione possono quindi essere espressi di volta in volta, a seconda delle circostanze e delle persone. Impariamo a darci una possibilità, a non giudicare. Cerchiamo di capire che ogni persona ha il proprio bagaglio socio-culturale e che spesso sono solo le grosse incomprensioni e i malintesi che provocano i contrasti. Vi abbraccio, ruotanti e deambulanti».
(Giulia Orazi)
«Chi è senza pregiudizi, scagli la prima parola».
(Annalisa Benedetti)
«A monte del discorso vi è una valutazione sul merito della condizione fisica, quindi prima del “pre” giudizio, c’è il giudizio oggettivo: di fatto cammino. Questo mi permette di avere immediatamente uno stock reattivo di elementi atti a dispormi nei riguardi delle persone.
Sul merito della condizione fisica c’è anche l’individuo che “non cammina”, inoltre c’è la persona che “non cammina” perché semplicemente non ha più la funzione motoria, nervosa, nevralgica del comando dei muscoli alle gambe, oppure per altri motivi, per lo più non conosciuti dai deambulanti. Infatti, questi ultimi sono la maggioranza e spesso si inter-relazionano fra di loro, al punto che nel gruppo un ruotante è sempre un’eccezione.
Nel rapporto fra deambulanti e ruotanti è evidente il grado di differenza operativa. I ruotanti possono svolgere una vasta rosa di attività, ma è sorprendente quanto il lavoro di un ruotante possa equipararsi a quello di un operaio deambulante, qualora il ruotante ritenga questo lavoro necessario: infatti, quando una cosa diventa necessaria, o è desiderata, l’ingegno umano dà il meglio di sé.
In un gruppo di deambulanti, la presenza di un ruotante si configura come un nuovo punto di vista da prendere in considerazione. Questa presenza suscita nei deambulanti una serie di reazioni: la preoccupazione di capire cosa il ruotante possa o non possa fare da solo; quali siano le precauzioni o, per meglio dire, la dialettica che si deve adottare per relazionarsi con lui con la giusta “sapienza”; e, soprattutto, velare o maturare un sentimento apprensivo, iperprotettivo nei suoi riguardi. Per noi le sue difficoltà (che poi sono la sua normalità) non esistono, ma se affrontassimo la vita dal suo punto di vista operativo, esisterebbero.
Il ruotante vuole essere a tutti i costi uguale al deambulante – ne va della sua identità di persona -, come carattere, impeto e personalità. Vuole che ci si rivolga a lui con la stessa rabbia, con lo stesso comportamento aggressivo, o con le stesse “cortesie” che possono manifestarsi fra deambulanti nella vita di relazione spontanea. Invece spesso suscita pietà, accende un moto di commozione e preoccupazione, accentua quelle delicatezze o quelle premure che un deambulante nei confronti di un altro deambulante non si sognerebbe di avere, e che neppure il ruotante desidererebbe ricevere.
Pare che sia questo il pre-giudizio più diffuso fra i due mondi: la naturale preoccupazione del deambulante per il ruotante e il bisogno del ruotante di sentirsi pari al deambulante, di essere considerato come persona. Pertanto il primo pregiudizio da abbattere è la “pietà”, o quel sentimento di apprensione e paternalismo che gioco forza credo non potrebbe, comunque sia, non manifestarsi spontaneo nel rapporto fra deambulante e ruotante. Solo l’amicizia, la frequentazione, la condivisione, la conoscenza evita questo “marcatore pregiudiziale”. L’elemento che può portare il ruotante a comunicare alla pari con il deambulante è, ad esempio, pestargli il piede con la ruota della carrozzina con nonchalance, oppure tenerlo a distanza, se vuole intervenire là dove il ruotante è in grado di intervenire con uguale abilità.
Di fatto, essendo un deambulante, provo nei riguardi di un ruotante una serie di problematiche che potrebbero essere lette da lui come generate da un pregiudizio. Devo mantenere un ritmo più lento in tutte le cose che faccio e quindi prediligo, con il ruotante, un rapporto dialettico più profondo perché con lui ho automaticamente una possibilità spontanea di dialogare (cosa che con i deambulanti è più difficile perché “scappano sempre via di fretta”). Il ruotante ha meno fretta perché ha meno possibilità oggettiva di rispondere a questa fretta operativa che scandisce il ritmo di un deambulante. Detto ciò, è ovvio che anche un ruotante può guidare un’auto da Formula Uno, ovviamente i miei esempi fanno riferimento alla quotidianità.
C’è la convinzione che il ruotante sia “costretto a pensare”, e pertanto il sentimento pregiudiziale del deambulante nei riguardi del ruotante è la “costrizione”. Questo costituisce un problema psicologico, data l’importanza che prefigura, nella nostra vita, il concetto di libertà, ma anche quello di “pericolo” e di reazione al pericolo.
Credo che la maggior parte dei pregiudizi siano dei deambulanti nei riguardi dei ruotanti. Infatti, anche se sappiamo essere falsa, persiste la convinzione che solo questi ultimi abbiano bisogno di aiuto. La vita si è modellata sulle esigenze dei deambulanti, e sovente le realtà diverse, o comunque minoritarie, non vengono percepite.
Come si possono superare questi pregiudizi? Relazionandosi e creando amicizie. A tal fine sarebbe opportuno che i deambulanti smettessero di correre e si fermassero a dialogare e a conoscere gli altri. Solo così il diverso cesserà di essere vissuto come “problema” e inizierà ad essere considerato come “normale”».
(Luca Mesini)
*Servizio curato per il sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), nel quale è già apparso, con il titolo Ruotanti vs. deambulanti: abbiamo pregiudizi? e che viene qui ripreso, con lievi riadattamenti, per gentile concessione del Coordinamento del Gruppo stesso.
13 eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, un centinaio tra articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, circa 80 segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, più di 450 segnalazioni bibliografiche e circa 600 risorse internet schedate: parlano da sole le cifre del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto attualmente da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin) ha deciso di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i suoi obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità (il nostro sito se n’è occupato con l’articolo disponibile cliccando qui).
L’indirizzo del Gruppo Donne UILDM è www.uildm.org/gruppodonne. Al repertorio di cui si è detto, si accede cliccando qui. Il Gruppo Donne UILDM è anche su Facebook (cliccare qui).
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