Una modella, un fotografo, un’agenzia di moda e una proposta per tutte le persone con disabilità che abbiano il desiderio di veder colta la loro unicità e bellezza da un obiettivo fotografico utilizzato con sapienza.
Loro si chiamano Cinzia Rossetti, Paolo Ranzani e l’agenzia di moda si chiama Fashion Team. Cinzia è una donna con disabilità fisica, affetta da tetraparesi spastica, che da tempo aveva il sogno di realizzare un book fotografico. Grazie all’incontro con il fotografo Paolo Ranzani, non solo il suo sogno si è realizzato, ma addirittura alcune agenzia di moda si sono mostrate interessate a lavorare con lei. Solo che, quando poi sono venute a conoscenza della sua disabilità, hanno interrotto la contrattazione. Intanto, però, la sua storia ha fatto il giro dei giornali e delle televisioni. A questo punto Paolo e Cinzia hanno deciso di coinvolgere direttamente un’agenzia di moda, e ne hanno scelto una di Torino con cui Paolo già collabora, proponendole di coinvolgersi nell’obiettivo di aprire uno spazio per modelli e modelle con disabilità. Chi volesse esplorare questi ambienti e mettersi in gioco, è invitato a contattare i protagonisti di questa iniziativa.
Superando, per far sapere qualcosa in più ai suoi lettori, ha deciso di intervistare sia Cinzia Rossetti che Paolo Ranzani.
La modella
Che ruolo ha avuto la bellezza nella tua vita?
«Durante la mia infanzia e l’adolescenza, la bellezza non ha ricoperto un ruolo prioritario, anche se mi piaceva comprare i vestiti, scegliere il genere a seconda dell’occasione, aver cura del mio aspetto e del mio corpo».
Che rapporto hai con la tua immagine?
«Mi piaccio e mi ritengo una donna come le altre, pur avendo dei limiti fisici».
Una persona con disabilità fisica priva di bellezza esteriore è ulteriormente svantaggiata?
«Il canone di bellezza è soggettivo, quello che per te è bello, per me è brutto e viceversa. Potresti benissimo innamorarti di una persona “brutta” perché ha tantissime qualità che ti attraggono, che ti affascinano e non per forza la bellezza. Lo svantaggio è determinato dalla mancanza di desiderio, dal timore di conoscere e rapportarsi con la diversità, in questo caso con la persona disabile, bella o brutta che sia. Poi è naturale che l’occhio cerchi il bello».
Come è nato in te il desiderio di posare per delle foto?
«Da anni cercavo una persona che mi facesse un autoritratto di qualità, capace di trasmettere la mia bellezza di donna, ma non avevo mai trovato la persona giusta a livello tecnico e mentale. Poi una volta, partecipando a un convegno a Torino, ho visto una mostra fotografica dove c’era una splendida fotografia della ballerina Simona Atzori. Non appena rientrata a casa, sono andata alla ricerca dell’autore di questo capolavoro, il fotografo Paolo Ranzani, congratulandomi con lui, domandogli informazioni sulla mostra e sulla possibilità di allestirla a Brescia. Poi però, non essendo riuscita reperire i fondi e dopo avere trascorso alcuni mesi a comunicare con Paolo, ho deciso di rinunciare alla mostra e chiedergli di farmi delle fotografie che trasmettessero la femminilità e sensualità del mio corpo. Paolo ha risposto subito di sì e ci siamo accordati per l’incontro. Avevo capito che era un bravissimo fotografo, desideravo realizzare quello che avevo in mente, ma non davo per scontato che ci sarei riuscita. Ho provato, ho tentato…».
Com’è andata?
«Paolo mi ha messo a mio agio, rapportandosi con me come avrebbe fatto con qualsiasi altra persona. Quando mi stavano truccando, si è messo a guardare i vestiti che mi ero portata e ha iniziato a costruire lo shooting fotografico. Io davo indicazioni sulle azioni che ero in grado compiere o meno, e sulle posizioni più comode e che mi piacevano. C’è stata un’autentica e meravigliosa collaborazione fra noi. Il giorno dopo mi ha spedito le fotografie tramite mail, le attendevo una dopo l’altra… Non mi sarei mai aspettata che venissero così bene, erano bellissime: mi riconoscevo donna come le altre».
Suggerisci ad altre donne con disabilità di fare la tua stessa esperienza con Paolo. Perché?
«Io e Paolo ormai ci sentiamo e collaboriamo da più di un anno e mezzo. Il progetto La Diversità è di Moda l’abbiamo costruito insieme, parlandone, confrontandoci, condividendo le idee, scegliendo la strada da percorrere, ricaricandoci a vicenda. Lui ha creduto e continua a credere in me e io mi fido ciecamente di lui. Sa mettersi nei panni degli altri. Il suo elevato livello professionale, mentale, culturale e umano insieme al suo appassionato desiderio di conoscere, creare e costruire, mi permettono di sostenere che attualmente è l’unico in grado di portare avanti in toto questo progetto/causa».
Cos’è cambiato nella tua vita dopo che hai realizzato il servizio fotografico?
