Piacere. Nel senso di piacere a qualcuno, e naturalmente a se stessi. Ma anche riferito alla sensazione di benessere. Per alcuni il criterio del piacere – nel senso di percezione di un’armonia interiore – è un riferimento fondamentale nelle scelte di vita. Per alcune persone con disabilità, e in particolare per alcune donne con disabilità, il contatto con il piacere può però essere un tema difficile, talvolta anche doloroso.
È soprattutto in questa chiave che Superando segnala iniziative rivolte alle donne con disabilità e alla loro bellezza. Moda, vestiti d’alta sartoria, sfilate, trucchi, fotografie e book fotografici. Ne abbiamo parlato con Cinzia Rossetti, che si è fatta fotografare dal professionista Paolo Ronzani, e abbiamo anche presentato l’iniziativa di Laura Boerci e dell’ATLHA (Tempo Libero per l’Integrazione dei Disabili). Ora torniamo a parlarne con Fabrizio Bartoccioni, presidente della Fondazione Vertical per la Cura della paralisi. Ne parliamo con lui perché a dicembre l’ente che rappresenta ha organizzato una sfilata in cui modelle professioniste e donne in carrozzina hanno presentato insieme abiti firmati da alcuni stilisti di alta moda, quali Gaia Macchina, Anna Goffredo, Ivonete Costa Barbosa, Ivan Iaboni, Iana Sahyants e Martina Bellini Factory per gli accessori.
Un’iniziativa benefica dal titolo Modelle e Rotelle, che si è svolta a Roma e ha coinvolto donne provenienti da diverse parti dello stivale. Chiediamo a Bartoccioni di raccontarci i retroscena dell’evento.
Da dove è nata l’idea?
«Tutto era partito pensando a un’idea nuova per raccogliere fondi per la ricerca sulle lesioni midollari. Noi di Vertical ci occupiamo in effetti soprattutto di questo: organizziamo campagne di raccolta fondi per lo scopo specifico della ricerca sulle lesioni midollari. Dunque, in quel momento avevamo in mente di sviluppare un evento che fosse anche portatore di un messaggio. Questo perché non siamo interessati solo alla cura, ma più in generale al benessere e alla qualità della vita delle persone con lesione midollare. Il tema dell’autostima è un tema importante e riteniamo che la donna possa esserne carente anche più dell’uomo. Nell’abbigliamento, ad esempio, nel piacere di indossare un vestito elegante, nel sentirsi accessoriata o inserita in un determinato contesto della moda».
Come avete sviluppato il progetto?
«Volevamo realizzare una sfilata diversa dalle altre, dove non andassero in scena soltanto donne in carrozzina e basta. Questa non sarebbe stata davvero un’esperienza di integrazione. Il messaggio che avevamo deciso di trasmettere, invece, andava nel senso dell’integrazione e per poterlo comunicare abbiamo messo in passerella modelle professionista e modelle in carrozzina. Insieme».
Ci dev’essere stata molta interazione tra loro.
«Esatto. Queste ragazze si sono spogliate insieme, hanno condiviso la tensione e l’emozione dietro alle quinte insieme. Hanno fatto le prove, si sono misurate i vestiti, sono venute a contatto le une con le altre, confrontando realtà di solito molto distanti tra loro, la vita da modella e quella di donna con limitazioni motorie».
A livello pratico come è stata organizzata la serata?
«È stata un’avventura nuova anche per i professionisti del settore. Per le modelle, come dicevo, perché si sono rapportante con donne dalla fisicità diversa dalla loro e hanno potuto vederle nell’atto di cambiarsi, spostarsi, prepararsi. E perché hanno poi condiviso con loro lo svolgimento coreografico della serata, le entrate, i cambi, le pause eccetera, dovendo rimisurare tutto seguendo i tempi più lenti delle colleghe dalla mobilità ridotta.