«Molte persone mi hanno potuto conoscere tramite televisione, giornali e articoli web».
Ti piacerebbe lavorare nel campo dell’immagine?
«Ho iniziato questa strada per far conoscere e riconoscere la donna alla pari delle altre, nonostante la presenza di limiti fisici: bella, affascinante, sexy come ogni altra donna. La mostra La femminilità è Donna, che abbiamo allestisto a Brescia, lo ha trasmesso perfettamente, le fotografie delle donne esposte potevano benissimo essere pubblicate da un giornale di moda. La mostra è itinerante e intendo ribadire nei vari contesti il dato di fatto emerso. Poi vedremo quali saranno le reazioni e se ci sarà spazio per la concretizzazione dei futuri progetti».
Qual è stata l’esperienza delle altre donne che dopo di te e su tua segnalazione si sono fatte fotografare da Paolo per l’agenzia Fashion Team?
«Mi hanno ringraziato, comunicandomi che è stata un’emozionante esperienza, che ha accresciuto o fatto rinascere la stima in se stesse».
Disabilità fisica e bellezza, sono due temi profondi e legati l’uno all’altro. Le persone che provano disagio di fronte a una malformità secondo te che tipo di sentimenti profondi contattano? E che cosa trasmette la bellezza negli occhi di chi la contempla?
«Sentimenti pietistici, di sfortuna, negatività, sgradevolezza, che portano a mantenere le distanze. Mentre coloro che vedono la bellezza provano sentimenti di ammirazione, tenerezza, positività, piacere, fascino, sensualità».
Il fotografo
Come hai conosciuto Cinzia? Qual è stata la tua prima impressione?
«Tempo fa ho realizzato un progetto fotografico finalizzato a una mostra per l’Associazione Paideia, che si occupa di genitori di bambini con disabilità grave. Per vari motivi di vita sono sempre stato vicino a questo mondo e quel progetto è stato un’occasione per dire la mia. Ho fotografato tra gli altri la ballerina Simona Atzori e la sciatrice Melania Corradini, due donne che pur avendo una forte disabilità, non si sono arrese e hanno conquistato molti gradini nella vita, medaglie d’oro, riconoscimenti artistici, e hanno dato vita a passioni ed energie da far invidia a un normodotato. Cinzia vide questi miei lavori e diventammo amici, poi mi disse che anche lei avrebbe voluto essere ritratta e sfidare il mondo della moda, pur consapevole delle difficoltà oggettive. Provocazione e sfida sono il mio pane e quindi accettai.
La prima cosa che mi ha colpito di lei è stata la sua forte determinazione: trapela da ogni poro. Quel giorno lei sicuramente era più tranquilla di me, visto che io invece all’inizio ero un po’ preoccupato perché, come ho sempre detto e non ho mai nascosto, prima non avevo intuito che oltre ai movimenti motori avesse difficoltà di parola. Non riuscivo a capire tutto quello che mi diceva e bisogna tenere conto che Cinzia ha una parlantina niente male! Comunque dopo un po’ tutto è tornato in equilibrio e sul set ci siamo scambiati le energie e abbiamo trovato feeling, per cui poi è stato relativamente semplice. Per me è stata un’esperienza molto bella, interessante e formativa, Cinzia mi ha aperto a un mondo che non conoscevo così in profondità, come d’altra parte pochi conoscono, e mi ha insegnato molto, dal dizionario da utilizzare – senza aver timore di dire la parola sbagliata – quando si parla con una persona con disabilità, alla grinta nell’affrontare le cose».
Quando ritrai una persona cosa cerchi di catturare?
«Essendo io un ritrattista, di solito cerco di prendere e trasportare il carattere della persona ritratta, in modo che gli altri possano riconoscere, ma anche scovare nuove sue visioni. Cerco di emozionare senza esasperare. Ma quando si fanno immagini il cui utilizzo è un book da modella, l’approccio è diverso. Occorre fotografare la bellezza che ognuno di noi ha dentro e fuori, tirare fuori il meglio dell’estetica e dello charme, non bisogna far vedere per forza un personaggio ma piuttosto quanti personaggi ci possono essere dentro quella persona. Quindi, nel book di Cinzia ci sono immagini che in parte riproducono quello che lei è, ma ci sono anche mie interpretazioni di tutto quello che lei potrebbe essere, romantica e spavalda, sexy e austera. Lei è molto disinibita e carica di entusiasmo, quindi è stato un lavoro a due. La sua bellezza sta proprio nell’energia e nella solarità che porta, insieme a una estetica naturale che vive con lei».
Come hai rappresentato la sua disabilità?
«In questo caso non dovevo raccontare la sua disabilità, non trattandosi di un ritratto, quindi non l’ho negata né cancellata, ma l’ho resa poco importante, proprio perchè quando si parla di carisma, di piacevolezza, non bisogna passare per i filtri pietistici della disabilità».
Come organizzi il lavoro sul set?
«Di solito cerco di incontrare la persona da fotografare prima del giorno di set, o cerco almeno di sapere qualcosa su di lei e di come è fatta, poi mentalmente penso a come la vorrei fotografare, quali luci possono funzionare con il suo viso e quale scenografia o location può adattarsi al suo corpo. Quindi traccio nella mia testa un canovaccio di cosa voglio fare. Infine, lascio un quaranta per cento all’improvvisazione spontanea».