Anche gli stilisti si sono dovuti mettere in gioco perché i loro vestiti non sempre si adattavano ai corpi delle modelle proposte da Vertical, vuoi per il livello vita o vuoi per la seduta. Con mio grande piacere si sono mostrati generosi e aperti e hanno accettato di trasformare al momento le proprie creazioni, intervenendo con ago, filo e forbice e reinventando soluzioni diverse a seconda dei casi specifici.
Altri cambiamenti hanno coinvolto i coreografi, sia perché a loro è stato chiesto di inventare dei passaggi che coprissero i tempi lunghi dei cambi costume, sia perché alcune donne con disabilità non erano in grado di sfilare autonomamente in passerella e occorreva inventare un modo di accompagnarle che però non distogliesse l’attenzione da loro, che non rubasse loro la scena».
Che soluzione è stata trovata?
«Sono stati inseriti dei ballerini che, danzando attorno alla carrozzina, al contempo la spingevano. I loro movimenti, però, sono stati studiati in modo che al centro della sfilata rimanesse sempre la modella».
Cosa la rende soddisfatto del risultato raggiunto con quella serata?
«Da una parte ho visto il pubblico divertirsi. Abbiamo proposto uno spettacolo che secondo me è nuovo, diverso da ciò che si è abituati a vedere. Ma sono anche soddisfatto di un’altra cosa».
Quale?
«Le donne tra loro si sono affiatate. Sono nate amicizie, simpatie, affinità. Le ho viste scambiarsi i numeri di cellulare e darsi passaggi in macchina nel ritorno a casa o in albergo alla fine della serata. Indipendentemente dal fatto che fossero in carrozzina oppure no».
Quante modelle hanno sfilato in tutto?
«Quarantadue, di cui quindici in carrozzina».
Le donne con disabilità erano solo le quindici in carrozzina o anche alcune in piedi?
«Solo quelle in carrozzina».
Come le avete scelte?
«Abbiamo fatto un piccolo casting. Ci sono arrivate molte e-mail quando abbiamo lanciato la proposta sui siti internet e nei social network. Nel territorio romano abbiamo anche fatto un po’ di volantinaggio. Le risposte sono arrivate da tutta Italia. Poi abbiamo fatto una cernita e scelto le quindici modelle. Abbiamo valorizzato la giovane età, ma abbiamo anche scelto due donne ultraquarantenni per mostrare esempi di bellezza anche in quella fascià d’età. Abbiamo scelto donne con lesioni midollari e qualche caso di amputazione».
Ci sono state delle prove?
«Sì. Soprattutto abbiamo lavorato nel mettere a punto la tempistica. Cambi di abito, di acconciatura, di trucco, trasferimenti sui lettini, contando l’eventuale bisogno di assistenza in queste fasi. Per ognuna delle quindici i tempi erano diversi, essendo diverse la disabilità, le limitazioni fisiche, le esigenze personali. Abbiamo lavorato soprattutto su questi aspetti, ma, come spiegavo prima, c’è stata la massima collaborazione da parte di tutti e anche questo lo annovererei tra i motivi della mia soddisfazione per la buona riuscita dell’evento».
Avete avuto riscontri sui media?
«Anche di questo sono soddisfatto. Abbiamo avuto l’attenzione di media rilevanti a livello nazionale, come il “Corriere”, “la Repubblica”, la RAI e Sky».
Abbinato alla sfilata c’è stato anche un concorso.
«Sì, è stata eletta Miss Vertical. Le tre finaliste provengono da tre diverse zone d’Italia, a testimonianza della partecipazione di donne da un po’ ovunque nella nostra penisola. Le tre finaliste, dicevo, sono di Vicenza, Cesena e Padova».
Chi ha vinto?
«La vicentina ventunenne Francesca Lazzaro».
Presto, dunque, intervisteremo anche Francesca Lazzaro e ci faremo raccontare direttamente da lei le emozioni dei preparativi, della sfilata e della vittoria e i progetti per il futuro.
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