Perché hai deciso di fotografare altre persone con disabilità per conto di un’agenzia?
«L’idea di proporre l’avventura di Cinzia ad altre persone è dovuta al fatto che lei è stata accettata da alcune agenzie di moda dopo che hanno visto le fotografie, ma poi, quando hanno saputo della sua disabilità, sono scomparse nel silenzio più assoluto, secondo me sia per imbarazzo sia perché non avevano parole per reagire. Quindi, ci è venuta l’idea di coinvolgere proprio un’agenzia di moda e spettacolo con cui lavoro spesso e che so essere gestita da persone sensibili, e da lì è iniziato tutto quello che stiamo facendo.
L’idea provocatoria, ma neanche poi così tanto, è di far vedere che esiste un’agenzia di modelle e modelli con disabilità che possono essere utilizzati nella classica pubblicità, nel beauty, nelle fiction e nel cinema. Perche usare una modella normodotata che faccia la parte di una persona con disabilità se invece ho una ragazza con disabilità “vera”? Oppure, perché se devo fotografare un bel viso non posso utilizzare il mezzobusto di una ragazza disabile? Ci sono barriere che sono peggio di quelle architettoniche e sono le più difficile da distruggere. Spero che questa nostra sia una pietrolina capace di generare una valanga. Anche se servisse solo per accendere il dibattito, sarebbe sempre meglio del silenzio e gli occhi bassi, tipo: “non guardiamoli poveretti!”».
Che cos’è per te una bella foto?
«Non è una definizione che amo perchè la bellezza in tutte le sue sfumature è soggettiva, a me piace piuttosto pensare a foto “giuste” o a foto “sbagliate”. Occorre sapere qual è il fine ultimo di una determinata immagine, il motivo per cui è stata scattata. Allora si può capire se funziona o no. La bellezza della fotografia è un parametro che non mi interessa molto, secondo me deve raccontare qualcosa se ad esempio è una foto di reportage, o rappresentare qualcosa se è una foto pubblicitaria. Se invece parliamo di foto d’arte, il discorso si complica perché ultimamente tutti i possessori di macchina fotografica fanno scatti tipo “famolo strano” e si sentono tutti artisti. Il concetto di bello o brutto rovina molte cose e dà il via a correnti sbagliate che portano anche alla discriminazione se rapportate all’essere umano, per questo uso poco la parola bellezza».
Qual è il ruolo della fotografia nella nostra società?
«La fotografia ormai ha perso troppi riferimenti “veri” e, come dicevo prima, ormai “vale tutto”, almeno per quanto riguarda il quotidiano, il vissuto popolare. La fotografia ricopre o dovrebbe ricoprire molti ruoli ed è quindi difficile rispondere brevemente. Come ho detto prima, per me una buona fotografia è una fotografia che rappresenta quello che deve rappresentare o dice quel che dovrebbe dire, o emoziona nel modo che dovrebbe emozionare. Non sono importanti la tecnica o l’attrezzatura, come pensano molti fruitori occasionali di macchine fotografiche che delegano al mezzo tecnologico la loro bravura, anziché imporre alla fredda macchina il proprio occhio e la propria voglia di raccontare. Un fotografo può fare cose interessanti con un I-phone o con l’ultima Regflex digitale o anche con un vecchio banco ottico. Se sei un fotografo nel pensiero, non importa cosa usi, basta che fai arrivare quello che vuoi far arrivare, che siano un’emozione o semplicemente la ricchezza del ricamo sul bordo di un abito da sposa o lo sguardo severo di un regista cult».
Credi che nel campo della moda o nel mondo dell’immagine più in generale ci sia spazio per corpi con disabilità fisiche?
«Il mondo della disabilità è uno spazio aperto e non capisco perchè un imprenditore non colga l’occasione al volo. Fare qualcosa dedicato esclusivamente a questo mondo credo che, anche solo pensando cinicamente, sia molto interesante e produttivo. Non capisco perchè in TV vengano mandate in onda con suono di trombe le poche vittorie degli italiani alle Olimpiadi e quasi oscurate le Paralimpiadi, dove invece vinciamo alla grande! È da pazzi. Anche solo per puro voyeurismo, la gente si incollerebe alla TV a vedere una sciatrice che con un solo braccio vince lo slalom o una discesa di sciatori ciechi, o partite di basket in cui atleti in carrozzina fanno uno spettacolo incredibile, dimenandosi come centauri sul campo da gioco. Abbiamo ancora paura di far vedere il “mostro”, il “freak”, copriamo ancora gli occhi ai bambini se passa uno storpio, c’è tanto lavoro da fare, tanta cultura da instaurare. Bisogna trovare qualche imprenditore illuminato che ribalti la situazione, ma io sono positivo, qualcosa sta accadendo, grazie a gente come il pilota di Formula 1 Alex Zanardi, l’atleta Oscar Pistorius e, naturalmente… Cinzia Rossetti!».